INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA: I MODELLI.

Il modello comportamentista. Il modello fenomenologico: la "psicologia della forma" o "Gestaltpsychologie". Il modello psicoanalitico. Il modello epistemologico-genetico. Il modello cognitivista.

 

 

 

Il modello comportamentista.

Il "comportamentismo" è la scuola americana contemporanea di psicologia (ha goduto di un dominio indiscusso dagli anni '20 ai '70), che abbandona i concetti di "io" e "coscienza" e restringe la psicologia sia animale sia umana allo studio del comportamento: essa, insomma, si propone come una branca, puramente oggettiva e sperimentale, delle scienze naturali (in questo senso, avvalendosi dei contributi della fisiologia, della psicologia animale, nonché dell’ipotesi evoluzionistica); ovvero, pretende di offrire la possibilità di raggiungere la spiegazione dei fenomeni psichici di ogni organismo animale, a condizione di eliminare ogni riferimento a concetti o "entità" non suscettibili di verifica sperimentale, di abbandonare ogni richiamo introspezionistico e antropomorfico o mentalistico, di cercare spiegazioni solo sui materiali effettivamente osservabili e in linea di principio misurabili, tal che si potesse realizzare lo scopo precipuo della psicologia stessa: la previsione e il controllo del comportamento. Sotto tale aspetto, è evidente come pensiero e sentimento fossero interpretati, essi stessi, come comportamento implicito: il primo è un discorso implicito o sublocale; il secondo si riduce a reazioni viscerali implicite.

L’avvio al behaviorismo fu dato dal fisiologo russo Pavlov; fondatore, invece, del behaviorismo americano è, invece. J. B. Watson, che ne formulò (1913) il programma ne "La psicologia così come la vede il comportamentista".

Col tempo, si è tracciata una distinzione tra behaviorismo:

- metodologico: ignora la "coscienza" e sostiene lo studio oggettivo del comportamento

- dogmatico: nega affatto la coscienza (è perciò una forma di materialismo metafisico)

Ancora, il modello comportamentista ha dato due esiti fondamentali:

- teorie della "contiguità" (di stimolo e risposta) [Watson e Guthrie]

- teorie del "rinforzo" [Thorndike, Skinner, N. Miller]

Solo successivamente [Tolman, Hull e Osgood] si avrà un’apertura anche agli aspetti simbolici e cognitivi e verrà reintrodotta la separazione, seppur cauta, tra realtà fisica e intellettuale.

 

Il modello fenomenologico: la "psicologia della forma" o "Gestaltpsychologie".

*Il precursore più diretto del "gestaltismo" è lo psicologo austriaco C. von Ehrenfels, autore nel 1890 di un saggio che per la prima volta espone il concetto di "qualità-Gestalt", illustrandolo mediante riferimenti concreti: una melodia, ad es., possiede un’intrinseca unità, un’individualità che va al di là della semplice successione o giustapposizione dei suoni che la compongono.

L’indirizzo si consolida grazie al gruppo di psicologi della cosiddetta "scuola di Berlino" (poi, a causa del nazismo, "emigrata" negli USA): M. Wertheimer, W. Kohler e K. Koffka.

Nei loro studi viene assegnato particolare valore alla "percezione", quale campo che consente di cogliere, con maggior dovizia di particolari, il carattere dinamico e sintetico della vita psichica: da qui, un complesso progetto di ricerche fu teso a reinterpretare l'intera fenomenologia della vita psichica.

*La parola "gestalt" designa un’entità concreta e individuale, che esiste come qualcosa di staccato e che ha come uno dei suoi attributi la forma, o configurazione. Una "gestalt" è perciò un prodotto dell’organizzazione e l’organizzazione è il processo che produce la "gestalt". In tale visione, si evita d'assolutizzare il valore dell’oggetto (o mondo) esterno.

Vengono, infatti, rintracciate strutture o "Gestalten" sia nel mondo fisico sia nel mondo mentale, e tra questi due domini si cerca di rintracciare la condizione generale che rende possibile una loro interpretazione omogenea.

*Questa visione si articola e si esprime soprattutto:

- nel "postulato dell’isomorfismo", ovvero corrispondenza di forme o strutture tra mondo fisico e mondo psichico, secondo un procedimento esplicativo di tipo analogico;

- nella "legge della formazione non additiva della totalità": il tutto si comprende solo a condizione che venga abbandonato l’atteggiamento di considerarlo come la risultante di una somma, per progressive aggiunte, di elementi primitivi: questi cessano di essere considerati meri addendi, ma diventano fattori strutturanti che cadono sotto il carattere dell’appartenenza al tutto ("concezione olistica");

- la "legge della pregnanza": la pregnanza è considerata un fattore strutturante della percezione, per cui forme ambigue, incomplete o leggermente asimmetriche tendono ad essere percepite come più definite, complete e simmetriche.

*Uno sviluppo interessante dei principi della "gestalt" è, infine, rintracciabile nella "teoria del campo" (vd. capitolo sulle "teorie della personalità") di Lewin.

 

Il modello psicoanalitico.

Vd. il paragrafo relativo alla psicanalisi contenuto nel capitolo sui "metodi clinici"

 

Il modello epistemologico-genetico.

Questo modello mira a spiegare i processi cognitivi umani (percezione, intelligenza, …: in tal senso è "epistemologia") ricostruendo le fasi (gli stadi) del loro sviluppo nell’individuo (ma anche nella specie), dall’infanzia all’età adulta (in tal senso è "genetica"): introdotto da J. Piaget (1896-1980), esso, contro la tradizionale separazione tra logica e psicologia, fonda altresì sulla loro sistematica collaborazione la possibilità di comprendere il pensiero nelle sue espressioni più evolute (e quindi nella sua storia).

(ma vd. più specificamente il capitolo sullo "sviluppo cognitivo")

 

Il modello cognitivista.

Secondo questo modello – subentrato al comportamentismo, entrato in crisi per motivi sia di ordine teorico che metodologico, soprattutto dopo i primi anni ’60 – la mente umana funziona come un elaboratore attivo delle informazioni che le giungono tramite gli organi sensoriali, in analogia coi servomeccanismi di tipo cibernetico: più esattamente sono i processi cognitivi che vengono presi in esame ed analizzati in quanto funzioni organizzative. Tale modello, dunque, non possiede una propria concezione dell’uomo, ovvero a rigore non dà alcuna spiegazione o interpretazione del comportamento umano.

"Tutto quel che sappiamo della realtà – scrive U. Neisser, teorico del cognitivismo, nella sua fondamenta-le opera "Psicologia cognitivista" (1967) – è stato mediato non solo dagli organi di senso, ma da sistemi complessi che interpretano continuamente l’informazione fornita dai sensi".

E’ a questo tipo di elaborazione interna – costituita dagli eventi che hanno luogo entro l’organismo tra lo stimolo d’ingresso ("in-put") e la risposta d’uscita ("out-put") – che ci riferiamo quando parliamo di "pensiero" o di "processi mentali". Questi eventi interni, naturalmente, non sono direttamente osservabili. Devono essere inferiti, ma si tratta di inferenze possibili.

Appaiono in questa ottica evidenti i limiti del "comportamentismo", che si limitava appunto a sottolineare esclusivamente l’importanza di connessioni semplici e dirette tra stimoli e risposte, chiamato anche psicologia "S-R": stimolo-risposta, o – in modo più elaborato – "S-O (organismo)-R".

Da quanto detto, è chiaro che il cognitivismo è fondamentalmente un indirizzo ibrido, ovvero si avvale dell’apporto di molteplici influenze: da un comportamentismo liberalizzato alla teoria dell’informazione e dei sistemi, dalla neurofisiologia di Hebb all'etologia, dalla linguistica di Chomsky fino alla stessa teoria della Gestalt.

 

 

 

Introduzione: i modelli

L'apprendimento

Il conflitto

Il metodo sperimentale

Il pensiero

Lo sviluppo affettivo

I metodi psicometrici

Il linguaggio

Lo sviluppo cognitivo

I metodi clinici

La personalità

Lo sviluppo sociale

I processi sensoriali

Le motivazioni

Le fasi dello sviluppo

La percezione

La frustrazione

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