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La X-Files Italian Virtual Season
        P R E S E N T A


        SPIRITI ERRANTI


   by F. "Sleepy" Fioravanti


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Premio Fluffy Trophy 2000 come Miglior Fanfic
Archiviata con il consenso dell'autore presso "La Città delle Stelle"
(http://digilander.iol.it/xbellatrix/) di Melody Morgan Carter
(xmcarter@libero.it)
   
Ispirato a una storia vera... non ancora accaduta

   

   PRIMA PARTE

   

   Era disteso sul letto, le mani intrecciate dietro la nuca, e
fissava il soffitto. Senza neppure guardare l'orologio, sapeva che
doveva essere piuttosto tardi, forse le due passate. Si disse che era
ora di spegnere la lampada e di chiudere gli occhi, lasciando che la
sua mente venisse avvolta dal sonno, foriero di sogni e incubi che lui
il mattino seguente avrebbe ritrovato fra i suoi ricordi, dopo averli
pazientemente portati alla luce della coscienza. Quella prospettiva,
per lui alquanto gradevole, era tuttavia appannata, come sempre, dal
pensiero che il suo sonno in realtà non era una scelta, come gli
pareva giusto che dovesse essere, ma una necessità, dovuta al bisogno
di dormire almeno sei ore per essere efficiente al lavoro il giorno
dopo. E come sempre, il pensiero di doversi svegliare per recarsi al
lavoro dopo una notte volata via troppo in fretta, lo spingeva a
rimandare di minuto in minuto il momento di spegnere la luce e di
abbandonarsi finalmente al sonno. Durante quell'attesa lasciava che la
sua mente vagasse libera, immaginando storie che lo vedevano
protagonista di vicende avventurose e movimentate, del tutto diverse
da quelle che costituivano la sua banale realtà di tutti i giorni. Lo
faceva spesso, durante la giornata, ma quello era il momento che più
lo ispirava, perché di notte il mondo esterno non riusciva ad invadere
quella sua piacevole nicchia privata.

   Accorgendosi di aver perso il filo di un pensiero, capì che ormai
il sonno non poteva più aspettare. Un'occhiata all'orologio gli disse
che erano già le due e mezza. Si voltò su un fianco per allungare la
mano verso la lampada, e fu in quel momento che lo sguardo gli cadde
sulla macchia. Una grossa macchia sul muro, tra l'armadio e il
termosifone, dove non ricordava di aver mai visto macchie. Si
stropicciò gli occhi, pensando che il sonno e la stanchezza gli
stessero mostrando cose inesistenti, e poi tornò a guardare il muro:
la macchia era ancora al suo posto. Proprio una macchia, e non
un'ombra, perché non c'era nulla che si frapponesse tra la lampada e
il muro.

   Perplesso, scostò le coperte e scese dal letto. Avvicinandosi alla
parete, osservò con attenzione qualcosa che, di questo era
assolutamente certo, non era lì nel momento in cui si era coricato,
circa due ore prima. Quindi non poteva essere una macchia di muffa, e
neppure un affioramento di vernice scura sopra la pittura bianca. La
sua mente affamata di eventi insoliti cercò qualche spiegazione fuori
del comune, tentando di far tacere la parte razionale, che si ostinava
a non vedere in quel fatto nulla di particolarmente strano.

   Si chinò verso il muro per osservare meglio la macchia, che da
vicino appariva grigiastra e sbiadita, di forma allungata e con
contorni poco definiti. Non era muffa. Non era una fioritura di
colore. Cos'era, allora? Allungò una mano e sfiorò la macchia con la
punta delle dita. Nello stesso istante sentì un calore intenso, e
istintivamente cercò di ritrarre la mano, ma non ci riuscì.
Spaventato, aprì la bocca per gridare, e sentì il proprio urlo
attutito, come se provenisse da chissà dove. Provò, fortissima, la
terribile sensazione che quella macchia lo avesse catturato, in
qualche modo. Gridò di nuovo, e stavolta non udì alcun suono. Un
profondo, infinito senso di vuoto gli invase il corpo e la mente. Poi
cadde a terra.

   La stanza era di nuovo tranquilla, la notte silenziosa. Il corpo di
Franz Vidal giaceva immobile sul pavimento, un braccio allungato in
direzione della macchia, che spiccava grigia contro il bianco della
parete.

   

   

   Appartamento di Fox Mulder

   Alexandria, VA

   28 febbraio 2001, 7:00 a.m.

   

   Il ronzio cadenzato della radiosveglia si fece lentamente strada
nelle orecchie di Mulder, interrompendo un sogno che svanì del tutto
nel momento in cui lui si destò. Senza aprire gli occhi, allungò una
mano verso la sveglia sul comodino, ma si ritrovò a schiaffeggiare
l'aria. Allora si decise a sollevarsi su un gomito, e si rese conto di
essere disteso sul divano. Mentre si metteva seduto, udì il tipico
rumore che sentiva quando si svegliava dopo essersi addormentato
guardando la TV: il telecomando che cadeva a terra. Si chinò a
raccoglierlo e lo depose sul tavolino, in cima ad una pila di riviste,
sperando che non si fosse rotto. Infine si rassegnò ad alzarsi per
andare in camera a zittire la sveglia.

   Lanciando un'occhiata al letto ancora intatto, si disse che in
fondo dormire sul divano comportava alcuni piccoli vantaggi... Poi
scosse il capo con una smorfia, deciso a non lasciarsi tentare dalle
vecchie abitudini, che potevano avere spiacevoli effetti collaterali,
come gli stavano segnalando proprio in quel momento la schiena
indolenzita e un fastidioso scricchiolìo del collo.

   Si preparò in fretta, dopo una breve sosta in cucina per scolarsi
quel che rimaneva di una bottiglia di succo d'arancia, prima che
andasse a male. Scelse una cravatta a caso tra quelle che penzolavano
dallo schienale di una sedia, e se l'annodò intorno al collo, mentre
usciva dalla stanza da letto. Allungò una mano e prese la giacca
appesa all'attaccapanni, infilandola rapidamente. Entrando in
soggiorno per raccattare la pistola che aveva lasciato sul tavolino,
gettò un'occhiata verso lo specchio. La cravatta sembrava a posto, e
il resto era ragionevolmente presentabile, a parte lo sguardo stanco,
che la diceva lunga sull'entusiasmo che sentiva all'idea di affrontare
un'altra giornata di lavoro lontano dal suo vecchio ufficio, dagli
X-Files e da Scully... Per quante mattine, ancora, avrebbe dovuto
scontrarsi con quella faccia corrucciata? E quante altre volte Skinner
gli avrebbe detto che la riassegnazione del suo incarico era solo
questione di tempo? Mulder sospirò, fissando l'immagine che lo
specchio gli rimandava, come se potesse avere una risposta da quel sé
stesso al di là del muro. E in quel momento lo colse la strana
sensazione di star guardando un estraneo.

   Non era la prima volta che gli capitava una cosa del genere. E
sapeva bene, grazie ai suoi studi di psicologia, che non è insolito,
quando si fissa la propria immagine allo specchio, avere l'impressione
di non riconoscersi più. Solo che questa volta la sensazione era stata
particolarmente forte, e decisamente inquietante. Per fortuna era
durata pochi secondi. Mulder, perplesso, si grattò la nuca, evitando
istintivamente di toccare il piccolo rilievo della cicatrice, come
aveva imparato a fare negli ultimi mesi.

   

   

   Franz aprì di colpo gli occhi, e vide un uomo, di fronte a sé. Per
qualche secondo rimase attonito a fissarlo, incapace di credere a ciò
che vedeva. Conosceva bene quell'uomo, l'aveva visto centinaia di
volte, e proprio per questo sapeva che non poteva trovarsi lì. A meno
che ciò che vedeva non fosse un sogno. Già, nient'altro che un sogno.
La macchia sul muro, le urla, la sensazione di vuoto... Quel pensiero
lo tranquillizzò. Doveva essere uno di quei sogni in cui ci si rende
conto di stare sognando, e si è piacevolmente sicuri di poter fare le
cose più strane e pericolose senza timore di spiacevoli conseguenze...

   Franz notò che l'uomo stava voltando la testa, e subito dopo si
ritrovò a fissare una pistola che era appoggiata su un tavolino. Prima
ancora di cominciare a muoversi verso il tavolo, si rese conto che il
sogno era cambiato: adesso era entrato nel corpo dell'altro, e stava
sognando di essere lui. Non era la prima volta che gli capitava.
Osservando la propria mano che si allungava per prendere la pistola,
si chiese se anche in quell'occasione avrebbe vissuto qualche
emozionante e movimentata avventura nei panni dell'agente speciale Fox
Mulder.

   

   

   Mulder fissò la fondina alla cintura, controllando di nuovo che la
sicura della pistola fosse inserita. Poi, quasi senza volerlo, riportò
lo sguardo sullo specchio. E sentì di nuovo quella sgradevole
sensazione. Ma stavolta ad essa si accompagnò un pensiero improvviso,
collegato ad un frammento di ricordo, una frase sentita chissà quando
e chissà dove, che ora gli risuonava nelle orecchie. 'E' come
guardarsi allo specchio con gli occhi di un altro. Ma lo specchio non
c'è'.

   

   

   F.B.I. Headquarters

   Washington, D.C.

   28 febbraio 2001, 8:21 a.m.

   

   Mulder entrò nell'ascensore, salutò con un cenno del capo un agente
che conosceva di vista e lasciò che questi premesse il pulsante del
piano dove entrambi sarebbero scesi. Ma quando la cabina iniziò a
salire si rese conto che se voleva cercare di rispondere alla domanda
che gli vagava nel cervello non era quella la direzione da prendere.
Così, quando le porte della cabina si aprirono sul corridoio, lasciò
che l'altro agente lo oltrepassasse, gli sorrise, e premette il tasto
del seminterrato.

   Quando giunse davanti alla porta del suo vecchio ufficio, vi si
fermò davanti, fissando la targhetta con i due nomi. Non gli piaceva
scendere laggiù. Non l'aveva fatto spesso, da quando era tornato in
servizio, e ogni volta si era bloccato di fronte a quella porta, per
darsi il tempo di contrastare il senso di angoscia che lo assaliva di
colpo, anche quando era convinto di poterla passare liscia. Questa
volta non fu differente. Prendendo un lungo respiro, bussò leggermente
sulla porta. Da dentro, qualcuno rispose: "Avanti..." Mulder sorrise
leggermente, al suono di quella voce. Poi aprì la porta ed entrò.

   Scully era seduta dietro la scrivania che un tempo era stata di
Mulder. Quando lo vide, lì per lì sembrò sorpresa, poi un ampio
sorriso le comparve sul volto. "Ciao!" esclamò, togliendosi gli
occhiali. "Dov'eri finito? Hai saltato la pausa-pranzo, ieri..."

   Mulder si fermò di fronte a lei. "Non avevo fame" disse,
stringendosi nelle spalle. Poi si guardò intorno. "Dov'è? Non è ancora
arrivato?" C'era una leggerissima sfumatura di speranza, nella sua
voce.

   "John è fuori sede, in missione" rispose Scully.

   Mulder non riuscì a stabilire se quella notizia lo facesse sentire
meglio o peggio. "Un x-file?" chiese, in tono neutro.

   "Lui pensa di no."

   "Già... Ci avrei scommesso tutta la paga."

   Scully lo osservò attentamente. "Che c'è, Mulder? Come mai sei
sceso?" Esitò, corrugando la fronte. "C'è qualcosa che non va?"

   Lui alzò una mano. "No, è tutto a posto." Sospirò, accennando un
sorriso spento. "Per quanto possa definirsi 'a posto' questa
situazione, ovviamente..."

   Scully scosse il capo. "Non devi arrenderti, Mulder. Le cose
cambieranno presto, vedrai..."

   "Non in peggio, spero!" esclamò lui, sforzandosi di trovare il suo
migliore tono ironico. "Scully, non sono sceso perché avevo voglia di
lamentarmi un po' del mio triste destino..." Sorrise. "In realtà sto
cercando una cosa che posso trovare solo qui" disse, tornando serio.
"Se tu mi permetti di consultare gli archivi."

   "Per quel che mi riguarda quegli archivi sono ancora tuoi, Mulder"
rispose lei, accennando col capo agli schedari dall'altra parte
dell'ufficio. "Non posso parlare per gli assenti, ovviamente."

   "Ti rendi conto che stai violando delle regole, Scully?" ghignò
Mulder, avviandosi verso gli schedari. "Se John lo venisse a
sapere..."

   "Ma non lo saprà" disse lei, sorridendo. "Cosa stai cercando?"

   "Una cosa che mi è venuta in mente stamattina" spiegò lui, mentre
apriva il primo cassetto. "C'è stato... qualcosa che ha fatto
riaffiorare un ricordo. E sono sicuro che quel ricordo ha a che fare
col mio lavoro qui."

   Scully, rimasta seduta alla scrivania, lo osservò mentre passava
velocemente in rassegna alcuni dossier. "Qualcosa, dici? A che ti
riferisci?" chiese, incuriosita.

   Lui rispose senza alzare la testa. "Una specie di... sensazione.
Qualcuno deve avermi raccontato di aver provato qualcosa di simile.
Devo solo riuscire a fare mente locale, per ritrovarlo."

   Scully si fece seria. "Che tipo di sensazione, Mulder? E questo
qualcuno... aveva per caso a che fare con gli X-Files? Oppure con..."
esitò "...con gli alieni?"

   "No, direi di no."

   "Ne sei sicuro? Mulder... Cos'è successo stamattina?" chiese, in
tono apprensivo. "Non è qualcosa che dipende dal... da questo, vero?"
Si sfiorò la nuca.

   Mulder alzò lo sguardo. "No" disse in tono deciso. Poi sospirò,
scrollando la testa. "Non lo so. Non credo." Riportò l'attenzione
sullo schedario, estraendone un fascicolo. "Ma se non la smetti di
preoccuparti, giuro che me lo faccio togliere e lo butto nella tazza
del gabinetto!"

   "Non dirlo neppure per scherzo, Mulder. Ti prego..."

   Lui la guardò di nuovo. "OK, come vuoi." Rimise a posto il
fascicolo e ne prese un altro.

   

   

   Franz aveva sempre fatto sogni vividi e molto dettagliati, ma
quello li batteva tutti. Gli sembrava davvero di trovarsi nell'ufficio
degli X-Files, e di stare rovistando nello schedario alla ricerca di
chissà quale importante fascicolo. E Scully, la donna che tanto
ammirava, era lì seduta a pochi passi da lui, e gli parlava, gli
sorrideva, si preoccupava per il congegno che qualcuno gli aveva
impiantato nella nuca... No. Era preoccupata per Mulder, non per lui.
Ma in quel sogno lui era Mulder. Ed era bello illudersi che fosse
vero, e che lei fosse sua amica, e che qualcuno gli volesse bene...
Quel sogno realizzava tutti i desideri di Franz, e lui ne stava
assaporando ogni particolare, pregustando il momento in cui l'avrebbe
raccontato a sé stesso, dopo il risveglio. Era come guardare un film
stando dentro il personaggio principale. Con la differenza che quel
film aveva tutta l'apparenza della realtà.

   

   

   "Eccolo qui!" esclamò Mulder, mostrando a Scully il fascicolo a cui
aveva appena dato una veloce scorsa. "Ho ritrovato il mio uomo. Joseph
Cutfleece, 45 anni, di Venice"

   Scully lo guardò perplessa. "E chi sarebbe questo tizio?"

   "Venne da me circa tre anni fa" rispose Mulder, porgendole il
fascicolo. "E mi raccontò una storia a dir poco strana."

   Lei sorrise. "Non si può dire che avesse sbagliato ufficio, vero?"

   "Aspetta a dirlo... Il signor Cutfleece sosteneva di aver trovato
un modo per entrare in un..." esitò "...un universo parallelo."

   Scully lo fissò per qualche secondo senza dire nulla. Poi annuì.
"Certo, come no? Lo faccio sempre anch'io quando cerco di capire cosa
ti passa per la testa..." Sorrise. "Mulder, cosa c'entra questa storia
con..."

   "Se guardi nel fascicolo" la interruppe lui "scoprirai che
Cutfleece era un lettore appassionato di testi e riviste scientifiche.
Era a conoscenza della teoria degli infiniti universi, e dei famosi
Ponti di Einstein-Rosen. Ammetti che si tratta di un argomento
affascinante!"

   Scully scorse velocemente uno dei fogli contenuti nella cartella.
"Naturalmente. Ma si tratta di fisica teorica, Mulder. Questo tipo
invece afferma di... Ehi, aspetta un attimo..." Sollevò lo sguardo su
Mulder, e lo vide annuire, come se si fosse aspettato quella reazione.
"Qui c'è scritto che lui è riuscito ad entrare in un universo che
l'aveva sempre attratto..." Si passò una mano sulla fronte. "Dice di
aver coronato il sogno della sua vita salendo a bordo di
un'astronave..." spalancò gli occhi, come se non credesse a ciò che
andava leggendo "...e diventandone per brevi periodi l'ufficiale
scientifico!" Alzò la testa e fissò il collega a bocca aperta. Poi
scoppiò a ridere. "Mulder! Quest'uomo crede di essere il signor
Spock!"

   Mulder scosse il capo, sorridendo. Poi tornò serio. "Non è esatto,
Scully. Quest'uomo sostiene che esiste un varco tra il nostro universo
e l'altro, e che attraverso questo varco l'essenza della sua mente si
può trasferire nel corpo di Spock. E viceversa."

   "Certo, è ovvio, detta così è tutta un'altra..." Scully si
interruppe. "Come hai detto? Che significa 'e viceversa'?"

   Mulder indicò il resto del fascicolo. "E' scritto tutto lì, Scully.
A quanto pare ci sarebbe una specie di compensazione, che in certi
momenti trascinerebbe il signor Spock nel nostro universo."

   Lei alzò gli occhi al cielo, esasperata. "Ma il signor Spock non
esiste, Mulder! E' solo un personaggio della TV!"

   "Non in quell'universo, evidentemente."

   Scully posò il fascicolo sulla scrivania, tirando un lungo sospiro.
"Non dirmi che credi a questa storia. Nemmeno tu puoi crederci!"

   Mulder si sedette, prima di rispondere. "Infatti non ci ho creduto"
disse infine. "Se guardi la cartella noterai che non è classificata...
Ho tenuto il fascicolo solo perché mi sembrava una storia ben
costruita. E ho gentilmente suggerito al signor Cutfleece di ricavarne
un romanzo. Al che lui mi ha sorriso, mi ha salutato e se n'è andato."

   "Augurandoti vita lunga e prospera, suppongo..."

   Mulder inclinò il capo, incassando la battuta. "Purtroppo no"
disse, fingendo un'aria di disappunto. "Evidentemente quel giorno
Spock era... altrove."

   "Nell'altro universo" completò Scully. Quella strana discussione
sembrava non avere alcun senso, se non quello di riportarla con la
mente alle tante diatribe che si erano svolte in quell'ufficio tra lei
e Mulder. E un accenno di nostalgia le impediva di cambiare argomento
e tornare alla realtà. "Suppongo che Cutfleece ti abbia illustrato il
metodo che usava per trasferirsi, vero? Aveva per caso un buco nero
nel soggiorno?"

   "In cantina" rispose subito Mulder. "Ma non era un buco nero.
Era... Mi sembra che l'abbia definito una specie di macchia scura sul
pavimento."

   

   

   "Una macchia scura" Le parole di Mulder risuonarono a lungo nella
mente di Franz, mentre si faceva strada in lui l'assoluta certezza che
ciò a cui stava assistendo non era una creazione del suo cervello che
sognava, ma una nuova realtà in cui era stato trascinato. La storia
raccontata da quel... come si chiamava... Cutfleece? doveva essere
vera, per quanto assurda sembrasse. Era l'unica spiegazione possibile
per la sua presenza in quel luogo.

   Si trovava all'interno del corpo di Mulder, forse nella sua testa.
Vedeva attraverso i suoi occhi, sentiva con le sue orecchie, ma non
poteva parlare, e non aveva alcun controllo sui suoi movimenti. Era
una specie di ospite silenzioso, e chi lo ospitava sembrava ignaro
della sua presenza.

   Aveva sempre cercato di mantenere la mente aperta ed elastica, nel
tentativo di somigliare a Mulder, il suo modello ideale. E quella
situazione era talmente insolita da non avergli lasciato neppure il
tempo per spaventarsi. Ma via via che i minuti passavano, un senso di
angosciante disagio si andava facendo strada dentro di lui.
Improvvisamente ebbe paura di essere sul punto di impazzire. O forse
era già impazzito, e quel che vedeva non era che il parto di una mente
alterata, un mondo immaginario che la sua follia aveva a poco a poco
trasformato in una soggettiva realtà...

   Dove si trovava, in quel momento? In un reparto di psichiatria?
Forse stavano cercando di riportarlo indietro... Sperò che
escogitassero un modo per guarirlo. Anche se non era sicuro che fosse
ciò che voleva davvero...

   

   

   "Dunque, passando attraverso quella macchia, come la chiami tu,
Cutfleece sarebbe finito sull'Enterprise..." mormorò Scully, fissando
un punto nel vuoto.

   "Questo è ciò che sosteneva."

   Lei riportò lo sguardo su di lui. "Mulder, posso anche accettare
l'ipotesi che esistano un'infinità di universi che condividono lo
stesso spazio, ma non crederò mai alla possibilità che uno di quegli
universi sia tale e quale a quello immaginato da un fantasioso
creatore di storie per la TV! E tanto meno che lo si possa visitare!"

   "Be', in un certo senso l'ho fatto anch'io" disse Mulder, e prima
che Scully avesse il tempo di sorprendersi, aggiunse: "Da bambino.
Guardavo la TV e immaginavo di trovarmi a bordo dell'Enterprise, che
sfrecciava tra le stelle a curvatura quattro, col suo equipaggio che
rappresentava il meglio delle specie umane e aliene, ricco di valori,
di tolleranza e di fiducia nella scienza e nel futuro..." Fece un
sorriso malinconico. "Anch'io sono stato Spock, Scully. Poi sono sceso
dall'Enterprise... e sono cresciuto. O quasi."

   Scully lo fissò in silenzio per qualche istante. "Sono d'accordo
sul 'quasi'"disse infine, sorridendo. Poi tornò seria. "Cutfleece era
un 'trekker', vero? Questo spiegherebbe tutto."

   "Forse. O forse spiega solo ciò che ha determinato l'universo di
destinazione. Secondo Cutfleece il varco si è creato grazie al suo
fortissimo desiderio di trovarsi in quel mondo. La macchia non era che
la materializzazione di un'entrata, ma il vero Ponte era lui stesso.
Un ponte verso un luogo che gli è diventato accessibile proprio perché
lo conosceva bene, e di cui sentiva la mancanza."

   Scully l'ascoltava, affascinata suo malgrado. "Ma se questo fosse
vero... Insomma, supponendo che Cutfleece non sia uno schizofrenico, o
un fabulatore, o un portatore di personalità multiple... ci sarebbero
milioni di persone che viaggiano in spirito verso altri universi...
Basta volerlo, no?" Il tono divenne ironico.

   Mulder scosse la testa. "Quanti universi conosci, Scully? Quanti
romanzi hai letto? Quanti film hai visto? Quanti mondi hai sognato? Se
ognuno di questi fosse un universo, in quale vorresti andare?"

   Lei rifletté qualche secondo. "Non lo so, non ci ho mai pensato...
Forse finirei col rimanere in questo."

   "Ecco il punto, Scully. Non ci hai pensato. La maggior parte della
gente non ci pensa. Ma evidentemente Cutfleece era una di quelle
persone che nel proprio mondo si sentono fuori posto. Questa almeno è
l'impressione che ho ricavato parlando con lui." Si lasciò sfuggire un
lungo sospiro. "Sarebbe bello credere che abbia potuto visitare il suo
mondo ideale. Su un'astronave in viaggio nello spazio, ad esplorare
nuovi mondi."

   Tacque, e nell'ufficio calò il silenzio. Finché Scully non si
riscosse. "Mulder... Hai detto che tre anni fa non hai creduto ad una
sola parola di ciò che ti ha raccontato Cutfleece... Perché ora sembri
aver cambiato idea? Perché hai tirato fuori quel fascicolo?" Lo fissò.
"Mulder, cos'è successo stamattina?"

   "Non lo so" mormorò lui, passandosi una mano sulla faccia. "Ero
davanti allo specchio, e ad un tratto mi sono visto come se mi stessi
guardando con gli occhi di qualcun altro... Si è trattato solo di un
attimo, ma è stata una sensazione molto forte. E mi ha ricordato
qualcosa che mi aveva detto Cutfleece, descrivendomi la sensazione che
provava quando... sì, insomma, quando Spock si trasferiva nel suo
corpo." Guardò Scully, e scosse la testa, come per scacciare un
pensiero. "OK, Scully, ti ho fatto perdere abbastanza tempo, no?"
Sorrise, mentre scostava la sedia per alzarsi. "Basta con i voli di
fantasia... E' ora di tornare al lavoro."

   Scully lo guardò mentre si dirigeva verso la porta. "Mulder..."
mormorò. Lui si girò verso di lei. "Conosci... un universo dove
vorresti andare?"

   Mulder la guardò sorpreso. "Ne conosco molti" rispose, dopo una
breve esitazione. "Ma per adesso preferisco rimanere in questo."

   

   

   Franz guardò Scully. Era lì seduta a pochi metri da lui, bella come
la ricordava, e gli stava sorridendo. No, non a lui: stava sorridendo
a Mulder. Ed era reale! Era tutto vero: Scully, il distintivo
dell'F.B.I. che le pendeva dal bavero, l'ufficio degli X-Files, gli
archivi, il poster di Mulder ancora appeso al muro... Come poteva
essere solo una creazione della sua pazzia? E com'era possibile che un
pazzo si rendesse conto di essere tale?

   Cercò di dimenticare chi era e da dove veniva. In quel momento gli
sembrò l'unico modo possibile per tentare di salvare l'integrità della
sua mente. Stava vivendo in quel mondo nei panni di Mulder, e non
doveva fare altro che accettare questo fatto. Era certo che Scully
l'avrebbe aiutato, in questo, così come aveva aiutato Mulder
innumerevoli volte. Anche solo col tocco di una mano sulla spalla, o
con un sorriso, come ora.

   Mulder e Franz le sorrisero a loro volta. Poi Mulder uscì e si
richiuse alle spalle la porta dell'ufficio.

   

   

   F.B.I. Headquarters

   Washington, D.C.

   28 febbraio 2001, 10:13 a.m.

   

   "Fox! Sei tra noi?!"

   Mulder si riscosse dai suoi pensieri, e alzò lo sguardo verso la
porta, da cui spuntava la testa di Paul Veroni, l'unico agente che
ancora si ostinava a chiamarlo per nome.

   L'uomo spalancò la porta del piccolo ufficio di Mulder e avanzò
verso la scrivania, posandovi una discreta pila di fascicoli. "Questi
sono tutti per te, Fox" disse, con un sorriso che a Mulder sembrò un
ghigno di soddisfazione. "Si tratta dell'attentato del 4 febbraio al
Madison Square Garden... Secondo Skinner dovresti darci un'occhiata,
visto che hai già avuto a che fare con terroristi che usavano armi
batteriologiche..." Allargò il sorriso: "Strano, però! Pensavo che in
passato tu ti fossi occupato solo di UFO e fenomeni strani!"

   Mulder gli lanciò uno sguardo storto. "Me ne occupo ancora, Paul"
disse poi, con un sorriso tirato. "Attualmente sto cercando di
scoprire quale strano fenomeno abbia consentito a un emerito imbecille
di diventare un agente dell'F.B.I...."

   Veroni rimase interdetto per qualche secondo. Poi annuì lentamente,
con aria navigata. "Eh, non ci casco, Fox! Tu non hai fatto nomi..."

   Fu Mulder a ghignare, stavolta. "Stavo parlando di me, ovviamente!"

   L'altro esitò un secondo, poi scosse la testa. "OK, Fox, lasciamo
perdere." Indicò i fascicoli con un gesto della mano. "Sono tutti
tuoi. Divertiti."

   Mulder lo guardò uscire, e aspettò che fosse passato qualche minuto
prima di allungare una mano per prendere il primo fascicolo della
pila. Scorse in fretta alcune pagine di rapporti, senza che nulla
attirasse particolarmente la sua attenzione. Nel tentativo di
concentrarsi su ciò che stava leggendo, prese in mano una matita senza
punta e cominciò ad accompagnare con essa le righe del testo. Dopo
qualche secondo si fermò a metà di una riga. Si era reso conto di non
aver compreso nulla della frase che aveva appena letto. Si era
distratto, probabilmente. Ma non ne era sicuro. Perplesso, rilesse la
riga. D'un tratto la vide farsi tremolante e indistinta, e
contemporaneamente sentì una specie di lieve scossa corrergli lungo la
spina dorsale.

   La sensazione scomparve in pochi secondi, lasciando Mulder a
fissare il vuoto e a chiedersi cosa diavolo gli fosse capitato.

   

   

   Franz aprì gli occhi. La prima cosa che vide fu la parete
dell'armadio, e subito dopo si rese conto di essere disteso sul
pavimento. Faticosamente si mise seduto, massaggiandosi un braccio che
formicolava, probabilmente perché si era addormentato tenendolo
ripiegato sotto il corpo.

   Addormentato? Dunque ciò che aveva vissuto non era stato altro che
un sogno... Un bellissimo sogno, così realistico da lasciare ricordi
incredibilmente vividi e ricchi di particolari. Ma c'era qualcosa che
non andava... Lui ricordava tutto ancor prima di ricostruire il sogno
nella mente. Com'era possibile? Lanciò un'occhiata all'orologio, che
segnava le 2:48: diciotto minuti dall'ultima volta che aveva
controllato l'ora. Si appoggiò le mani sulle tempie, scuotendo il
capo. Aveva sognato? Era pazzo? Oppure era davvero finito in un altro
universo?

   Smarrito, si voltò a guardare il muro. E ritrovò la macchia.

   

   

   Mulder non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che ciò che gli
era capitato avesse un collegamento con la storia che gli aveva
raccontato Cutfleece. Aveva tentato di non pensarci, riprendendo il
lavoro, ma si era accorto ben presto che la sua mente era altrove.
Così aveva rimesso il fascicolo in cima alla pila, e aveva cominciato
a riflettere, giungendo ben presto alla conclusione che l'unica
speranza di trovare qualche risposta era legata a colui che aveva dato
inizio a tutto, ovvero lo stesso Cutfleece.

   Gli archivi informatici dell'F.B.I. non tardarono a fornirgli le
informazioni che cercava, direttamente sul monitor del suo computer.
Joseph F. Cutfleece, nato nel 1953 a Venice, in California. Mai
sposato, nessun figlio, nessun parente in vita. Un lavoro come
impiegato postale che aveva lasciato nel marzo del '99. Residente nel
Lower East Side di New York fino all'ottobre dello stesso anno...

   Mulder sospirò, smettendo di leggere. Cutfleece non risiedeva più a
New York. O meglio, vi risiedeva, ma in un luogo un po' diverso dal
Lower East Side, un luogo dove sarebbe stato difficile raggiungerlo
per fargli delle domande... Era morto d'infarto nel suo letto. Dopo
una settimana qualcuno se n'era accorto.

   Deluso, Mulder riprese svogliatamente a leggere il documento. Ma il
suo interesse si rinfocolò quando scoprì che nel '97 Cutfleece aveva
trascorso circa due mesi in una clinica psichiatrica, dopo aver
mostrato i sintomi di un disturbo che era stato diagnosticato come un
caso anomalo di dissociazione della personalità. Giudicato guarito, si
era trasferito a New York, dopo di che aveva pensato bene di andare a
raccontare la sua strana storia ad un agente dell'F.B.I. famoso per
credere praticamente a tutto, che stranamente quella volta non si era
lasciato convincere, arrivando persino a consigliarlo di mettere la
sua fantasia al servizio della letteratura.... Consiglio che - scoprì
Mulder non senza sorpresa - Cutfleece aveva seguito alla lettera,
scrivendo e pubblicando un romanzo dall'emblematico titolo "Walking in
Spock".

   Mulder sorrise fra sé, chiedendosi se il libro avesse venduto
qualche copia. Era probabile, visto che in seguito Cutfleece aveva
abbandonato il lavoro. Dopo di che era morto, portando con sé la sua
verità, e chissà, magari togliendo a Spock la possibilità di fare
quattro passi lungo la Fifth Avenue, ogni tanto...

   Eppure Cutfleece non si era portato dietro proprio tutto. Il suo
libro era rimasto, e Mulder si rese conto che esso costituiva l'unico
mezzo possibile per sapere qualcosa di più sull'argomento. Con una
decisione improvvisa, si alzò dalla sedia, prese l'impermeabile
dall'attaccapanni e spalancò la porta dell'ufficio... arrestandosi di
colpo per non travolgere Scully, ferma in piedi sulla soglia, il
braccio sollevato nell'atto di bussare.

   "Mulder!" esclamò lei, colta di sorpresa. "Stavi uscendo per la
pausa-pranzo? Venivo proprio a..."

   Lui scosse la testa. "No, scusa, adesso ho da fare... E comunque
non ho fame." Le sorrise, mentre si allontanava lungo il corridoio.
"Ci vediamo più tardi. O magari domani..." Alzò la mano in un gesto di
saluto.

   "Non mangi neanche oggi?" Scully, ancora ferma sulla porta
dell'ufficio, lo guardò entrare nell'ascensore, perplessa. "Mulder!"

   Le porte dell'ascensore si richiusero.

   

   

   Appartamento di Fox Mulder

   Alexandria, VA

   28 febbraio 2001, 7:08 p.m.

   

   Richiudendosi la porta alle spalle, Mulder si tolse impermeabile e
giacca insieme, e li appese alla bell'e meglio sull'attaccapanni. Dopo
aver posato sul tavolino la pistola e il sacchetto con l'hamburger
ormai freddo, si allentò la cravatta, mentre si dirigeva in cucina per
versarsi un bicchiere di latte. Poi tornò in soggiorno, ripescò dalla
tasca dell'impermeabile ciò che aveva trovato dopo un intero
pomeriggio passato a vagare in tutte le biblioteche di Washington, e
finalmente si lasciò cadere sul divano, sfilandosi le scarpe e
lanciando la cravatta sulla poltrona che stava dalla parte opposta
della stanza.

   Tre ore più tardi, si posò sullo stomaco il libro aperto alle
ultime pagine, quindi si stirò e si stropicciò gli occhi. Rimase a
lungo steso immobile a fissare il soffitto, la mente ingombra di
pensieri. Poi allungò una mano verso il telefono cordless e compose un
numero.

   Lei rispose dopo tre squilli.

   "Scully, sono io... Ti disturbo?"

   "No, Mulder... Stavo scrivendo un rapporto." Una pausa. "Dove sei
stato tutto il giorno? Hai mangiato?"

   Lui lanciò un'occhiata all'hamburger che attendeva tristemente sul
tavolino, e al bicchiere di latte bevuto a metà. "Mmm... Ho mandato
giù qualcosa" rispose. "Scully, sai che Cutfleece aveva scritto un
libro?"

   Lei rimase in silenzio per qualche istante. "Cutfleece... Il tizio
dei viaggi, vero? Ma non avevi detto che era un argomento chiuso?"
Sospirò leggermente. "Dunque ha accolto il tuo suggerimento... Ma...
perché hai detto 'aveva'? Non sarà per caso...?"

   "Morto" completò Mulder. "Sono arrivato troppo tardi. Però sono
riuscito a recuperare una copia del libro. E l'ho già letto tutto,
Scully, mi mancano solo le ultime pagine."

   "Accidenti!" esclamò lei. "Dev'essere interessante..."

   "Mah, dipende... Come romanzo di fantascienza è appena passabile...
Se invece lo leggi come se fosse la cronaca di qualcosa che è accaduto
davvero... Be', ci sono certi particolari che danno da pensare... A
quanto ho capito, nella parte che devo finire di leggere Cutfleece si
lancia in un tentativo di dare una spiegazione a ciò che ha
raccontato."

   "E cos'ha raccontato, Mulder?"

   Il tono di Scully sembrava interessato, e Mulder evitò volutamente
di soffermarsi sul pensiero che in realtà lei poteva essersi imposta
di mostrarsi tale... "La storia di un certo Frederick C., che un
giorno si ritrova sull'Enterprise nel corpo del signor Spock, a fargli
da testimone silenzioso di tutte le sue avventure. E che talvolta gli
fa da ospite altrettanto silenzioso in questo universo." Per qualche
secondo non udì alcun suono provenire dalla cornetta. "Scully? Sei
ancora lì?"

   "Sì... Stavo pensando... Hai notato che in questa storia è sempre
Spock ad avere il controllo sulle azioni di entrambi i corpi? Questo
non ti dice niente? Cutfleece ha creato un personaggio che è il suo
alter-ego, e che guarda caso viene controllato da altri. Visto che sei
uno psicologo, dovresti insegnarmi che questo sembra un sintomo di
fuga dalle responsabilità, estrema immaturità e identità instabile...
Perché mai avrebbe descritto una situazione del genere, altrimenti?"

   "Perché è quello che è successo?" Mulder sorrise fra sé,
immaginando Scully che alzava gli occhi al cielo. "Comunque nel libro
tenta di spiegarlo. In un certo senso è la forte attrazione che questo
Frederick prova per l'altro universo ad aprire un passaggio che
permette al suo... mmm... vogliamo chiamarlo spirito? di entrarvi, in
certi momenti favorevoli. E in altri momenti lo spirito del suo ospite
viene, come dire, risucchiato dalla nostra parte attraverso quel
corridoio, quasi fosse necessaria una simmetria, un equilibrio tra gli
universi... Ma tra i due spiriti che per un periodo convivono nello
stesso corpo è uno solo a prenderne il controllo, cioè quello di colui
che ha attirato l'altro nel suo mondo, e in cui l'altro si era da
tempo identificato. Nel caso di Frederick, e di Cutfleece, il signor
Spock, appunto."

   "Quindi, se il libro si ispira ad una storia vera, il signor Spock
per un certo periodo si sarebbe aggirato dalle nostre parti dentro il
corpo di un tipo di Venice..." disse Scully, in tono ironico. "E
nessuno se n'è accorto..."

   "Be'... Forse qualcuno sì" mormorò Mulder, pentendosene subito.
"Insomma... Se uno come Spock finisse qui da noi, non passerebbe
inosservato, almeno finché non avesse appreso usi e abitudini del
posto..."

   "In altre parole" lo interruppe Scully "mi stai dicendo che
Cutfleece ha avuto problemi... Aspetta, lasciami indovinare: è finito
in clinica e condivideva la stanza con un Roosevelt e un
D'Artagnan..."

   Mulder sospirò rumorosamente. "Lo sai, Scully? Lavorare con Doggett
ha affinato la tua vena sarcastica... Se vuoi ti insegno anche a
lanciare le matite sul soffitto. E' facile, basta..."

   "Ci ho preso, vero?" lo interruppe di nuovo lei. "Mulder, vuoi un
consiglio? Smetti di leggere a va' a dormire."

   Lui sorrise, massaggiandosi gli occhi. "Penso che sia un ottimo
consiglio, Scully. Valuterò attentamente l'opportunità di seguirlo,
OK?"

   "Buonanotte, Mulder."

   Il suono della linea libera sostituì la voce di Scully, e Mulder
rimase per qualche secondo ad ascoltarlo. Poi posò il telefono sul
tavolino e riprese in mano il libro. Fece in tempo a leggere mezza
pagina, prima di addormentarsi di colpo, col libro posato sul petto.

   

   

   Una piccola città

   11:29 a.m.

   

   Da circa cinque minuti Franz stava fissando senza vederlo il testo di
una lettera sullo schermo del suo computer. Gli era impossibile
concentrarsi sul suo lavoro. Quella notte non era riuscito a dormire,
ancora troppo sconvolto per ciò che gli era capitato. E al mattino
aveva dovuto costringersi ad alzarsi dal letto e a recarsi in ufficio,
ma con la mente era rimasto a casa, a riflettere sulla macchia e sulle
sue implicazioni. Una volta superata la paura che quell'evento così
strano aveva suscitato in lui, non aveva più smesso di pensare a ciò
che esso significava, fantasticando sulle insperate opportunità che
poteva offrirgli: la possibilità di andare e venire dal mondo in cui
aveva sempre sognato di trovarsi... di vivere da protagonista le
vicende affascinanti e movimentate che da semplice spettatore gli
avevano regalato emozioni mai provate prima... Ogni tanto gli veniva
in mente che, per quanto ne sapeva, ora il varco poteva essersi
richiuso per sempre, o che magari era ancora aperto, ma una volta
varcato non c'era possibilità di ritorno... Questi pensieri lo
facevano agitare sulla sedia, smanioso di tornare a casa e capire come
stavano le cose... Ma quel giorno le lancette dell'orologio sembravano
muoversi più lentamente del solito, e le cinque erano ancora
lontane...

   "Vidal! Ha inviato quella lettera?"

   Franz ebbe un sussulto, udendo dietro di sé la voce del suo
capufficio. Istintivamente cliccò sul tasto 'stampa'. "Lo sto
facendo..." mormorò, allungando una mano per inserire un foglio nella
macchina prima che si bloccasse. "Devo inviarla via fax, vero?"

   "Vidal, quando si deciderà a rinunciare al fruscìo della carta? Se
avesse usato il modem a quest'ora l'avrebbe già spedita..." e si
allontanò, scuotendo il capo, come chi sa di aver sprecato tempo e
parole.

   Franz lo guardò sparire oltre la soglia, e sospirò, mentre infilava
il foglio stampato nel fax e componeva il numero. Tutto sommato
l'eventualità di entrare nell'altro universo senza poter ritornare non
gli pareva più così spaventosa...

   

   

   ...0-1-3.

   Mulder si accorse di avere un dito appoggiato sul tasto 'Start', e
lo premette senza pensarci troppo. Due secondi più tardi si chiese a
cosa diavolo aveva dato il via, e si rese conto che si trattava di un
innocuo fax. Osservando l'apparecchio, notò qualcosa di strano: non
gli sembrava il fax che aveva nel suo ufficio. L'avevano cambiato
senza dirgli nulla? Si voltò per assicurarsi che il computer fosse
rimasto lo stesso... e si accorse che era cambiato l'intero ufficio.

   Si guardò intorno, osservando la scrivania, gli scaffali, le sedie
di metallo, e una pianta ornamentale che si stava seccando in cima ad
uno schedario. Sul muro era appesa una lavagna di plastica con appunti
scritti in una grafia disordinata e incomprensibile.

   Mulder si alzò in piedi, perplesso. Quello non era il suo ufficio.
E non ricordava di esserci venuto, né di averlo mai visto. Girò
intorno alla scrivania e si avvicinò al giaccone appeso
all'attaccapanni. Stava per allungare una mano per rovistare in una
tasca, quando la porta si aprì di colpo, e sulla soglia comparve un
tipo alto e robusto, sulla quarantina, con in mano un foglio e una
penna.

   "Allora, Franz, che mi dici? Hai cambiato idea?" chiese senza
preamboli, in tono gioviale.

   Mulder lo fissò senza capire. Non aveva mai visto quell'uomo,
eppure lui gli si era rivolto come se lo conoscesse. Ma perché l'aveva
chiamato Franz?

   "Cambiato idea su cosa?" buttò lì, non sapendo che altro dire. Il
dubbio si manifestò anche nel suo tono di voce, che gli suonò incerta
e alterata.

   L'uomo sorrise. "Non dirmi che te ne sei già dimenticato... La cena
di domani, no? Manchi solo tu.... Che faccio, ti segno?" Mostrò il
foglio con una lunga lista di nomi scritti a penna. "Dài, non fare
l'asociale come al solito!"

   Mulder, a disagio, cercò in fretta un modo per interrompere quella
discussione. "Non... non me la sento di venire, davvero..." mormorò.
"Scusami, ma oggi non sto molto bene..."

   L'uomo lo squadrò. "In effetti non hai un bell'aspetto..."
commentò. "Be', se ci ripensi sai dove trovarmi" disse facendo un
passo indietro in direzione della porta, come se improvvisamente
avesse fretta di andarsene. "Ci vediamo..." e scomparve oltre la
soglia.

   Mulder rimase immobile in mezzo alla stanza per quasi un minuto,
fissando la porta. Poi si osservò le mani, e i piedi, e i vestiti...
Sempre più confuso e inquieto, girò lo sguardo intorno per cercare
qualcosa che gli desse una conferma. Lo trovò sotto forma di un
piccolo quadro a specchio. Si avvicinò e osservò la propria immagine
riflessa.

   

   

   Franz guardò sé stesso riflesso nel vetro. E capì che quel tale di
cui aveva parlato Mulder aveva trovato le parole giuste per esprimere
ciò che lui stava provando in quel momento: 'E' come guardarsi allo
specchio con gli occhi di un altro'. E l'altro era Mulder, su questo
non aveva dubbi.

   Benché l'avesse sentito raccontare a Scully la storia del passaggio
nei due sensi, non aveva previsto che gli potesse accadere di
diventare 'l'ospite' di Mulder in questo universo. Da una parte ne era
felice, perché in quel modo gli forniva l'opportunità di vivere
un'esperienza insolita; dall'altra si sentiva un po' sminuito, perché
quando Mulder era arrivato aveva assunto il controllo del suo corpo, e
lui ora stava vivendo la stessa situazione passiva che aveva vissuto
dall'altra parte. Come se non bastasse, Mulder non si accorgeva della
sua presenza in nessuno dei due mondi. Franz non poteva ascoltare i
suoi pensieri, ma sentiva che era così. Forse il controllo del corpo
veniva preso dalla mente migliore, quella dotata di più forza ed
energia. Se era così, non c'era dubbio che toccasse a Mulder...

   

   

   Con la mente in subbuglio, Mulder si allontanò dal quadro a
specchio e tornò accanto all'attaccapanni, per frugare nelle tasche
del giaccone che vi era appeso. Vi trovò qualche moneta, alcuni
biglietti dell'autobus arrotolati, un mazzo di chiavi, una manciata di
foglietti scritti con la stessa grafia della lavagna e, finalmente, un
portafogli. Ne estrasse un documento d'identità, e il suo sguardo
corse alla fotografia che vi era applicata. Era la stessa persona che
aveva visto riflessa nel vetro. Accanto alla foto, il nome: Franz
Vidal.

   Mentre guardava il documento che sanciva quella che sembrava la sua
nuova identità, Mulder ebbe la sensazione di aver già vissuto una
situazione del genere, in passato. Ma probabilmente si era trattato
soltanto di un sogno molto realistico, di cui non erano rimaste che
vaghe tracce a livello inconscio... Questo invece non era un sogno, ne
era assolutamente certo. Per un attimo si spaventò, al pensiero che si
trattasse di un'allucinazione indotta in lui da qualche sostanza, o
chissà, magari da un generatore di realtà virtuali... Aveva già avuto
esperienze del genere, e non erano state piacevoli... Ma a poco a poco
si rese conto che stava girando intorno alla questione, come se
preferisse trovare spiegazioni familiari a qualcosa che in effetti non
aveva mai sperimentato, accettandolo solo a livello di ipotesi.
Qualcosa che aveva trovato descritto nei minimi dettagli nel libro di
Cutfleece.

   Improvvisamente sentì il bisogno di uscire da quell'ufficio. Ma per
andare dove? Si trovava in una città che non conosceva, in un mondo
diverso dal suo, un mondo in cui probabilmente un Fox Mulder neppure
esisteva... Quel pensiero lo colpì come uno schiaffo. Com'era
possibile che questo Franz lo conoscesse a tal punto da essere stato
in grado di creare un ponte tra due universi? Ed era davvero riuscito
ad entrare nel suo mondo e nella sua vita, così com'era appena
successo a lui? E perché proprio lui? Come faceva a conoscerlo? E
soprattutto... c'era davvero un modo per tornare indietro, come aveva
lasciato scritto Cutfleece? Mulder capì che c'era un solo posto dove
poteva sperare di trovare qualche risposta a quelle domande. Si mise a
rovistare nei cassetti e sugli scaffali alla ricerca di uno stradario.
Trovatolo, si infilò il giaccone di Franz, si mise in tasca i suoi
documenti e uscì dall'ufficio, preparandosi a dare una giustificazione
qualsiasi per il suo improvviso abbandono del posto di lavoro.

   

   

   Casa di Franz Vidal

   1:07 p.m.

   

   Mulder, fermo sul marciapiede davanti al vecchio palazzo,
ricontrollò l'indirizzo sul documento, quindi si avviò verso
l'entrata, estraendo dalla tasca il mazzo di chiavi e notando solo in
quel momento, con una certa sorpresa, che vi era appeso un minuscolo
alieno di plastica fosforescente. Una volta entrato nel piccolo atrio
poco illuminato, cercò la cassetta delle lettere di Franz, e controllò
la posta, non trovando altro che una serie di bollette e di dépliant
pubblicitari. Poi si incamminò lungo le scale e salì fino al sesto
piano, prima di trovare l'appartamento giusto, al numero 13. Entrò e
si richiuse la porta alle spalle.

   L'appartamento era piuttosto piccolo. Lungo tutte le pareti libere
dell'atrio erano disposte grandi librerie zeppe di volumi di tutti i
tipi, e uno scaffale stracarico di pacchi di giornali e di
archiviatori da ufficio, disposti in ordine sparso. Mulder si avvicinò
e ne prese uno a caso, trovandovi una serie di articoli ritagliati da
riviste e quotidiani, e divisi per argomento: "Paranormale", "Alieni",
"Mostri e stranezze", "Serial Killers", "Civiltà misteriose",
"Religioni e sette", "Miracoli", "F.B.I.", "Novità scientifiche"...
Stupito, dovette ammettere che quelle carte costituivano un indizio
importante: sembrava quasi che questo Franz fosse interessato agli
eventi che costituivano la materia di cui Mulder si occupava
solitamente, o meglio, di cui si era occupato in passato... Ma questo
non spiegava ancora quello che era successo.

   Entrò nella stanza da letto. Guardandosi intorno, non notò nulla
che potesse sembrargli degno di nota. Nell'attraversare la camera,
passò davanti ad uno specchio incassato nell'armadio, e non poté fare
a meno di voltarsi per guardare l'immagine estranea che esso gli
rimandava: quella di un uomo magro e non molto alto, apparentemente
più giovane di lui, con capelli e occhi scuri. Non era facile
convincersi che la persona che stava guardando era lui stesso, o
meglio il suo attuale corpo...

   "Salve, Franz..." mormorò, fissando negli occhi la figura riflessa.
"Mi senti? Io non sento i tuoi pensieri, e immagino che per te sia lo
stesso..." Si avvicinò allo specchio, per osservare meglio il proprio
volto. "A giudicare da ciò che hai scatenato pur di diventare qualcun
altro, direi che non ti piaci molto, vero?" Si toccò il naso. "Ma se
non apprezzi l'insieme, dovresti almeno rivalutare certe parti..."

   Sorrise, sentendosi un po' stupido. Con un sospiro, fece un passo
indietro in direzione del letto, e in quel mentre il suo sguardo trovò
una grossa macchia sul muro, a lato dell'armadio. Gli sembrò un
particolare incongruo, perché il resto delle pareti erano
perfettamente pulite. Poi, di colpo, gli balenò nella mente il
collegamento con quanto aveva raccontato e scritto Cutfleece: una
macchia sul pavimento di una cantina dava accesso ad un altro
universo. E se questa macchia avesse fatto lo stesso, permettendogli
di tornare indietro? Senza pensare più di due secondi a ciò che stava
per fare, allungò le dita verso la macchia, la toccò... e la sua mano
si appoggiò sul muro. Se quello era un varco, in quel momento era
chiuso, almeno per lui. Proprio come aveva detto Cutfleece.

   Deluso, Mulder uscì in fretta dalla camera ed entrò nel piccolo
tinello. Notò che non era molto diverso dal suo: un comodo divano, un
tavolino, un grande apparecchio televisivo con accanto un
videoregistratore, una scrivania ingombra di carte che si contendevano
lo spazio con un computer. Alle pareti erano appese stampe, poster e
mensole cariche di libri e videocassette.

   Mulder si diresse verso la scrivania, in parte nascosta da un
rientranza nel muro. E si accorse che sulla parete alla sua sinistra
era attaccato un piccolo poster a lui ben noto. Ma la cosa più
sorprendente era il post-it appiccicato sopra l'immagine del disco
volante. "Tu sei qui", c'era scritto. La stessa frase che un giorno
ormai lontano aveva letto su un foglietto trovato attaccato al poster
che c'era nel suo ufficio, prima che andasse bruciato nell'incendio.

   Mulder non riusciva a spiegarsi come Franz potesse essere al
corrente di quel particolare, che persino lui ricordava a malapena. In
cerca di una risposta qualsiasi, si guardò intorno. E non trovò
nient'altro che nuove domande.

   Un foglio con l'emblema dell'F.B.I. appeso al muro. Un pannello di
sughero costellato di foglietti gialli, su uno dei quali c'era scritto
"John Doggett!", sottolineato in rosso. Una scheda segnaletica
dell'F.B.I. su un ricercato che lui conosceva bene. Un berretto da
baseball dei N.Y. Yankees che penzolava dall'angolo di una mensola. E
una fila di libri assortiti, accomunati dalla scritta "X-Files" che
compariva qui e là nei frontespizi.

   Eccitato e turbato ad un tempo, Mulder allungò una mano e prese un
libro dal titolo "Punto zero". Sfogliandolo, capì che si trattava di
un romanzo. E capì che quel romanzo non era altro che la cronaca di
avvenimenti che lui e Scully avevano vissuto anni prima... Con un
senso di inquietudine, prese un altro libro e lo aprì a caso,
trovandosi di fronte la scheda dell''Agente Speciale Dana Scully', con
tanto di foto e numero di matricola. Tornò indietro di qualche pagina,
e si trovò a fissare sgomento l'immagine di Alex Krycek, ripreso con
aria minacciosa alle spalle di suo padre...

   Sentendo per un attimo le gambe cedergli, Mulder posò il libro e si
lasciò cadere sulla sedia di fronte alla scrivania. Chiuse gli occhi e
respirò a fondo due o tre volte. Un tremendo sospetto si stava facendo
strada nella sua mente, ma sembrava che una parte di lui si rifiutasse
di prenderlo in considerazione. Eppure, se da qualche parte esisteva
un universo in cui l'Enterprise viaggiava davvero nello spazio con a
bordo il signor Spock... Alzandosi di scatto, con un improvviso senso
d'urgenza, Mulder si avvicinò allo schermo televisivo, e passò
velocemente in rassegna i frontespizi delle videocassette allineate su
uno scaffale lì accanto: quasi tutti riportavano la scritta
"X-Files"... Ancora una volta si affidò al caso: ne prese una e lesse
sul retro, scritti a penna, alcuni titoli che non gli dissero nulla;
poi la inserì nel videoregistratore, accendendo la TV e facendolo
partire. Sullo schermo comparve un lungo corridoio bianco,
probabilmente quello di un ospedale. Un uomo era seduto accanto ad una
parete, a capo chino, in attesa... Mulder per un attimo si sentì
girare la testa, e dovette appoggiarsi ad una sedia per ritrovare
l'equilibrio. Aveva già visto quella scena. L'aveva vissuta in prima
persona. Perché l'uomo nel corridoio era Fox Mulder, e quello che lo
schermo mostrava era un episodio cruciale della sua esistenza, e di
quella di Scully. Ma in questo universo non era altro che l'episodio
di una storia televisiva recitata da un attore identico a lui. Uno
spettacolo. E in quello spettacolo 'Fox Mulder' era soltanto il nome
di un personaggio.

   Per un attimo, Mulder non vide più nulla, e si convinse di essere
sul punto di perdere i sensi. Poi si accorse di avere gli occhi
chiusi, e li riaprì di scatto. Quando si sollevò sui gomiti, sentì un
tonfo, come di qualcosa che cadeva sul pavimento. Si sporse dal
divano, e vide il libro a terra, accanto al tavolino. Solo in quel
momento si rese conto di non trovarsi più nell'appartamento di Franz,
e istintivamente guardò l'orologio. Erano le 10:37. Non dovevano
essere trascorsi più di dieci minuti dal momento in cui si era... si
era che cosa? Addormentato, avrebbe suggerito Scully. Ma Mulder,
ancora sconvolto per ciò a cui aveva assistito, era sicuro che non si
era trattato di un sogno...

   Allungò una mano verso il cordless, per chiamare Scully e metterla
al corrente dell'accaduto, ma cambiò idea prima di toccare
l'apparecchio. Cosa le avrebbe raccontato? Che era stato in un
universo dove loro due non erano altro che personaggi televisivi? Che
aveva percorso le strade di una città mai vista dentro il corpo di uno
sconosciuto? Che il tempo si era dilatato, e un minuto da questa parte
equivaleva ad un'ora nell'altra? Si mise seduto, coprendosi la faccia
con le mani, in preda all'incertezza. Doveva dirglielo? E se l'avesse
fatto, lei avrebbe creduto ad una storia troppo assurda anche per gli
standard dello stesso Mulder? Probabilmente no. Forse avrebbe pensato
che lui era definitivamente uscito di senno, oppure avrebbe collegato
i suoi vaneggiamenti a qualche effetto secondario del congegno che gli
era stato impiantato... In ogni caso si sarebbe preoccupata per lui. E
Mulder non voleva che accadesse. Scully aveva già troppe cose di cui
preoccuparsi, e non era il caso che lui ne aggiungesse un'altra alla
lista.

   Stanco, si sdraiò di nuovo sul divano. Sperando che per quella
notte i viaggi fossero finiti. L'ultimo suo pensiero, prima di essere
ghermito dal sonno, si soffermò piacevolmente sull'eventualità che
esistesse un universo in cui Vladimir Zhirinovsky era soltanto il
protagonista di un fumetto satirico.

   

   

   Quando la vista gli si rischiarò, Franz si ritrovò a fissare una
Scully dal volto pallido e un Mulder dal sorriso triste, che si
abbracciavano in mezzo ad un corridoio. Rimase a guardare la scena
sullo schermo per qualche secondo, poi spense il televisore.

   Ancora non riusciva a credere a ciò che era successo. Mulder in
persona era stato nel suo ufficio, e aveva visto la sua casa... Gli
aveva addirittura parlato! Anzi, si poteva persino dire che per
qualche ora Mulder era diventato Franz Vidal! E non se l'era cavata
male, considerando il fatto che il mondo in cui era capitato gli era
del tutto sconosciuto... Doveva essere stato un trauma, per lui,
scoprire di esistere in quell'universo sotto forma di personaggio...
Ma la sua mente allenata alle esperienze più strane l'avrebbe aiutato
a superarlo, Franz ne era sicuro. Ancora in preda all'eccitazione, non
vedeva l'ora di raccontare a qualcuno ciò che gli era successo. E a
chi, se non ai suoi amici in Rete?

   Cinque secondi più tardi era già seduto di fronte al computer, in
attesa che sullo schermo comparisse il desktop con lo stemma
dell'F.B.I.. E intanto rifletteva su ciò che avrebbe scritto. Tutta la
storia, ovviamente, senza tralasciare nulla. I suoi amici della
mailing list l'avrebbero letta con interesse, o almeno così sperava.
Certo, non si illudeva che gli avrebbero creduto: lui stesso faceva
fatica a convincersi che fosse vera, in certi momenti. E persino
Mulder, di solito così recettivo, la prima volta che l'aveva sentita
raccontare aveva pensato che Cutfleece avesse il cervello fuori
fase... Ma che gli credessero o no, l'importante per Franz era far
loro conoscere la storia. Lui sapeva che era vera. Gli altri magari
avrebbero pensato che fosse solo un frutto della sua fantasia
galoppante e del suo bisogno di evadere. Chissà, forse qualcuno si
sarebbe convinto che quando lui scherzava sul fatto di avere qualche
meccanismo cerebrale ingrippato non era poi così lontano dalla
verità... Pazienza. Magari la lettura li avrebbe divertiti, e questo
di per sé sarebbe stato un risultato positivo.

   Mezz'ora più tardi rilesse per la seconda volta la mail
indirizzata in lista, e, dopo un attimo di esitazione, cliccò sul
tasto di invio. Poi modificò l'identità del mittente, scegliendo "Fox
Mulder" - era strano pensare che ora lo poteva fare anche al di fuori
del mondo virtuale! - e aprì una nuova mail. Scelse l'indirizzo della
sua corrispondente più assidua, e scrisse "Essere Franz" nello spazio
dell'oggetto. Batté velocemente alcune righe, e spedì la mail. Poi la
rilesse.

   'Scully, so già che non mi crederai, ma devo assolutamente
raccontare a qualcuno ciò che mi è successo stamattina. Ero a casa
mia, davanti allo specchio...'

   

   

   

   SECONDA PARTE

   

   'Non voglio diventare un Dispensatore di Verità. Non l'ho mai
fatto, e non era mia intenzione farlo qui. Io ho solo raccontato ciò
che ho vissuto, e ho voluto cercare di dare una risposta che lo
spiegasse. Non è detto che sia quella giusta. Ma non è neppure detto
che sia sbagliata. E' una possibilità, ecco tutto.

   Io penso che tutti noi sperimentiamo il passaggio tra un universo e
l'altro. Tutti noi siamo "spiriti erranti", come qualcuno li ha
definiti. Nel momento della morte, lo spirito, o meglio, la nostra
energia vitale, abbandona il corpo e i ricordi legati ai processi
elettrochimici del cervello, per imboccare un tunnel che la conduce in
uno qualsiasi degli infiniti universi possibili, dentro una qualsiasi
creatura senziente che viene alla luce. Non c'è Paradiso, Inferno,
Nirvana, Walhalla o Celesti Praterie... Solo un perpetuo susseguirsi
di esistenze in dimensioni e in mondi diversi.

   Poche frasi, come vedete, per dare una risposta alle Domande di
sempre: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Sul "perché siamo
qui?" non mi pronuncio, non è compito mio. Al massimo potrei buttar lì
una risposta del tipo "Perché non siamo nei restanti infiniti
Altrove", ma ovviamente è solo una battuta. Oppure no, chi può dirlo?

   Come tutte le ipotesi, anche la mia annovera delle importanti
eccezioni. Esistono Spiriti che non imboccano il tunnel nel momento in
cui muore il corpo che occupano, e restano quindi sospesi per un certo
periodo in una specie di inter-universo, che paragonerei alla sostanza
eterea che secondo gli antichi impregnava l'intero Cosmo, ovvero, in
questo caso, l'insieme degli universi che occupano il medesimo spazio.
Questi Spiriti restano in contatto con l'universo che hanno appena
lasciato, probabilmente per la presenza di qualcosa di irrisolto nella
loro vita precedente, come già hanno spiegato coloro che si occupano
delle presenze ectoplasmiche, o fantasmi che dir si voglia. Ci sono
casi in cui tali Spiriti riescono a tornare nel corpo che occupavano,
conservando vaghi ricordi della loro esperienza.

   Un'altra eccezione è quella che mi riguarda personalmente, e che mi
ha permesso di scrivere questo libro...'

   
(Joseph F. Cutfleece - Postfazione a "Walk-in' in Spock")

   

   

   F.B.I. Headquarters

   Washington, D.C.

   1 marzo 2001, 11:29 a.m.

   

   Mulder richiuse il libro, e lo posò sulla scrivania. Ormai era la
terza volta che leggeva quella parte, e non aveva bisogno di arrivare
alla fine per sapere qual era l'ultima eccezione. Esistevano spiriti,
come quello che aveva occupato il corpo di Cutfleece, o quello che
attualmente occupava il corpo di Franz, che erano in grado di
trasferirsi in altri universi indipendentemente dalla morte
dell'organismo che li ospitava. Con la loro energia mentale creavano
un ponte fra due mondi, grazie alla presenza, nell'altro universo, di
un punto di aggancio, ovvero un'entità senziente con la quale avevano
stabilito un qualche tipo di contatto a distanza. L'aggancio di Franz
era Mulder. E così l'aveva coinvolto in questa altalena tra un
universo e l'altro, e tra un corpo e l'altro...

   Mulder si sforzò di comprendere le implicazioni di ciò in cui si
era imbattuto. La sua vicenda personale, per quanto incredibile e
sconvolgente potesse apparire, non era che un particolare, di fronte
alla portata di ciò che aveva affermato Cutfleece nelle ultime righe
del suo romanzucolo, che Mulder aveva estratto a fatica da sotto una
catasta di libri in vendita a metà prezzo. La sua ipotesi dava una
risposta semplice e concisa alle domande che credenti e filosofi si
erano posti per millenni. Era l'essenza stessa degli X-Files. Grazie
ad essa, tutti i fenomeni inspiegabili su cui aveva indagato potevano
essere compresi e catalogati. E che senso avrebbe avuto fare ancora
distinzioni tra umani, alieni e ibridi, quando nel corpo di un
qualsiasi alieno grigio poteva albergare uno spirito che in un altro
universo e in un'altra vita era stato uno sceriffo del Nuovo Messico,
o un lanciatore dei N.Y. Yankees? E aveva ancora senso distinguere tra
scienza, religione e paranormale? Si trovava in quelle pagine la
risposta che avrebbe messo d'accordo una volta per tutte lui e Scully?
Forse avrebbe dovuto fargliele leggere... Ma non era molto favorevole
a quell'idea, almeno per il momento. Se l'avesse fatto, lei si sarebbe
chiesta il motivo della sua attrazione per le fantasie di Cutfleece, e
lui avrebbe dovuto raccontarle l'intera storia, per cercare di
convincerla... E cosa avrebbe concluso, Scully? Che era impazzito? Che
in quella storia degli Spiriti Erranti aveva cercato, e finalmente
trovato, un punto di contatto con sua sorella Samantha? Mulder si
appoggiò alla scrivania con le braccia conserte, posandovi la fronte e
chiudendo gli occhi. Doveva smettere di pensare. Doveva convincersi
che quello fosse un x-file come un altro, e attendere il succedersi
degli eventi. Doveva raccogliere delle prove, e presentarle a Scully
al momento giusto. Ma le prove erano tutte dentro di lui...

   Dopo qualche minuto, si addormentò.

   

   

   Una piccola città

   6:07 p.m.

   

   Stavolta era toccato a Mulder passare per primo. Ma forse nei
viaggi tra universi non aveva senso parlare di un prima e di un
dopo... Franz aveva perso il controllo del proprio corpo nel momento
in cui rientrava a casa dopo una faticosa giornata di lavoro, e ora si
stava aggirando nel suo soggiorno, guidato da Mulder, che finì col
fermarsi davanti allo schermo della TV.

   Cinque ore più tardi, Franz dovette ammettere che Mulder aveva
battuto il suo record personale di visione ininterrotta della sua
serie preferita. Sorrise mentalmente, al pensiero che non si trattava
certo del genere di nastri che Mulder amava guardare di solito... E
non era neppure stato sistematico: aveva preso delle videocassette a
caso, guardando una scena per poi far scorrere velocemente il nastro
fino a fermarsi su un'altra, scelta non si sa bene con che criterio.
Franz immaginò che probabilmente anche lui avrebbe fatto lo stesso, se
si fosse trovato per le mani una videoteca che raccoglieva gli episodi
più importanti della sua vita... A meno che Mulder non stesse cercando
un episodio in particolare. Se fosse riuscito a parlargli, in qualche
modo, avrebbe potuto dargli una mano a trovarlo...

   

   

   Sprofondato nel divano, Mulder guardava scorrere sullo schermo il
film di otto anni della sua vita, con qualche flashback di avvenimenti
accaduti molto tempo prima. Era difficile convincersi che ciò che
stava vedendo non era altro che una recita. Tanto che ad un certo
punto aveva smesso di pensarci, dimenticandosene ben presto. Anche se
una parte della sua mente non aveva potuto fare a meno di chiedersi se
quell'uomo identico a lui avesse mai immaginato che in qualche luogo
esisteva davvero un agente speciale Fox Mulder...

   Faceva ancora fatica ad accettare l'idea che in quell'universo ci
fossero degli scrittori che con le loro sceneggiature determinavano
gli eventi del suo mondo... O erano questi ultimi a dare origine alle
storie che gli scrittori erano convinti di inventare? E chi avrebbe
scritto la storia che stava vivendo in quel momento? A meno che non
fosse già stata scritta... Era questo il 'destino'? Righe battute a
macchina sul copione della vita di ciascuno?

   Fermò il videoregistratore e si alzò dal divano, per andare a
rovistare nello scaffale delle videocassette, lasciando sul tavolino
quelle che aveva già passato in rassegna. Lo sguardo gli cadde su una
cassetta posata orizzontalmente sopra le altre, e prendendola si rese
conto che quello non era un nastro registrato dalla TV, ma un film
originale. La sua faccia e quella di Scully lo guardavano dalla
copertina. Girò la cassetta per leggere la presentazione del film. E
capì subito di che cosa si trattava. Emozionato, inserì la cassetta
nel videoregistratore, si sedette e la fece partire.

   La storia si dipanò sullo schermo come lui la conosceva e come
l'aveva immaginata, o intuita. La bomba e l'apparentemente assurdo
sacrificio di Darius Michaud, la caverna nel Texas, le cupole delle
api, quel dialogo con Scully nel corridoio... Perché non si era
accorto che lei aveva quell'espressione sgomenta sul volto, quando lui
le si era avvicinato? E se non fosse stata solo la puntura dell'ape, a
farla spaventare? Turbato, Mulder fissò le immagini successive quasi
senza vederle. Non si chiese nemmeno dove fosse finito quel tale
Strughold che lui non aveva mai incontrato... Il nero della notte di
Washington e il rosso dell'incendio dell'auto lasciarono il posto al
bianco abbacinante del deserto antartico... Mulder si riscosse.
Rivisse col cuore in gola il salvataggio di Scully e la fuga sul
ghiaccio, fino alla partenza dell'astronave, accompagnata da una
musica struggente e malinconica che lo fece rabbrividire, come se si
trovasse ancora in mezzo alla tempesta di neve. Vide per la prima
volta una Scully debole e semiassiderata che cercava di riscaldarlo
tenendolo abbracciato. E capì che in quel modo lei gli aveva salvato
la vita. Che si erano salvati a vicenda.

   Premette un tasto sul telecomando, e la cassetta si fermò. Non
riusciva ancora a credere che quei momenti sul ghiaccio, in cui lui e
Scully si erano sentiti perduti, abbandonati dal mondo intero, in
questo universo fossero stati condivisi da milioni di persone che li
avevano osservati in silenzio attraverso uno schermo... Si guardò
intorno, assurdamente, come se temesse che in quello stesso momento ci
fossero dei testimoni di ciò che lui stava vivendo... Ma la sua mente
si rifiutava di riflettere troppo a lungo su questa possibilità. Era
convinto di essere davvero solo, questa volta. Anche Scully era
lontana. Vicina nello spazio, forse, ma immensamente lontana con lo
spirito. Un intero universo li divideva.

   Quel pensiero lo rese triste e inquieto. Si alzò dal divano e prese
a vagare per la stanza, frustrato al pensiero di non avere alcun
controllo sul fenomeno che lo sballottava da un universo all'altro.
Finì col sedersi di fronte al computer, ritrovandosi a fissare il
monitor grigio come se per incanto esso potesse trasformarsi in una
porta che l'avrebbe ricondotto nel suo mondo, ovunque fosse.
Ovviamente non successe nulla. Quasi senza pensarci, Mulder allungò
una mano e premette il tasto di accensione. Lo schermo si illuminò su
un'immagine della Terra sospesa nello spazio, quindi una finestra gli
chiese di immettere la password della sessione. Mulder rifletté
qualche secondo, poi digitò velocemente sulla tastiera la parola
"trustno1": la sessione si aprì non appena premette il tasto di invio,
mostrando lo stemma dell'F.B.I. e un guazzabuglio di icone di tutti i
tipi. Una volta assodato che Franz condivideva con lui la passione, o
forse l'ossessione, per gli X-Files, a Mulder interessava sapere chi
fosse davvero il suo ospite, e non vedeva modo migliore per farlo che
leggere ciò che Franz scriveva di sé e ciò che gli altri gli
scrivevano. Ammesso che avesse degli amici...

   Aprì il programma di posta elettronica e cliccò sul tasto di
ricezione. Le mail si accumularono nella casella della posta in
arrivo. Contò ventotto messaggi: quattro da Lucy, due da Alex, due da
Stephy... E poi da Joy, Francy, Lol, Irene, Fed, Helen, Imelda... D'un
tratto Mulder impallidì, e per un attimo gli mancò il respiro, quando
lesse uno dei mittenti. Era arrivata una mail da Dana Scully.

   Gli ci vollero almeno due minuti prima di riuscire a rimettere in
funzione il cervello: e a quel punto capì che quel nome non poteva
essere altro che uno pseudonimo usato da qualche amica di Franz. Ne
ebbe la certezza quando cliccò sul pulsante "rispondi", e all'inizio
della nuova mail comparve lo username del mittente: 'xmcarter'. Non
c'era un motivo al mondo per cui Scully avrebbe dovuto usare quello
pseudonimo...

   La prima parola della mail lo colse di sorpresa, nonostante se
l'aspettasse. 'Mulder' c'era scritto, 'la storia che mi hai raccontato
è molto interessante, ma sei sicuro che questo Cutfleece non abbia
qualche problema?'

   Mulder scorse in fretta il resto della lettera, e ne dedusse che
Franz, assumendo l'identità "Fox Mulder", aveva raccontato alla sua
amica 'Scully' tutto quello che gli era capitato. Mettendosi al suo
posto, le aveva descritto ciò che lui stesso non si era sentito di
rivelare alla vera Scully. La cosa interessante era che i commenti di
questa 'xmcarter' erano simili a quelli espressi da Scully quando lui
le aveva accennato la storia di Cutfleece... La corrispondente di
Franz doveva conoscerla davvero bene! Chissà se un giorno anche lei
sarebbe riuscita a crearsi un corridoio per raggiungere il suo
personaggio preferito? Mulder si chiese se lei e Franz si fossero mai
visti, al di fuori della Rete. Era davvero così assurdo immaginare che
in futuro avrebbero potuto incontrarsi per la prima volta in un altro
universo, e senza neppure rendersene conto? Mulder scosse la testa,
cercando di riportare la mente su un presente relativamente meno
assurdo. Fissò lo schermo per qualche secondo, poi iniziò a rispondere
alla mail di 'Dana Scully'. Non sapeva bene il motivo di quella
improvvisa decisione. Forse aveva bisogno di parlare con qualcuno di
ciò che gli stava accadendo, e in quel modo era libero di farlo, anche
se si rendeva conto che la corrispondenza in cui si stava
intromettendo doveva essere iniziata come un gioco. O forse gli
piaceva illudersi che quella mail arrivasse davvero da un altro
universo, e che rispondere fosse soltanto un modo per non perdere del
tutto i contatti col suo mondo.

   'Scully' scrisse, 'immaginavo che non mi avresti creduto. Come al
solito non mi hai deluso! Eppure è tutto vero! Ma lascia che ti
racconti cosa mi è successo oggi...'

   Quando ebbe terminato la mail, la inviò subito. Poi spense il
computer, chiedendosi se 'xmcarter' avrebbe mai immaginato che quella
lettera le giungesse dal vero Mulder...

   Stava per alzarsi dalla sedia, quando ricordò una cosa importante.
Trovato un post-it, vi scrisse un appunto e lo appiccicò al centro del
monitor. Un secondo più tardi si rese conto di aver fatto una cosa
inutile. "Franz?" disse, fissando il biglietto giallo. "Mi senti,
vero? Ho scritto qui quello di cui avrei bisogno. Io non riesco a
trovarlo. Puoi aiutarmi?'

   Gli rispose una voce nota e sgradevole. La voce di Paul Veroni che
lo prendeva in giro perché si era addormentato mentre lavorava. Era di
nuovo nel suo ufficio.

   

   

   Una piccola città

   Circa quattro mesi dopo

   

   Franz buttò chiavi e giubbotto su una sedia accanto all'entrata, e
dando l'ennesima occhiata soddisfatta al pacchetto che aveva in mano
si diresse in soggiorno. Si sedette sul divano e scartò l'involto, per
controllare che fosse il nastro giusto, ripromettendosi che non
avrebbe mai più prestato nulla a nessuno, visto il tempo che aveva
impiegato per farsi restituire quella cassetta. La pose sul tavolino
di fronte a sé, in bella vista, in modo che Mulder potesse notarla
subito. Poi si appoggiò allo schienale del divano, concedendosi un
lungo sbadiglio e accendendo la TV per ascoltare il notiziario delle
sette.

   Non ricordava di aver mai attraversato un periodo più impegnativo,
e nello stesso tempo più piacevole, di quello che stava vivendo da
quando era entrato per la prima volta nell'universo di Mulder. Per lui
alzarsi dal letto la mattina e affrontare la vita erano sempre stati
una specie di pesante condanna; ora invece il risveglio segnava
l'inizio di un'attesa carica di eccitazione per ciò che sarebbe
successo la sera, di ritorno dal lavoro. Aveva preso l'abitudine di
mangiare in fretta e di dedicarsi subito a sbrigare la corrispondenza
via mail, ansioso di finire per poter entrare in camera da letto e
vedere se il varco era aperto.

   E lo era quasi sempre. Attraverso di esso in quei mesi gli era
stato concesso di vivere ciò che aveva vissuto Mulder. Il suo ritorno
agli X-Files. I contrasti con Doggett. L'indagine in cui Scully aveva
rischiato la vita, e quella in cui lo stesso Mulder si era trovato ad
un passo dalla morte. Il nuovo allontanamento dagli X-Files... Franz
si era trovato dentro queste storie e le aveva vissute in silenzio,
felice o angosciato secondo i casi, ma in nessun momento ansioso di
tornare al suo mondo e alla sua vita priva di emozioni, di scopi per
cui lottare e di enigmi da risolvere. A meno che non volesse
considerare un enigma il fatto che tutto ciò stesse capitando proprio
a lui... o quello di non sapere se nell'universo di Mulder esisteva un
Franz Vidal. Aveva comunque escluso a priori che il suo omologo
potesse essere un personaggio della TV: la sua esistenza non era
abbastanza interessante da costituire materia per un programma
d'intrattenimento... a meno che non venisse messa in scena la parte
che si stava svolgendo nel suo presente, il che ne avrebbe fatto una
serie di fantascienza, probabilmente...

   Scosse la testa, sforzandosi di scacciare dalla mente quelle
elucubrazioni che minacciavano di portarlo troppo lontano, e
obbigandosi a riflettere su ciò che doveva fare in quel momento. Aveva
alcune mail a cui rispondere, dopo di che avrebbe provato a passare la
soglia. Ora faceva sempre molta attenzione a non lasciarsi sfuggire
per iscritto alcun particolare delle vicende a cui aveva assistito:
gli era capitato di vederle trasmesse in TV dopo pochi giorni, e
alcuni suoi amici si erano lamentati perché nei suoi racconti le aveva
anticipate... Quanto alla corrispondenza a nome di Mulder, ogni tanto
la cedeva al diretto interessato, che sembrava apprezzarla molto, se
non altro perché costituiva un diversivo nelle ore monotone che
trascorreva in questo universo. Non si poteva certo dire che per
Mulder tutta quella storia fosse piacevole come per lui... Franz si
sentiva un po' in colpa, per questo. Ma in fondo Mulder non perdeva
che pochi minuti della sua vita, quando si trovava lì. E in cambio
acquistava, come lui, il privilegio di poter vivere in due universi...

   

   

   Mulder si rese conto di avere lo sguardo fisso sulla cravatta a
righe verdi e blu di un giornalista che non aveva mai visto prima. Chi
diavolo aveva acceso la TV? La sua mente impiegò circa tre secondi ad
adattarsi a una situazione che ormai viveva quasi ogni giorno. Ma non
c'era dubbio che ogni volta dovesse affrontare un piccolo trauma.
Sospirando, si alzò in piedi, e in quel momento lo sguardo gli cadde
su una videocassetta che era posata sul tavolino, proprio davanti a
lui. Dunque Franz l'aveva ritrovata... "Grazie" esclamò, rivolto
all'aria. Poi prese la cassetta e la inserì nel videoregistratore. Si
sedette di nuovo, e avviò il nastro.

   Questa volta non ci furono salti o 'avanti veloce'. Mulder voleva
rivedere, e rivivere, l'intera storia. Voleva rivedere sua madre, e
rivedere Samantha. Ripercorrere la storia che lo aveva liberato da
un'ossessione. E in quella storia trovò qualcosa che non aveva mai
visto né immaginato, qualcosa che lo lasciò turbato e felice ad un
tempo: vide sé stesso addormentato, e sua madre vicino a lui, diafana
e immateriale come un fantasma, che gli sussurrava qualcosa
all'orecchio, parole rivolte a lui solo, e che nessun altro aveva
sentito. Parole che solo in quel momento gli tornarono alla memoria,
come evocate da quelle immagini. Sorrise, e pianse, a quel ricordo
emerso dal profondo. E attese quietamente l'arrivo di Samantha e dei
suoi compagni. Ora sapeva cos'erano, e cosa li aveva trattenuti in
quel bosco. Quando il mistero della loro scomparsa era stato rivelato,
essi erano stati liberati dal limbo in cui vivevano, ed erano potuti
partire per una nuova destinazione.

   Un coro di voci infantili accompagnato da una musica triste e
suggestiva si diffuse nella stanza. Ascoltandola, e guardando le
figure evanescenti dei bambini, Mulder si sentì uno di loro. Solo in
quel momento raggiunse la piena e istintiva consapevolezza, al di là
di ogni ipotesi o ragionamento, di essere anche lui uno 'spirito
errante', e di condividere quel destino con tutti gli essere viventi
degli infiniti universi. Sorrise di nuovo, mentre le lacrime gli
riempivano gli occhi, rendendo tremolanti le immagini che lo schermo
gli mostrava: il bosco, gli edifici, e lui che guardava le stelle
accanto a Scully...

   

   

   Appartamento di Fox Mulder

   Alexandria, VA

   13 giugno 2001, 11:21 p.m.

   

   "Non pensavo che avessi il sonno così pesante, agente Mulder."

   La voce si insinuò nella mente di Fox, scacciandone le note della
musica malinconica che ancora vi aleggiava, e costringendolo a tornare
nella sua realtà. Si rese conto di trovarsi steso sul divano. Un
secondo più tardi capì che quella voce era fuori posto, in quel
momento, e spalancò gli occhi di colpo, mettendosi a sedere.

   Nella poltrona di fronte a lui era seduto Alex Krycek.

   Mulder riuscì a trattenere l'istintivo impulso di gettarsi su di
lui, quando si accorse della pistola che l'uomo impugnava, tenendola
appoggiata su una coscia. Una rapida occhiata al tavolino di fronte a
sé gli tolse ogni residua, assurda speranza che Krycek avesse scordato
di far sparire la sua automatica.

   "Non ti aspettavo, Krycek" mormorò, in tono sprezzante. "Se mi
avessi avvertito avrei almeno dato una spolverata..."

   Krycek sorrise. "Non volevo disturbarti più del necessario" disse.
Poi, incredibilmente: "Raccontami cosa stavi sognando, Mulder" chiese.
"Dimmi perché piangevi."

   Mulder si portò una mano sugli occhi, accorgendosi che erano ancora
umidi. "Non te lo direi nemmeno se mi puntassi quella pistola alla
testa" sibilò, guardando Krycek con odio. "Perché sei venuto?"

   Alex lo fissò per qualche istante senza parlare, poi scostò una
falda del suo giaccone per mostrare ciò che vi era nascosto sotto.

   Mulder intravide una piccola scatola rettangolare, che mandava
riflessi metallici.

   "Mi hai portato un anello con brillanti?" disse, con un sorriso
storto. "Mi dispiace, non posso accettarlo."

   Krycek rimase serio. "Ti ho portato una cosa che ti permetterà di
credere a ciò che sto per raccontarti."

   "Va' a raccontarlo a qualcun altro, Krycek. Non voglio più
ascoltare le tue storie."

   "Questa dovrai ascoltarla, Mulder, perché ti riguarda
personalmente."

   

   

   La prima cosa che Franz vide fu la faccia di Krycek, e in lui
l'odio si mescolò alla paura. Odiava Krycek quanto lo odiava Mulder, e
lo temeva perché le sue azioni avevano spesso avuto conseguenze
negative per i personaggi che lui amava. Adesso era lì di fronte a
lui, di fronte a Mulder, con una pistola in mano e l'espressione
decisa. Cos'aveva in mente? Franz non poteva far altro che ascoltare.
Esattamente come Mulder.

   

   

   Mulder sospirò. Aveva percepito il momento dell'arrivo di Franz, ma
si era sforzato di non manifestare alcuna reazione. Il pensiero che in
un certo senso non era solo, in quella situazione, gli dava un piccolo
conforto, anche se sapeva che in nessun modo Franz avrebbe potuto
dargli una mano, se ne avesse avuto bisogno.

   "Quanto personalmente?" chiese, rompendo il silenzio.

   Krycek annuì. "Vedo che questo ha risvegliato il tuo interesse...
Bene, andrò subito al punto. Non ti sei chiesto come mai sei potuto
tornare dal luogo in cui sei stato portato un anno fa?"

   Mulder deglutì a vuoto, turbato per quella domanda inaspettata.
"Io... Sì, me lo sono chiesto. Ma... non ho trovato risposte. E non ho
trovato... ricordi." Aggrottò la fronte, fissando Krycek. "Ma questo
lo immaginavi già, vero?" disse con astio.

   "Ti hanno lasciato andare perché non servivi più ai loro scopi"
disse Alex, senza farsi impressionare dal tono duro di Mulder. "Il
progetto è stato portato a termine da scienziati collaborazionisti,
che hanno individuato in te il soggetto più adatto..."

   "Quale progetto?" lo interruppe Mulder con voce rauca e incerta.
"Non capisco..."

   "Il progetto alieno di ibridazione. Il tuo DNA alieno è stato
riattivato, e partendo dal tuo patrimonio genetico sono stati prodotti
dei cloni ibridi perfetti."

   Mulder si accorse che le gambe gli tremavano, e ringraziò il cielo
di essere seduto. Cercò con tutte le forze di riprendere il controllo
su di sé. "Che storia stai inventando, Krycek?" mormorò con voce
piatta.

   "Ti sto dicendo la verità. Posso provartelo."

   Mulder scosse il capo. "Prove... Ne ho viste troppe di prove
inconfutabili che poi si sono trasformate in evidenti menzogne..." La
voce gli si spezzò, come se nelle sue difese si fosse insinuato un
dubbio.

   Krycek se ne accorse. "Questa volta sarai tu stesso a fornirti una
prova certa."

   Mulder lo fissò. Come al solito il volto di Krycek esprimeva
un'assoluta convinzione. Ma quante volte gli aveva mentito, in
passato? Cosa c'era di diverso, stavolta? "Se ciò che dici fosse
vero..." mormorò "...significherebbe che la colonizzazione sta per
cominciare..." Strinse i pugni. "Vuoi farmi credere che indirettamente
io l'ho favorita? Dovrei sentirmi in colpa anche per questo? Sei un
bastardo, Krycek!"

   L'altro fece una smorfia sardonica. "E tu sei prevedibile, Mulder.
Io non ho parlato di colpe. E non ho neppure detto che la
colonizzazione sia imminente. Lo sarebbe se il progetto non si fosse
bloccato."

   "Chi... chi l'ha bloccato?" chiese Mulder, perplesso.

   "I cloni ibridi non erano poi così perfetti... Quindi il progetto
deve ripartire dal materiale genetico originale." Esitò. "Tu, Mulder."

   Fox rimase in silenzio per alcuni istanti, riflettendo. Poi annuì
lentamente. "Sì, ora credo di aver capito. E' chiaro." Fece un sorriso
amaro. "Adesso lavori per loro, vero? E sei venuto a prendermi." Lo
squadrò disgustato. "Cosa ti hanno promesso in cambio? La salvezza? Il
potere? Che cosa?"

   "Ti sbagli, Mulder. Non sono venuto a prenderti." La voce di Krycek
era calma e priva di inflessioni. "Sono venuto per ucciderti."

   

   

   Franz ebbe quasi l'impressione di aver sentito il cuore di Mulder
che saltava un battito. La scena a cui stava assistendo era davvero
emozionante, e lui già andava con l'immaginazione al momento in cui
l'avrebbe rivista sullo schermo. Condivideva la paura e la tensione di
Mulder, e nello stesso tempo era piacevolmente eccitato, mentre
attendeva lo svolgersi degli eventi.

   

   

   Inaspettatamente, Mulder scoppiò in una breve risata. "Krycek, i
tuoi continui cambi di campo devono averti scombinato il cervello!"
mormorò, scuotendo il capo e tornando serio. "Che bisogno c'era di
inventare una storia così assurda? Se sei qui per uccidermi, fallo
subito e vattene."

   Krycek annuì. "E' vero. Avrei potuto ucciderti mentre dormivi. Non
l'ho fatto perché voglio che tu conosca il motivo per cui devi
morire."

   Mulder appoggiò la testa all'indietro sullo schienale del divano, e
chiuse gli occhi. "Sii breve, per favore. E facciamola finita."

   "Le persone per cui lavoro stanno studiando un nuovo vaccino. Gli
esperimenti sono a buon punto, ma occorre altro tempo. E di tempo non
ne rimarrà molto, se gli alieni riusciranno a portare a termine il
loro progetto. L'unico modo di fermarlo, o almeno di ritardarlo, è
impedire loro di mettere le mani su di te. Dovrai sparire, Mulder. Di
te non dovrà rimanere traccia."

   Mulder sollevò la testa e fissò Alex. "Dunque ti sei messo al
servizio dell'umanità... E' così, Krycek?" Fece un sorriso tirato.
"Non ti illuderai che io ci creda, vero?"

   Krycek non rispose, e senza lasciare la pistola, aiutandosi col
braccio artificiale, mise sul tavolino la scatola di metallo. "Questo
ti convincerà."

   "Che cos'è?" chiese Mulder, in tono privo d'interesse. "Un
sacchetto di peyote?"

   Krycek ghignò. "Diciamo che ne è la versione extraterrestre...
Qualcosa che tu hai già sperimentato."

   Di colpo inquieto, Mulder fissò la scatola. "Se è... se è quello
che penso non avrà alcun effetto, ormai. Io..." si interruppe. "A meno
che non sia vero ciò che hai detto sulla riattivazione del DNA
alieno..."

   "Infatti."

   Mulder istintivamente si tirò indietro. "Questo contenitore... è
schermato, vero?"

   "Che ti prende, Mulder? Un minuto fa eri pronto a morire! Di che
hai paura?"

   "Non voglio ripetere quell'esperienza" mormorò Mulder, teso.
"Preferisco morire portandomi nel cranio un onesto cervello umano..."

   "Non devi preoccuparti di questo" disse Krycek, con una lievissima
traccia di comprensione nella voce. "Il congegno che ti hanno
impiantato nella nuca è stato modificato per proteggerti dagli effetti
nocivi delle radiazioni."

   Quasi senza volerlo, Mulder si portò una mano sul collo, sfiorando
la piccola cicatrice. "Gentile da parte loro..." commentò, in tono
beffardo. "E chi mi assicura che funzioni?"

   "Non resta che provare" disse Krycek, e senza lasciare a Mulder il
tempo di opporsi, premette con la canna della pistola un pulsante che
stava su un lato della scatola.

   Il coperchio si aprì, e di colpo nella testa di Mulder esplose una
babele di suoni e voci indistinte. Lui chiuse gli occhi e si mise
istintivamente le mani sulle orecchie, in un inutile tentativo di
arginare quel fiume di pensieri estranei. A poco a poco una voce si
fece più chiara, e prevalse sulle altre, che si trasformarono in un
brusio di sottofondo.

   'Ora dovrà credermi.'

   'Perché non l'ho ucciso subito?'

   'Non volevo arrivare a questo.'

   'L'ultima possibilità.'

   'Che m'importa di lui?'

   'Mi dispiace.'

   

   

   Per un attimo Franz aveva sperato di riuscire anche lui a leggere i
pensieri di Krycek, e a capire finalmente quali fossero le motivazioni
più profonde di quell'uomo imperscrutabile. Ma non sentì nulla, e capì
che le radiazioni non avevano alcun effetto su di lui. Solo Mulder
poteva sentire i pensieri degli altri. E forse...

   

   

   'Mulder...?'

   'Mi senti?'

   'Andrà bene, vedrai.'

   'Te la caverai anche stavolta.'

   Una seconda voce. Lontana, ma chiara e rassicurante. Non era solo.

   Di colpo tutte le voci tacquero, sostituite da un silenzio quasi
insopportabile. Mulder aprì gli occhi, e vide Krycek che lo fissava
attento. Il coperchio della scatola era stato richiuso.

   "Ora sai" disse semplicemente Krycek. "Hai capito che non c'è altro
modo."

   Mulder affondò la faccia tra le mani, sforzandosi di respirare a
fondo e riordinare le idee. Krycek per una volta aveva detto la
verità, ora ne era certo. Non riusciva a credere che potesse essere
dispiaciuto per la sua morte, ma questo non importava, adesso.
L'importante era prendere la decisione giusta. No, nemmeno quello
aveva importanza. Krycek l'avrebbe ucciso comunque, anche di questo
era sicuro. Gli aveva raccontato tutto solo per fare di un'ennesima
uccisione una specie di suicidio, e sentirsi a posto con la propria
coscienza, almeno una volta nella sua vita.

   Krycek era davvero convinto che la sua morte potesse essere utile
nella lotta contro la colonizzazione. Forse aveva ragione, forse no...
Ma se c'era anche solo una piccola possibilità che fosse così, con che
diritto e con che coraggio poteva negarla a miliardi di persone, e
continuare a vivere? Non c'era alternativa possibile, su questo ormai
non aveva dubbi. Ma allora perché continuava a risuonargli nella mente
quel pensiero di Franz? 'Te la caverai anche stavolta'. Cos'era?
Qualcosa che sapeva o qualcosa che sperava? Aveva già assistito a
quella scena, o si augurava semplicemente che non finisse come
sembrava dover finire? Gli sarebbe piaciuto poterglielo chiedere, ma
Krycek aveva già rimesso via la scatola che conteneva il frammento
alieno... Il copione del suo destino non poteva più essere consultato,
ormai.

   Alzò gli occhi su Krycek, incontrandone lo sguardo indecifrabile.

   "Devi farlo adesso?" chiese, sforzandosi di mantenere la voce
ferma. I suoi pensieri corsero a Scully. Avrebbe voluto parlarle,
spiegarle tutto... Ma in quel modo le avrebbe solo fatto del male. Un
cerotto non va tolto poco alla volta, ma strappato con un gesto
deciso... Si sforzò di scacciare l'immagine di lei dalla sua mente.
Era un pensiero doloroso, e pericoloso, in quel momento. Perché quel
"nessun rimpianto" che Mulder un tempo aveva pensato di far incidere
sulla sua lapide, Scully a poco a poco l'aveva trasformato in una
menzogna...

   La voce di Krycek lo riportò al presente. "Prima devo sapere una
cosa. Hai lasciato disposizioni testamentarie per quanto riguarda il
tuo funerale?"

   Mulder lo guardò sorpreso. Era stato uno stupido ad illudersi che
Krycek provasse un minimo di empatia per la persona che stava per
uccidere... Poi capì. Di lui non doveva restare traccia. "Non ho
richiesto la cremazione, se è questo ciò che vuoi sapere" rispose, in
tono sommesso.

   Krycek annuì. "Vorrà dire che provvederemo noi."

   "Perché tutte queste complicazioni? Perché non mi fate sparire
subito?"

   "Nessuno dovrà dubitare della tua morte." Il tono di Krycek era
gelido. "Perché qualcuno ti cercherebbe, e potrebbe risalire a noi."

   "Già. E' logico." mormorò Mulder.

   Entrambi tacquero per qualche secondo, poi Krycek sollevò la
pistola. "Un'ultima cosa" disse. "Non ti ho ancora chiesto se
preferisci farlo da solo."

   A quelle parole Mulder trasecolò. Le aveva davvero pronunciate
Krycek? Il killer, la carogna, il traditore, l'uomo che aveva ucciso
suo padre e chissà quanti altri senza un attimo di esitazione? E
adesso voleva lasciare a lui la responsabilità di tirare il grilletto?
Perché? E chi gli assicurava che lui ne avrebbe avuto la forza? Una
volta ci era andato vicino... Se qualcuno non l'avesse interrotto,
probabilmente l'avrebbe fatto. Tutte le sue convinzioni erano
crollate, e tutte le disgrazie che erano capitate a Scully per colpa
sua gli si erano assiepate intorno, accusandolo... Era disperato, in
quel momento. Ma adesso era diverso. Adesso si trattava di prendere
lucidamente la decisione di sacrificarsi in nome di quell'entità
astratta che era il genere umano... Cercando di non soffermarsi troppo
sul pensiero che forse quella sua decisione si trovava già scritta da
qualche parte...

   Scosse il capo. "E' meglio di no, Krycek" mormorò. Poi, con un
leggero sorriso: "Mi fido di te."

   Alex annuì. "Stavolta non ti deluderò" disse. "Mulder..." esitò.
"Vorrei che tu non..."

   Lo squillo del telefono fece sussultare entrambi.

   

   

   Franz esultò. Eccolo, finalmente, il diversivo che avrebbe dato una
svolta a quella situazione apparentemente senza uscita! Quel colloquio
tra Mulder e Krycek l'aveva angosciato, prolungando l'attesa di una
soluzione improvvisa. Chi era al telefono? Poteva essere Scully? Forse
sentire la sua voce avrebbe fatto sì che Mulder cambiasse idea... No,
non poteva cambiare idea... Stava facendo ciò che la sua coscienza gli
suggeriva. Si stava sacrificando per il bene degli altri. Ma allora
qual era la soluzione? Doveva per forza essercene una... Franz era
certo che a Mulder non sarebbe accaduto nulla di irreparabile. In
fondo era passato indenne attraverso situazioni forse peggiori, in
tutti quegli anni...

   

   

   Il telefono squillò di nuovo.

   Mulder e Krycek si guardarono.

   Un altro squillo.

   "Rispondi" disse Krycek.

   Fox trasse un profondo respiro, poi allungò una mano e sollevò la
cornetta. "Pronto..."

   "Mulder... Sono io. Ti ho svegliato?"

   Al suono di quella voce lui si sentì come se qualcuno gli avesse
strappato via il cuore di colpo. "Scully... No... Io stavo..." alzò lo
sguardo su Krycek, che gli fece cenno di continuare "...stavo andando
a dormire. Come... come mai hai chiamato?"

   "Sono qui in strada con John. Dovremmo parlarti. Scendi tu o
saliamo noi?"

   Notando l'espressione angosciata di Mulder, Krycek, che non poteva
sentire l'intera conversazione, lo guardò con aria interrogativa.

   Mulder si sforzò di mantenere un tono di voce normale. "Non... non
si potrebbe rimandare a domani, Scully? Lo sai che la vista di Doggett
mi rovinerebbe il sonno..." tentò di scherzare.

   "Si tratta del caso che stiamo seguendo, Mulder. Ci sono novità, e
ho convinto John a sentire il tuo parere. Mi sembrava di aver capito
che la cosa ti interessava..."

   "Sì... ma adesso non me la sento di uscire. Parliamone domani, OK?"

   Mulder stava sudando. Krycek lo osservava con la fronte aggrottata,
senza perdere una sillaba di ciò che diceva.

   "Domani potrebbe essere tardi, Mulder." Si sentì una voce in
sottofondo, poi di nuovo quella di Scully. "Ma... c'è qualcosa che non
va? Non stai bene?"

   "Sto benissimo". Mulder chiuse gli occhi, cercando di controllare
il tremito nella voce. "Sono... sono solo un po' stanco, ecco tutto."

   "Sei sicuro?" Esitò. "Senti, si tratta di una cosa importante. Se
ci fai salire..."

   "No!" L'aveva quasi urlato. "Scully, per favore..."

   "Va bene, allora salgo solo io."

   "Scully!"

   Nessuno gli rispose.

   Krycek si era alzato dalla poltrona. "Ebbene?"

   "Sta salendo." La voce di Mulder si sentì appena.

   L'altro annuì. "Allora me ne vado. Ma tornerò presto."

   "No!" Mulder scattò in piedi, e lo afferrò per un braccio. "Devi
farlo adesso, Krycek!" gridò. "Se la vedo, tutto sarà di nuovo in
discussione... Non condannarmi ad altri tormenti! Fallo adesso!"

   Krycek lo fissò, turbato suo malgrado... E nei suoi occhi vide la
disperazione e l'angoscia mescolarsi ad una determinazione che non
voleva lasciare spazio ai dubbi. Rassegnato, sollevò la pistola e armò
il cane.

   Mulder fece un passo indietro, allontanandosi da lui. Era pallido,
adesso. "Ti devo un favore, Krycek" mormorò in tono quieto, con un
mezzo sorriso.

   Krycek annuì lentamente. Poi puntò la pistola contro il petto di
Mulder e fece fuoco.

   

   

   Scully sentì lo sparo un attimo prima che l'ascensore si fermasse.
Quando le porte si aprirono, aveva già in mano la pistola. La puntò di
fronte a sé nel momento stesso in cui vide un uomo vestito di nero
sparire dietro l'angolo del corridoio, ormai fuori tiro. Rapidamente
estrasse il cellulare e fece il numero di Doggett. "John! C'è un
sospetto armato che sta scendendo le scale!" gridò. "Cerca di
fermarlo!" Poi, tenendo la pistola puntata davanti a sé, corse lungo
il corridoio in direzione dell'appartamento di Mulder.

   

   

   Era come se qualcuno gli avesse calato sulla testa un pesante
cappuccio nero. Il buio e il silenzio gli impedivano di capire cosa
stava succedendo. Tutto ciò che Franz sapeva era che Krycek aveva
sparato a Mulder. E che Mulder non era morto. Non poteva essere morto!
Ovviamente a questo punto doveva succedere qualcosa. C'erano state
altre occasioni in cui la vita di Mulder sembrava aver raggiunto il
capolinea, ma lui era sempre tornato indietro. E sarebbe tornato anche
questa volta. Scully sarebbe arrivata e l'avrebbe salvato. O magari,
con un fantastico colpo di scena, sarebbe entrato il Cacciatore di
taglie alieno, o chissà, Jeremiah Smith redivivo, che con un solo
tocco delle mani l'avrebbe rimesso in piedi...

   

   

   Stringendo la pistola con due mani, Scully varcò la soglia. Quando
vide Mulder disteso a terra, e il sangue sulla sua camicia e sul
pavimento, per un attimo si sentì come se una voragine l'avesse
risucchiata. Dimenticando di colpo la prudenza che le suggeriva il suo
addestramento, corse verso di lui e gli si inginocchiò accanto,
posandogli due dita sul collo e cogliendo un debolissimo battito. Ma
il sollievo non durò che mezzo secondo: le bastò un'occhiata per
capire che la ferita era molto grave. Sforzandosi di cancellare quella
certezza dalla mente, stracciò un lembo della camicia di Mulder e lo
usò per cercare di tamponare l'emorragia.

   Quando gli sollevò la testa posandosela in grembo, lo vide aprire
gli occhi. "Mulder..." mormorò, con voce incrinata, accorgendosi che
il suo sguardo fissava un punto nel vuoto. "Mulder, sono qui..."

   Un rumore di passi in corsa lungo il corridoio. "Dana!" La voce di
Doggett. "Non sono riuscito a..."

   Scully non si voltò neppure. "Chiama un'ambulanza" disse
semplicemente. Sentì Doggett avvicinarsi alle sue spalle, e chiamare
il 911 al cellulare, dando brevi e precise indicazioni.

   "Dana... " Era dietro di lei, adesso. "E'... è grave?"

   Lei non rispose alla domanda. "Potresti uscire, John?" disse
invece. "Per favore..."

   Doggett rimase immobile per qualche istante, fissando turbato prima
Scully e poi Mulder. Infine si voltò e raggiunse la soglia
dell'appartamento, oltre la quale alcune persone si sporgevano curiose
per sbirciare all'interno della stanza, probabilmente richiamate dal
rumore dello sparo. "Cosa fate qui?" esclamò l'agente, estraendo il
tesserino dell'F.B.I. "Non c'è nulla da vedere. Tornatevene a
dormire!"

   Scully sentì la porta chiudersi. Ora nella stanza si udiva solo il
respiro ormai irregolare e rantolante di Mulder. "Devi stare
tranquillo" mormorò, anche se era quasi certa che lui non riuscisse a
sentirla. "Andrà bene. Ci sono io, con te."

   Il medico aveva già dato il suo responso. La donna si rifiutava di
accettarlo. Ma non riusciva ad allontanare la sensazione di avere già
vissuto ciò che stava accadendo in quella stanza. Ripensò a Pendrell,
agonizzante accanto a lei... No, non era quello. Era stato un sogno,
forse. O una premonizione. Oppure un'immagine legata ad un timore che
si portava dentro da anni...

   

   

   Anche Franz aveva paura, adesso. Fino all'ultimo si era rifiutato
ostinatamente di accettare l'idea che Mulder potesse morire. Ma ora
non riusciva più ad immaginare una possibile via d'uscita. Quella non
era la scena di un telefilm, ma una realtà in cui, come in tutte le
realtà, nessuno viveva in eterno. Nessun corpo, almeno... Qualcuno, da
qualche parte, aveva scritto, o avrebbe scritto, che Mulder doveva
morire, e così sarebbe stato. E con lui sarebbe morta anche una parte
di Franz, forse la parte migliore, quella che aveva imparato a lottare
per un obiettivo anche quando sembrava irraggiungibile... Mulder era
colui che l'aveva portato in quel mondo. Senza di lui non poteva più
restare lì: quell'universo gli era precluso.

   Quel pensiero lo colpì come il proiettile di Krycek aveva colpito
Mulder. Che ne sarebbe stato di lui, se Mulder fosse morto? Dove
sarebbe finito? Se ne sarebbe andato con lui? No, non voleva... Non
era pronto! Aveva un mondo a cui tornare... La sua vecchia vita...
Ma... era davvero ciò che desiderava?

   Guardò il viso di Scully, attraverso gli occhi di Mulder. Lei aveva
un'espressione smarrita e le labbra serrate, come se stesse cercando
con tutte le sue forze di trattenere le lacrime. Perché non si
arrendeva? Mulder le meritava, quelle lacrime... Se lei avesse ceduto,
Franz avrebbe potuto illudersi che una parte di esse fosse destinata a
lui. E forse le cose che aveva condiviso con Mulder potevano rendere
un po' meno assurda quell'illusione... La sofferenza di Scully lo
addolorava, ma a quel dolore si accompagnava una sensazione di quieto
appagamento, al pensiero che qualcuno potesse piangere per la sua
morte. Se avesse avuto la possibilità di parlarle, avrebbe cercato di
consolarla dicendole che era quella sua sofferenza, in fondo, a dare
alla vita e alla morte di Mulder un significato, forse più importante
di quello legato al sacrificio che lui aveva compiuto.

   C'era silenzio, adesso, nella stanza. Fuori, il suono lontano di
un'ormai inutile sirena.

   Franz fissava Scully, in attesa. E d'un tratto vide il suo viso
farsi diafano, quasi trasparente. Poi quel viso scomparve, risucchiato
nel buio.

   

   

   Il grido della sirena si spense di colpo, e nella stanza tornò la
quiete, mentre le lacrime silenziose di Scully si mescolavano al
sangue di Mulder.

   

   

   Una piccola città

   5:16 a.m.

   

   Qualcosa di freddo e duro che gli premeva contro una guancia lo
costrinse a sollevarsi di scatto. Mettendosi a sedere sul pavimento,
osservò le piastrelle intorno a lui, e riconobbe la stanza.
Istintivamente alzò lo sguardo verso il muro, cercando la macchia. Non
la trovò.

   Il ricordo di ciò che era successo gli piombò addosso
all'improvviso, troncandogli per un attimo il respiro. Restò qualche
minuto immobile, la testa fra le mani, coi pensieri che si
accavallavano l'uno sull'altro, privi di controllo.

   Che cos'era successo, dopo che Krycek gli aveva sparato? Ricordava
l'esplosione dello sparo, e la sensazione che gli fosse scoppiato un
incendio nei polmoni. Un dolore insopportabile, che era durato pochi
secondi, e poi quel galleggiare in un'oscurità ovattata, da cui a
tratti emergevano echi di voci lontane e confuse. La voce di Franz,
dapprima speranzosa, poi impaurita, infine rassegnata. La voce di
Scully, alle cui parole incomprensibili eppure rassicuranti si era
tenuto aggrappato fino all'ultimo, come un naufrago ad un'asse di
legno. E poi altre voci... Voci che gli sembrava di conoscere, e voci
mai udite prima. E infine tutte le voci avevano taciuto, e lui si era
ritrovato nella stanza di Franz. Vivo.

   Quando si alzò in piedi, barcollò leggermente, prima di ritrovare
l'equilibrio. Fece qualche passo e raggiunse lo specchio. Vide un uomo
pallido, col corpo piegato dalla stanchezza, che lo fissava con uno
sguardo triste e inquieto.

   Che fine aveva fatto il suo corpo? Era davvero morto? E se era
così, perché lui era tornato lì? Perché non era finito, anima priva di
ricordi, in un nuovo universo, pronto a cominciare un'altra vita? A
meno che non avesse attraversato il varco prima che il suo corpo
morisse... Spostò lo sguardo sulla parete. Non c'era più nessun varco,
adesso. Si era richiuso al suo passaggio. Ma chi l'aveva tenuto aperto
per permettergli di passare? Colui che l'aveva creato, ovviamente... E
adesso dov'era? Era tornato anche lui? Mulder non avrebbe saputo
dirlo. Tutto ciò che sapeva era che non aveva mai sentito quel corpo
con tanta intensità. Era forse dovuto al fatto che adesso non aveva
più alcun legame col suo? O era perché in quel momento ne era l'unico
occupante? Alzò una mano e la osservò. Poi strinse il pugno fino a
farsi male. Dolore. Realtà. Vita. Una nuova vita che Franz aveva
offerto all'entità "Fox Mulder". Avrebbe dovuto essergliene grato...

   Fissò di nuovo il muro bianco e vuoto. Poi si avvicinò e vi
appoggiò entrambe le mani, lasciandosi scivolare lungo la parete, e
finendo in ginocchio. Chiuse gli occhi, e permise alle lacrime di
scorrergli lungo le guance. Aveva perso tutto. Per sempre. Quel mondo
non era il suo: lì non c'era nulla che avesse importanza, per lui.
Nell'F.B.I. non esisteva nessuna Sezione X-Files. Non c'erano segreti
da scoprire e colonizzazioni aliene contro cui ribellarsi, anche se
questo dopo tutto era un bene. Skinner e i Lone Gunmen non erano che
personaggi inventati. E anche Scully lo era... Un personaggio, non una
donna con cui lavorare, discutere, scambiare battute e confidarsi...
L'altra Scully, la donna vera, adesso forse stava soffrendo perché lui
era morto. Mulder si morse le labbra, appoggiando la fronte contro il
muro. Se solo avesse potuto farle sapere che lui esisteva ancora, da
qualche parte! Ciò in cui lei credeva probabilmente glielo faceva
sperare, e chissà, forse averne la certezza l'avrebbe confortata... Ma
Mulder non poteva più svelarle quell'ultimo segreto. Lei ormai era
irraggiungibile: ci era voluto un intero universo a separarli per
sempre.

   Si sedette a terra, appoggiando la schiena contro il muro. Era
stanchissimo, e il letto di Franz aveva un'aria comoda. Ma non voleva
dormire. Non gli era mai capitato di abbandonarsi al sonno, in quel
mondo. Se l'avesse fatto, avrebbe voluto dire che accettava la sua
nuova realtà. Ma non era pronto. Non sapeva neppure se voleva
continuare a vivere... Sapeva solo che non poteva fuggire uccidendosi,
perché non aveva alcun diritto di sopprimere quel corpo non suo... Ma
che vita lo attendeva? Gli affanni e le lotte della sua esistenza
passata gli apparvero come un nostalgico miraggio, preferibile,
nonostante tutto, al nulla che vedeva di fronte a sé. Arrivò al punto
di invidiare lo stesso Franz, che almeno per un periodo della sua vita
aveva trovato un modo per fuggire, creandosi un varco fino al suo
mondo ideale. Ecco, in fondo anche Franz aveva lottato per qualcosa, e
dopo tutto la sua esistenza non era stata priva di senso... Ma adesso
dov'era il senso? Mulder si chiese se Cutfleece fosse stato più
fortunato di loro. Aveva concluso il suo romanzo con la morte del
protagonista nel momento in cui il suo spirito si trovava nel corpo di
Spock. E se fosse stata una specie di premonizione? In quel caso ora
Cutfleece aveva un'intera galassia da esplorare, e il suo sogno era
diventato la sua realtà quotidiana... Ma per Mulder questa realtà
minacciava di diventare un incubo... Vivendo la vita di Franz, non
avrebbe rischiato di perdere la propria identità? Ricordava una
discussione con Scully, avvenuta anni prima, riguardo la possibilità
di vivere la vita di un'altra persona assumendone l'aspetto. Lei
l'aveva negata, sostenendo la fondamentale differenza tra essere e
sembrare... Ma Mulder aveva concluso che forse sono proprio le
reazioni che una persona causa negli altri a renderla ciò che è... Era
davvero così? Era destinato a diventare Franz solo perché lo sembrava?
E che ne sarebbe stato di Fox Mulder? Avrebbe finito col convincersi
di non esistere più? O si sarebbe ribellato gridando al mondo il suo
nome, e lottando per dimostrare l'indimostrabile? Sembrava il suo
destino, quello, in qualunque universo si trovasse... Perché nessuno
gli avrebbe creduto.

   Chiuse gli occhi, sommerso da quel mare di pensieri. "Franz?"
mormorò. "Sei qui? Io... ti ringrazio per avermi concesso un'altra
possibilità... Ma non so se sarò in grado di sfruttarla. Questo è il
tuo mondo, non il mio. E nel mio non c'è più posto per Fox Mulder...
Che cosa devo fare? Non vedo vie d'uscita... Nessun varco, per me..."
Tacque a lungo, perso in un'idea pazzesca. "Un varco..." Spalancò gli
occhi, vincendo il sonno che stava per catturarlo. "Tu ci sei
riuscito. Non è impossibile... se si conosce il punto d'arrivo..." Le
palpebre gli si fecero pesanti. "Io so dove voglio andare..."

   La testa gli cadde in avanti. Stava già dormendo.

   

   

   Aprì gli occhi con un sussulto, come se un rumore l'avesse
svegliato di colpo. Massaggiandosi la schiena dolorante, si tirò
lentamente in piedi. Poi una strana sensazione dietro la nuca, quasi
che qualcuno dietro di lui lo stesse osservando, lo costrinse a
voltarsi di scatto.

   La macchia era di nuovo al suo posto.

   Incredulo, col cuore che gli pulsava rapido in gola, fissò a lungo
il nuovo varco. L'aveva davvero creato lui? E dove conduceva? Mulder
pensava di saperlo... e allo stesso tempo non ne era sicuro. Ma non
avrebbe mai saputo la verità se non avesse provato a varcarlo...
Allungò lentamente una mano, cercando senza riuscirci di controllarne
il leggero tremito. Quando le sue dita toccarono la macchia, sentì un
forte calore, che dalla mano si irradiò in tutto il corpo. Chiuse gli
occhi, e lasciò che il varco lo attirasse a sé.

   

   

   "...e queste erano le notizie dell'ultima ora. Passiamo adesso al
notiziario sportivo..."

   Mulder fissò la donna che lo guardava dallo schermo della TV. Una
faccia familiare... Cautamente, quasi avesse paura di ciò che avrebbe
potuto trovare, si guardò intorno, senza alzarsi dal divano dov'era
seduto.

   Il tavolino. Un quotidiano ripiegato, e lì accanto la fondina con
la pistola. La scrivania ingombra di libri e fascicoli. L'acquario
debolmente illuminato.

   Mulder si alzò in piedi. Non riusciva a convincersi di trovarsi
davvero nel suo appartamento. Era tutto così normale, e nello stesso
tempo inaspettato... Si avvicinò allo specchio, e guardò la propria
immagine. Vide un pallido Fox Mulder in maniche di camicia, e quasi
involontariamente sorrise. Ma il sorriso lasciò subito il posto ad
un'espressione perplessa. C'era qualcosa che non andava... Come mai
riusciva a controllare quel corpo, che non poteva essere il suo, visto
che il suo era morto? Franz non era mai stato in grado di farlo... E
che mondo era quello? Era davvero ciò che aveva sperato di
raggiungere? Ansioso di sapere, si avvicinò al tavolino e prese il
quotidiano. Lo sguardo gli corse alla data: 29 novembre 2001.

   Si lasciò cadere sul divano, con un lungo sospiro. Possibile che
fosse tutto vero? In quel mondo Fox Mulder non si era fatto sparare da
Alex Krycek. Non era morto il 13 giugno. E chissà, forse... Si toccò
la nuca, e non trovò nessuna cicatrice.

   Chiuse gli occhi, lasciando che quella nuova e nel contempo
familiare realtà gli riempisse la mente e il cuore. A poco a poco
smise di preoccuparsi, e di chiedersi dove fosse finito "l'altro"
Mulder, lo spirito che aveva sempre occupato quel corpo. Visto che
essi erano la stessa entità in due mondi alternativi, probabilmente
erano diventati un tutt'uno, e quello che ora occupava era il corpo di
quell'uno. Il suo corpo. E forse questo avrebbe fatto sì che non ci
fossero ulteriori passaggi da un universo all'altro. Nessun luogo
poteva richiamarlo indietro, perché ormai era quello il suo posto.
Sentiva che era così. Doveva essere così.

   A meno che Franz non riuscisse a crearsi un varco fino a questo
nuovo universo... L'avrebbe seguito anche lì? Sarebbe stato più
difficile, questa volta. Avrebbe dovuto ricostruire un mondo usando
soltanto la sua fantasia. E se ci fosse riuscito, Mulder l'avrebbe
accettato. Glielo doveva. Perché in un certo senso Franz gli aveva
restituito una vita che credeva di aver perduto per sempre...

   Gli aveva restituito anche qualcos'altro. Quasi senza pensarci,
allungò una mano verso il telefono.

   Quando lei rispose "Pronto?", Mulder provò una gioia così intensa
da essere quasi dolorosa. In un lampo gli tornarono in mente le ultime
parole che le aveva sentito pronunciare al telefono. "Allora salgo
solo io." Quand'era successo? Solo poche ore prima, in realtà. Ma in
questo mondo Scully non aveva mai pronunciato quelle parole. E Mulder
doveva dimenticarle. Il nastro era stato riavvolto, per far partire
una nuova registrazione, che avrebbe cancellato il film precedente...

   "Pronto?!" ripeté Scully.

   Mulder si riscosse. "Sono... sono io, Scully" disse lentamente,
come se stesse provando la voce.

   Si sentì un breve sospiro. "Mulder, stavo andando a dormire! Quel
lavoro che mi hai affibbiato è di una noia mortale... Ho passato in
rassegna quasi tutto il materiale che hai raccolto, e non ho trovato
nulla che non possa essere spiegato in termini di mero buon senso...
Non c'è nessun x-file, qui, Mulder. Non dovevamo occuparci di questo
caso."

   "Sì... Credo che tu abbia ragione, Scully". Mulder non aveva idea
di quale fosse il caso a cui Scully si riferiva, ma le sue parole gli
avevano dato la certezza che tutto era di nuovo al suo posto: gli
X-Files, Scully, lui stesso...

   "Mulder...? Ho capito bene? Mi stai dicendo che sei d'accordo con
me?"

   Lui sorrise. "Certo... Ma non farci l'abitudine..."

   Ci fu qualche secondo di silenzio. "E... mi hai chiamato per dirmi
questo?" La sua voce suonava perplessa.

   "No... E' che... avevo voglia di parlare con qualcuno."

   "Mmm. Ho capito. E... vuoi parlare di qualcosa in particolare?"

   Universi. Anime. Vite. Il senso di tutto. Ma con quali parole
avrebbe potuto mostrarle ciò che sapeva? "No... Niente di importante.
Era solo... solo per parlare." Per sentire la sua voce. Per ritrovare
un punto stabile e costante. Forse l'unico, in quello e in tutti gli
altri universi dove esisteva un Mulder. "OK, ti lascio andare a
dormire. Ci vediamo domani in ufficio... Buonanotte, Scully."

   Lei rispose dopo una brevissima esitazione. "Buonanotte..."

   Mulder posò il cordless sul tavolino, e si allungò sul divano,
chiudendo gli occhi. Era felice ma stanco, adesso, e voleva dormire.
Non pensare più a nulla. Ciò che era successo faceva parte di un'altra
vita, di un altro Mulder. E presto non ci sarebbe stata più alcuna
differenza tra il ricordo di quella vita e il ricordo di un sogno... O
forse non c'era mai stata differenza...

   Il sonno si portò via di colpo tutti i pensieri di Mulder.

   

   

   ***

   

   

   1° FINALE

   

   Una piccola città

   7:30 a.m.

   

   Il ronzio della sveglia si penetrò a poco a poco nel cervello,
richiamandolo alla coscienza. Uscì dal sonno lentamente, come se
qualcosa in lui si rifiutasse di abbandonarlo. Un lungo brivido di
freddo gli percorse il corpo, costringendolo a svegliarsi del tutto.
Si rese conto di essere steso su qualcosa di duro e gelido... Com'era
finito sul pavimento? E perché era così freddo? Il legno non avrebbe
dovuto essere così freddo... Ma quello non era il pavimento del suo
soggiorno...

   Un grido rauco e strozzato uscì dalla gola di Mulder, in un'inutile
protesta contro l'inganno che lui stesso aveva ordito, e nel quale non
aveva potuto evitare di cadere, facile preda di un'illusione che si
era dissolta insieme al sogno.

   Non c'era mai stato nessun varco. Nessun luogo in cui ritornare.
Nessun 'ci vediamo domani in ufficio'. Il suo inconscio aveva
trasformato un'idea folle in un sogno altrettanto folle. O forse la
follia non era nell'idea, ma in lui, nella sua pretesa di riuscire a
creare un varco così facilmente... "Come hai fatto, Franz?" gridò.
"Quanto ci è voluto?"

   Gli rispose il suono della sveglia, che non aveva ancora smesso di
ronzare, monotona e senza più scopo.

   

   

   Una piccola città

   Due settimane dopo

   10:00 p.m.

   

   Le ultime scritte bianche si dissolsero nel nero dello schermo, e
la musica si attenuò per poi interrompersi di colpo. Ecco, era tutto
finito. Ora tutti avevano assistito a ciò che era accaduto due
settimane prima, in un altro luogo. Forse un giorno quella piccola
finestra si sarebbe riaperta su quel mondo, ma tutto sarebbe stato
diverso. Franz non era sicuro di volerlo rivedere, ma questo non
dipendeva da lui.

   Perché Mulder aveva voluto vedere ciò che già conosceva? Perché
aveva guardato Scully che teneva tra le braccia il suo corpo ormai
senza vita? Se Franz avesse avuto il controllo dei suoi occhi avrebbe
pianto senza ritegno, ma Mulder non gli aveva concesso neppure una
lacrima. Immobile e silenzioso, aveva visto scorrere sullo schermo le
immagini del suo funerale, e dei suoi amici venuti a salutarlo per
l'ultima volta. Aveva visto Skinner, Byers, Langly e Frohike, i loro
vestiti scuri e le loro facce stanche e turbate. Aveva visto la
piccola lapide con inciso il suo nome. 'Fox W. Mulder - 10-13-1961 /
6-13-2001'. Nient'altro. E aveva visto Scully camminare lungo il viale
del cimitero con una piccola urna in mano, appoggiandosi al braccio di
Doggett. Anche lei senza più lacrime.

   Il televisore si spense. Mulder rimase a lungo con lo sguardo fisso
sullo schermo grigio. Poi, lentamente, tornò alla realtà, e si alzò
dal divano, per andarsi a sedere di fronte al computer lasciato
acceso. Franz sapeva cosa si accingeva a fare. L'aveva fatto quasi
ogni giorno, in quelle due settimane.

   Mulder cominciò a muovere le dita sulla tastiera. 'Scully' scrisse,
"come stai? Spero che della nostra brutta avventura non ti restino che
vaghi ricordi, e che presto scompaiano anche quelli. Adesso
l'inventore di quel diabolico miscuglio di allucinogeni e realtà
virtuale è richiuso in galera, e non potrà più nuocere a nessuno. Ci
ha usati come cavie, e noi abbiamo creduto di vivere davvero quella
storia. Ora per fortuna è tutto finito. Possiamo tornare al nostro
lavoro. Quando riprenderai servizio? Ho già un nuovo caso interessante
per le mani, e non so se sarei in grado di affrontarlo da solo. Ieri,
leggendo un articolo, ho notato che..."

   Era il suo modo per rimanere ciò che era, per non perdere sé
stesso, forse per non impazzire. Era l'unico modo che aveva trovato,
grazie a Franz e alla sua amica lontana. E Franz era felice di avergli
dato quella possibilità.

   Mulder cliccò sul tasto di invio. La mail indirizzata a 'Dana
Scully' iniziò il suo viaggio lungo la Rete.

   

   

   FINE

   

   

   

   2° FINALE

   

   Una piccola città

   10.00 p.m.

   

   Le ultime scritte bianche si dissolsero nel nero dello schermo, e la
musica si attenuò per poi interrompersi di colpo. Ecco, era tutto
finito. Ora tutti avevano assistito a ciò che era accaduto due
settimane prima, in un altro luogo. Forse un giorno quella piccola
finestra si sarebbe riaperta su quel mondo, ma tutto sarebbe stato
diverso. Franz non era sicuro di volerlo rivedere, ma chissà, magari
alla fine avrebbe ceduto alla curiosità di sapere come procedevano le
cose in assenza di Mulder.

   Quella sera aveva assistito a scene già viste e vissute, e ad altre
che aveva solo immaginato. Aveva visto Scully tenere tra le braccia il
corpo ormai senza vita di Mulder, e aveva pianto. Aveva guardato
scorrere sullo schermo le immagini del funerale, e degli amici di
Mulder venuti a salutarlo per l'ultima volta. Aveva visto Skinner,
Byers, Langly e Frohike, i loro vestiti scuri e le loro facce stanche
e turbate. Aveva visto la piccola lapide con inciso il suo nome. 'Fox
W. Mulder - 10-13-1961 / 6-13-2001'. Nient'altro. E aveva visto Scully
camminare lungo il viale del cimitero con una piccola urna in mano,
appoggiandosi al braccio di Doggett. Anche lei senza più lacrime.

   Spense il televisore, e rimase a lungo con lo sguardo fisso sullo
schermo grigio. Poi, lentamente, tornò alla realtà, e si alzò dal
divano, per andarsi a sedere di fronte al computer lasciato acceso. Si
apprestava a fare ciò che aveva sempre fatto, e aveva continuato a
fare, anche dopo ciò che era successo.

   Cominciò a muovere le dita sulla tastiera. 'Scully' scrisse, "come
stai? Spero che della nostra brutta avventura non ti restino che vaghi
ricordi, e che presto scompaiano anche quelli. Adesso l'inventore di
quel diabolico miscuglio di allucinogeni e realtà virtuale è richiuso
in galera, e non potrà più nuocere a nessuno. Ci ha usati come cavie,
e noi abbiamo creduto di vivere davvero quella storia. Ora per fortuna
è tutto finito. Possiamo tornare al nostro lavoro. Quando riprenderai
servizio? Ho già un nuovo caso interessante per le mani, e non so se
sarei in grado di affrontarlo da solo. Ieri, leggendo un articolo, ho
notato che..."

   Era certo che Mulder fosse riuscito a riconquistare il suo mondo,
ad aprirsi un varco per ricominciare la sua vita da dove l'aveva
interrotta. Franz era l'unico a saperlo. E questo gli permetteva di
tenersi aperto anche lui un piccolo varco virtuale. Immaginare nuove
storie, e condividerle con la sua amica lontana, era il suo modo per
non perdere del tutto quel mondo nel quale aveva vissuto nei panni di
Mulder per un breve, indimenticabile momento della sua vita.
Rinunciarci avrebbe voluto dire rassegnarsi a un'esistenza sterile,
priva di sogni, di ideali e di fantasie. Lottare per esso, senza
badare ai giudizi di chi non avrebbe capito, e non sapendo che fare
avrebbe riso, significava cercare e trovare sé stessi. Così aveva
fatto Mulder. E così avrebbe fatto Franz.

   Cliccò sul tasto di invio. La mail indirizzata a 'Dana Scully'
iniziò il suo viaggio lungo la Rete

   

   FINE

   

   

   

   

   Dedica, spiegazioni e doverosi tributi

   

   Dedico questo racconto a tutti i partecipanti all'Italian Virtual
Season.

   La storia che ho raccontato riprende e sviluppa quella che narrai
nel newsgroup di X-Files (it.fan.tv.x-files) col primo messaggio che
inviai, parlandone come di una storia realmente accaduta... Le
reazioni furono discordanti: ci fu chi mi prese in giro, chi mi difese
(Monica!), chi si divertì, chi mi consigliò di cambiare spacciatore,
chi mi fece i complimenti per la bella storia (AleX!), chi mi suggerì
di trarne una fanfic (Kestra)... Ora, dopo un anno, seguendo l'esempio
di Cutfleece, ho accettato quel consiglio. E l'ho fatto perché questa
storia la DOVEVO scrivere, ne avevo un bisogno assoluto, in quanto
essa è l'unico modo che ho trovato per mettere Mulder al sicuro da
tutto ciò che gli potrebbe accadere di "irreparabile", a causa di chi
ha in mano il suo destino. Mulder è una figura troppo importante per
me, non posso rinunciare a lui adesso. Scrivere questo racconto è
stato bello, e nello stesso tempo doloroso, per il modo in cui l'ho
dovuto far finire e per l'ansia di finirlo che mi derivava dal
desiderio di non farmi influenzare da eventuali spoilers sull'ottava
serie e dalla paura di non farcela prima che gli eventi "reali"
andassero forse in una direzione che non mi piaceva. Insomma, la
storia è diventata davvero una specie di "grande scongiuro", con la
speranza che non debba mai diventare la mia unica àncora di
salvezza... Vi chiedete perché non posso rinunciare a Mulder? Alcuni
seasonist lo sanno già, o lo possono intuire. Agli altri dirò che
quando ho premesso al racconto la frase "ispirato a una storia vera"
ho scritto quella che io considero la verità, perché "in un certo
senso" la storia è accaduta davvero, e in quel senso è completamente
autobiografica. Il che significa che anche nella peggiore delle
ipotesi Mulder non scomparirà mai, finché ci sarò io, e finché ci
saranno persone felici di continuare a immaginare e a scrivere le sue
vicende. Ma ovviamente preferirei che Mulder potesse continuare ad
avere un universo in cui tornare, e vorrei poterci "tornare" anch'io
(e anche molti di voi, suppongo); per questo spero che non sparisca
dal suo mondo,e che vi rimanga per sempre, anche dopo la fine della
serie. In altre parole spero che la parte della storia "non ancora
accaduta" rimanga tale...

   Anche se rimugino sul nucleo di questa storia da molto tempo (ne fa
fede una lettera che spedii alla rivista di X-Files nell'aprile del
1999, e che non fu mai pubblicata, perché la rivista, ovviamente,
chiuse...), è indubbio che vi compaiono elementi che ho ritrovato in
altre fanfic, scoprendo una comunanza di interessi e di temi con altri
autori. Mi riferisco in particolare a Monica M. Castiglioni ("I ponti
di Einstein-Rosen" e "Domenica, ore 20:30: X-Files"), Alessio "AleX"
Sanguineti ("E-mail me" e "Come eravamo") e Lorenzo "Lollo" Trenti
("Revolving Doors"). Li voglio ringraziare per le loro storie e per la
loro presenza nella mia rubrica degli indirizzi! ;-)

   Un'ultima cosa, e concludo (finalmente, dirà qualcuno!). Questa mi
sembra l'occasione adatta per far leggere a qualcuno (solo Monica l'ha
vista) una mail scritta il 18 maggio 2000, indirizzata al Newsgroup e
mai spedita. L'avevo scritta in un momento di sconforto, alla notizia,
poi rivelatasi infondata, che X-Files stava per finire, e
probabilmente nel modo (per me) peggiore... Eccola:

   Oggetto: Mulderheart.

   "Scrivo per la terza e probabilmente ultima volta, sperando che questo
serva ad attenuare il senso di angoscia per qualcosa di sgradevole che
potrebbe accadere, o forse è già accaduto, non lo so. Qualcuno ha
visto "Dragonheart"? Alla fine del film il drago muore, ma non
scompare ciò che esso rappresenta: l'infanzia, la fantasia,
l'immaginazione, i sogni, l'avventura, la ricerca, la lotta... Dov'è
finito tutto ciò? Il drago stesso risponde: "Nelle stelle, Bowen!".
Ovvero in ciò che rispetto alla breve durata della storia umana è
pressoché immutabile, ed eterno. Qualcuno, da qualche parte, si sta
forse apprestando a dirmi: "Nelle stelle, Sleepy!"? Ebbene, se
accadesse, io direi: "Well, I'll reach the Stars!". Grazie a Dio, al
Fato, o forse alle Stelle, so che avrei la possibilità di farlo. E con
me, forse, altri ci riuscirebbero. Come si raggiungono le Stelle?
Semplice, prendendo atto della Verità, o meglio, di UNA delle tante
Verità... La vostra finestra sul "vero" mondo di Mulder, quello dove
"X-Files" non è il titolo di una serie televisiva ma il nome di ciò di
cui lui si occupa, non vi lascia vedere tutto ciò che accade in quel
mondo. Ve lo posso assicurare per esperienza personale, così come
posso dire che vi sono molti modi per vedere il resto: il mio è solo
uno dei tanti. Vi sono inoltre alcune - come chiamarle? -
discontinuità fra quel mondo e questo. A volte insignificanti, a volte
fondamentali. In TV non si è mai visto il varco che si è aperto per
Mulder fra i due mondi, e neppure l'indovina zingara che gli ha
predetto una vita non troppo felice (non si può avere tutto...) ma
abbastanza lunga, nella quale non mancherà mai una meta da
raggiungere, e qualcuno che ti aiuti a farlo. Né mancherà mai 
un varco aperto, per lui, almeno finché ci sarà un ospite da questa parte. 
E io ci sarò "sempre", o almeno così credo e spero. Un giorno la 
finestra/schermo con quel mondo si chiuderà. Non per me. Non per chi è 
in grado di tenere aperto un corridoio... E sento che qualcun altro 
esiste. This ISN'T the End of the Road."

   Questa lettera in fondo risulta ottimista, riletta alla luce della
fanfic. Il che prova quanto sforzo mi sia costato scrivere una storia
del genere. Ma è stato comunque bello. Spero che chi la legge possa
divertirsi, pensando che vi si narra "ciò che poteva accadere e per
fortuna non è accaduto"! E a questo punto non vi resta che aderire
alla mia CPDDM (Campaign for the Prevention of Definitive
Disappearance of Mulder!!!!!!!!;-)))))))

   

   

   Postfazione al "Secondo Finale"

   

   Ho scritto questa fanfic avendo già in mente un finale che salvava lo
spirito di Mulder, ma che lasciava l'amaro in bocca, perché metteva
fine a tutto ciò che per lui (e per me!) contava davvero. Sapevo anche
che un racconto del genere non aveva alcuna possibilità di rientrare
tra quelli ufficiali della Italian Virtual Season, né cronologicamente
né tematicamente, appunto a causa del finale che sconvolgeva tutto il
mondo degli X-Files (o almeno ciò che per me in quel mondo NON
andrebbe toccato!). Ma questa storia "doveva" finire in questo modo,
non poteva essere altrimenti. Ovviamente però mi dispiaceva di doverla
escludere a priori dalla Season, per cui ho cominciato a riflettere
sulle possibili modifiche per renderla adatta (anche se la storia
originale rimane un punto fermo, almeno per quanto mi riguarda: il
"grande scongiuro" deve rimanere tale!). Ma non riuscivo a trovare un
modo soddisfacente per riportare le cose alla "normalità", salvo
quello di eliminare quasi del tutto la seconda parte, con la morte di
Mulder. Però mi dispiaceva dovervi rinunciare... Ebbene, una sera,
mentre stavo riflettendo sui pensieri di Mulder una volta tornato
definitivamente nel nostro universo, prima che si addormentasse e si
perdesse nel suo sogno illusorio, rilessi la frase: "Arrivò al punto
di invidiare lo stesso Franz, che almeno per un periodo della sua vita
aveva trovato un modo per fuggire, creandosi un varco fino al suo
mondo ideale". Ecco il punto! Se c'era riuscito Franz, perché non
poteva riuscirci Mulder?! Credo che per un attimo mi sia girata la
testa, pensando all'idea contorta che avrebbe riportato lo spirito di
Mulder che era nel corpo di Franz dentro il corpo di un altro Mulder a
cui non era successo nulla...! E non era poi un'idea così folle: in
"Monday" si vedevano dei Mulder "alternativi", e nessuno ha mai
pensato che ognuno di loro non fosse il vero Mulder... Chi stabilisce
che un universo parallelo sia quello "assolutamente giusto" rispetto
ad un altro? Chi ha deciso che l'universo di partenza sia più "vero"
di quello di arrivo? E' tutto relativo, no? Visto che "relativamente"
a Mulder quello "giusto" è l'universo che desidera, e visto che riesce
ad ottenerlo, quell'universo diventa automaticamente il suo. Quello
"giusto", appunto! Quello familiare a cui noi siamo affezionati. E che
spero nessuno ci toglierà mai!!!!

(21/11/2000)

   

Franz "Sleepy" Fioravanti (e-mail: sleepyfx@libero.it)

   

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