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Anno 2 Numero 50 Mercoledì 19.03.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Neve sciolta all'origine dei burroni marziani?

 

di Antonio De Blasi*  

Sono trascorsi tre anni da quando la sonda Mars Global Surveyor ha individuato sulla superficie marziana una grande quantità di burroni relativamente recenti, con una età stimata inferiore ad un milione di anni. Sulla loro origine si sono avanzate numerose spiegazioni:

si era pensato ai mudflows causati da depositi sprofondati di ghiaccio permanente, al fluire di acqua sotterranea o allo scioglimento di ghiaccio appena sotto la superficie. La comunità scientifica resta tuttavia molto perplessa su queste ipotesi sia perché il pianeta è notevolmente freddo e sia perché, da tutte le osservazioni fino ad oggi compiute, il suolo marziano risulta perfettamente asciutto. Tenuto conto delle attuali condizioni climatiche di Marte (pressione media di sei millibar e temperatura compresa tra -123 e +22 °C secondo le zone e le stagioni), la maggior parte dei ricercatori concorda nel ritenere plausibile la presenza di acqua allo stato liquido solo all'interno di profonde gole, come quelle presenti nella regione dei canyon di Vallis Marineris.
Come risolvere quindi il dilemma?
E' di questi giorni la pubblicazione, sulla prestigiosa rivista Nature di una nuova ipotesi sviluppata sulla base di accurate osservazioni del cratere da impatto Martian; a proporla è il geologo Philip Christensen dell'università statale dell'Arizona. Secondo lo studioso i profondi burroni non sarebbero altro che canali di scolo prodotti dallo scioglimento di nevi presenti ciclicamente sulla superficie marziana. L'origine di questa fenomeno potrebbe essere legata alle oscillazione dell'asse di rotazione del pianeta rosso rispetto all'eclittica. Studi sul moto di Marte indicano, infatti, che l'asse di rotazione del pianeta oscillerebbe di circa venti gradi in un periodo compreso tra centomila e un milione di anni. Secondo Christensen nella fase in cui l'asse di rotazione raggiunge la massima inclinazione e i poli sono investiti direttamente dai raggi solari, la maggior parte dei ghiacci evaporerebbe. Il vapore acqueo, spinto dai venti, raggiungerebbe lentamente le latitudini medie dove si trasformerebbe in neve. Nella fase successiva, nel corso della quale l'asse di rotazione è meno inclinato e il sole illumina più direttamente le latitudini medie, gran parte della neve si scioglierebbe. Goccia dopo goccia, l'acqua avrebbe così scavato le lunghe e profonde scanalature in cima ai crateri del pianeta e originato i movimenti di detriti sui relativi pendii. 
Da almeno 500.000 anni il pianeta starebbe attraversando quest'ultima fase, con la neve ormai completamente sciolta alle medie latitudini e la superficie perfettamente asciutta. Di un oceano esistito milioni e milioni di anni fa resta un gigantesco deposito di ghiacci a pochi centimetri sotto la superficie delle regioni polari, come ha rilevato la Odissey esattamente lo scorso anno. 
Se questa ipotesi troverà riscontro, le probabilità di trovare possibili habitat per la vita, aumenterà considerevolmente.

*Osservatorio Astronomico - Bologna

deblasi@bo.astro.it

 


 

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