Christiane F. e il Narconon

Dal libro Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: Come si cade nella tragica spirale della droga, come è possibile uscirne in un racconto-verità di Christiane F., BUR edizioni, Milano, 1981.

Si ringrazia il Cesap che ha messo a disposizione gli estratti.

 
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copertina

Dissi allora che volevo andare al Narkonon. Il Narkonon era il centro terapeutico di una setta, della Chiesa scientista. Nel giro c'erano dei bucomani che erano stati al Narkonon e che raccontavano che era un posto come si deve. Al Narkonon non c'erano condizioni per essere accettati se si pagava in anticipo. Si poteva continuare a portare i propri ciaffi da bucomane, si potevano portare i propri dischi e persino gli animali.

La consulente del centro (si tratta di un centro per la droga di orientamento alle comunità. n.d.s.) disse che dovevo riflettere sul perché così tanti bucomani raccontavano che la terapia al Narkonon era tanto divertente e sul perché, avendola fatta, continuavano a bucare tutti contenti. Lei comunque non conosceva un solo caso di terapia riuscita al Narkonon.

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Misi un paio di cose in una borsa di vimini e nascosi la siringa, un cucchiaino e il resto della roba davanti nelle mutande. Andammo in taxi a Zehlendorf dove c'era la casa del Narkonon. I tizi del Narkonon non mi fecero all'inizio nessuna domanda. Veramente lì veniva preso chiunque. Avevano persino quelli che andavano a rimorchiare nel giro e avvicinavano i bucomani chiedendogli se volevano andare al Narkonon.

Ma a mia madre i tizi fecero delle domande. Volevano infatti prima di tutto vedere la grana prima di prendermi: 1.500 marchi in pagamento anticipato per il primo mese. Mia madre naturalmente non aveva così tanti soldi. Promise di portarglieli subito la mattina dopo. Loro non volevano far credito. Lei disse che la banca le avrebbe fatto subito senza difficoltà un piccolo credito, pregò ed implorò che io potessi rimanere. Alla fine i tizi furono d'accordo.

Chiedi se potevo andare al gabinetto. Potevo. Non era come gli altri luoghi di terapia dove per prima cosa ti facevano l'ispezione e ti rimandavano a casa se avevi appresso l'armamentario da bucomane. Andai al cesso e mi sparai rapidamente il resto della roba. Loro naturalmente videro che tornavo dal cesso completamente sballata ma non dissero niente. Diedi loro la mia siringa ma non dissero niente. Il tizio a cui diedi la siringa disse tutto sorpreso: «Ci fa piacere che ce la dai di tua volontà».

Dovetti andare nella stanza della rota perché appunto si accorsero che ero completamente sballata. C'erano altri due nella stanza della rota. Uno se ne sarebbe andato via il giorno dopo. Questo per la gente del Narkonon era un gran bell'affare: ricevere i soldi per un mese intero e poi quello se ne andava subito.

Ricevetti dei libri con l'insegnamento della chiesa scientista. Proprio dei bei mattoni. Trovai che era una setta proprio paracula. In ogni caso avevano delle storie abbastanza forti che si potevano credere, oppure no. Cercai qualcosa in cui credere. (…)

Il secondo giorno mi telefonò mia madre e mi disse che il gatto era morto. Era il giorno del mio quindicesimo compleanno. Mia madre mi fece gli auguri dopo avermi detto la cosa del gatto. Anche a lei questa cosa la toccava. Quindi ho passato la mattina del mio quindicesimo compleanno accovacciata sul letto solo a piangere.

Gli altri tizi si accorsero che piangevo e dissero che avevo bisogno di una seduta. Venni chiusa in una stanza con uno di loro, un ex bucomane e mi pareva solo che lui desse ordini senza senso. Potevo solo rispondere «sì» ed eseguire ogni ordine.

Il tizio disse:«Guarda la parete, vai alla parete, tocca la parete». E poi ricominciava da capo. Passai ore a correre da una parete all'altra. A un certo punto era veramente troppo e dissi:«Cristo ma che è questa cazzata! Ma siete scemi! Lasciatemi per piacere in pace. Non ne ho più voglia». Ma lui con il suo sorriso, che non cambiava mai, riuscì in qualche modo a farmi continuare. Dovetti allora toccare altre cose. Finché veramente non ne potevo più di quel posto, mi buttai allora sul pavimento e gridai e piansi.

Lui sorrideva e io continuavo finché non mi calmai. Lui allora aveva sempre questo sorriso in faccia. Ero completamente apatica. Già toccavo la parete prima che arrivasse il suo ordine. L'unica cosa che ancora riuscivo a pensare era:«A un certo punto dovrà pur finire».

Dopo cinque ore esatte lui disse:«Okay, per oggi basta». Pensai che mi trovavo un sacco stupenda. Dovetti andare con lui in un'altra stanza. C'era un buffo apparecchio, di quelli che uno costruisce da solo, come un pendolo tra due scatole di latta. dovetti toccarlo. Il tizio chiese:«Ti senti bene?». Dissi:«mi sento bene. Penso che adesso vivo tutto consapevolmente». Il tizio fissò il pendolo e disse:«Non si è mosso. Quindi non hai mentito. La seduta è stata un successo».

Quell'affare buffo era una macchina della verità. Era difatti un oggetto di culto di questa setta. Io ero comunque molto felice che il pendolo non si era mosso. Per me era una dimostrazione del fatto che mi sentivo bene veramente. Ero pronta a credere tutto per tirarmi fuori dall'ero.

Lì si facevano ogni sorta di cose straordinarie. Una sera che Christa aveva la febbre le toccò di tenere in mano una bottiglia e di dire continuamente se la bottiglia era calda o fredda. Delirante di febbre com'era lo fece. Dopo un'ora circa, la febbre le era passata. Ero così stravolta da tutto questo che subito il mattino dopo corsi nell'ufficio e pregai di farmi un'altra seduta.

Alla fine di una settimana ero completamente partita nel trip della setta e pensavo che le terapie veramente mi aiutavano. Tutta la giornata era programmata: sedute, pulizie, servizio di cucina. Durava fino alle dieci di sera. Non c'era assolutamente il tempo per pensare ad altro. L'unica cosa che mi dava ai nervi era il mangiare. Non ero veramente una viziata col mangiare. Ma quella roba che ti davano non riuscivo quasi a mandarla giù. E pensavo che per tutti quei soldi potevano offrirti qualcosa di meglio da mangiare. Anche perché oltre a questa non avevano molte altre spese. Le sedute erano quasi tutte guidate da ex bucomani che presumibilmente erano già da un paio di mesi. A loro veniva detto che questo faceva parte della loro terapia per cui ogni tanto avranno dato loro una stupidaggine di soldi. Io non trovavo giusto che i capi del Narkonon mangiavano sempre per conto loro. Una volta capitai che stavano giusto seduti a tavola. Si stavano abbuffando delle cose più buone.

Poi capitò che una domenica ebbi veramente tempo per riflettere. All'inizio pensai a Detlef e questo mi fece diventare piuttosto triste. Poi mi chiesi con tutta l'obiettività cosa avrei potuto fare dopo la terapia. Mi chiesi se le sedute mi avessero veramente aiutato. Ero piena di domande per le quali non avevo risposta. Volevo parlare con qualcuno. Ma non avevo nessuno. Uno dei primi divieti che c'erano al Narkonon era quello che non si poteva fare amicizia con nessuno. E i tizi ti facevano subito fare una seduta quando tu volevi parlare di problemi. Mi fu chiaro che in tutto il tempo che ero stata lì non avevo mai veramente chiacchierato con qualcuno.

Il lunedì andai all'amministrazione e buttai fuori tutto quello che avevo da dire. Non mi feci interrompere. Cominciai col mangiare. Poi dissi che mi erano già state rubate tutte le mutande. Che nella lavanderia non si riusciva ad entrare perché la ragazza che aveva le chiavi se ne andava continuamente per tornare nel giro, che comunque ce n'erano un paio che se la svignavano per procurarsi un buco e tornavano quando gli pareva. Dissi che queste cose mi buttavano proprio giù. E poi queste sedute senza tregua e le pulizie da fare. Io ero completamente distrutta perché semplicemente non avevo abbastanza tempo per dormire. Dissi:«Okay, le vostre terapie sono anche fighissime, sono veramente buone. Ma i miei reali problemi non li risolvono. Perché tutto è solo un tormento. Voi tentate regolarmente di tormentarci. Ma io ho bisogno di qualcuno con cui parlare ogni tanto dei miei problemi. Ho assolutamente bisogno di un po' di tempo ogni tanto per confrontarmi con i miei problemi».

I tizi si sentirono tutto questo con il loro eterno sorriso. Non dissero assolutamente nulla. Quando ebbi finito mi appiopparono subito una seduta extra, che andò avanti tutto il giorno fino alla sera alle dieci. Di nuovo mi portarono alla totale apatia. E pensai che forse loro sapevano quello che facevano. (…).

Dal racconto della madre di Christiane
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Non sapevo nulla di preciso sul Narkonon, solo che costava dei soldi; due giorni prima del suo quindicesimo compleanno ci andai con Christiane in taxi. Con un uomo giovane avemmo un colloquio vincolante per l'accettazione, egli si rallegrò per la nostra decisione e mi assicurò che non dovevo più avere nessuna preoccupazione. La terapia al Narkonon era di solito un completo successo, potevo stare completamente tranquilla. Ero sollevata come non mi succedeva da tempo.

Poi mi sottopose per la firma gli accordi di pagamento: costava 52 marchi al giorno e ogni volta bisognava pagare in anticipo quattro settimane. Era più di quanto guadagnavo netto ogni mese. Ma che faceva? Inoltre quel giovane mi prospettò che potevo avere il rimborso delle spese di terapia dall'Ufficio di assistenza circoscrizionale [1].

Il giorno dopo misi assieme 500 marchi e li portai al Narkonon. Poi mi feci dare un prestito di 1.000 marchi e li pagai nel giorno di colloquio con i genitori. I colloqui con i genitori erano tenuti in genere da ex tossicodipendenti. Il suo passato proprio non gli si riconosceva. Grazie al Narkonon - diceva - era diventato un altro uomo, e questo a noi faceva effetto. Lui mi rassicurava anche dicendomi i progressi che Christiane faceva. In verità ci recitavano una commedia e avevano preso di mira i nostri soldi, più tardi venni a sapere dal giornale che il Narkonon apparteneva ad un'equivoca setta americana che voleva guadagnarsi del denaro a spese dell'angoscia dei genitori.

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Il pasticcio era diventato sempre più grosso, il Narkonon a Christiane l'aveva più guastata che migliorata. Lì era cambiata improvvisamente, aveva un aspetto ordinario, non più da ragazzina, era diventata soprattutto scostante. Già alle prime visite al Narkonon ero stata sorpresa: Christiane mi era improvvisamente estranea. Qualcosa si era spezzato. Fino a quel momento, malgrado tutto, lei aveva avuto un legame intimo con me. Era distrutta, spenta come dopo un lavaggio del cervello.

Note:

1. A questo proposito si veda: Lettera di denuncia contro un centro Narconon americano.

 
 
 
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