Anno 2 Numero 51 Mercoledì 26.03.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

CONTRO LA SETE DEL PIANETA
WWF: "SALVARE LA 'LINFA' DELLA TERRA 
GESTENDO IN MODO INTEGRATO 261 BACINI IDRICI TRANSFRONTALIERI" 


www.wwf.it

Presentato a Firenze il Dossier "I grandi fiumi del pianeta"
con lo screening dei corsi d'acqua italiani più degradati. 

I grandi fiumi del pianeta, la linfa della terra, costituiscono una preziosa risorsa d'acqua per milioni di persone. Per risolvere la sete del pianeta, secondo il WWF, gli sforzi vanno concentrati su questi ambienti, almeno sui 261 bacini idrici che attraversano i diversi paesi, e fare in modo che entro il 2010 250 milioni di ettari di ecosistemi di acqua dolce prioritari a livello mondiale siano protetti o ben gestiti in modo concretamente sostenibile. 
E' questa la richiesta che il WWF rilancia in occasione del Forum di Firenze e contemporaneamente al Summit Mondiale per l'Acqua di Kyoto. "Se vogliamo garantire l'acqua per tutti è importante tutelare l'intero ciclo idrico del nostro pianeta rispettando soprattutto la natura come base importante dei processi ecologici - ha dichiarato Gianfranco Bologna, portavoce del WWF Italia, intervenuto questa mattina al Forum di Firenze - per questo il WWF ha avviato da anni una Campagna internazionale, Living Waters Campaign, con l'obiettivo conservare e ripristinare gli ecosistemi di acqua dolce e i loro processi per il beneficio della nostra e delle altre specie viventi. Dal 1950 al 2000 la disponibilità annuale pro capite di acqua nel mondo è andata decrescendo dai 16.800 metri cubi ai 6.800. Oggi oltre un miliardo di individui non hanno accesso all'acqua potabile. Secondo le Nazioni Unite il 41% della popolazione mondiale (2,3 miliardi di persone) vive attualmente lungo i bacini di fiumi sottoposti ad un vero e proprio stress idrico. Ecco perché il WWF è impegnato nel mondo alla definizione della gestione sostenibile dei grandi fiumi".
"Per migliorare i servizi idrici bisogna rendere effettiva la Gestione Integrata dei Bacini Fluviali (IRBN) - ha dichiarato a Firenze anche Andrea Agapito, responsabile Campagna Acqua del WWF Italia - senza un impegno per la realizzazione di questo importante processo rischiamo che qualsiasi progresso nel favorire l'accessibilità sia reso vano dall'eccessivo sfruttamento e dal degrado degli ecosistemi fluviali, l'ultima fonte d'acqua del pianeta. Bisogna stabilire la gestione integrata di 261 bacini che, in tutto il mondo, sono condivisi da più nazioni. La Commissione Mondiale sulle dighe ha dato delle direttive che riguardano la costruzione di nuovi sbarramenti artificiali, direttive che sono un requisito chiave per la corretta gestione dei fiumi". 
"Se i governi riusciranno entro il 2010 a far sì che le politiche e le attività dell'intervento privato relativo ai settori dell'utilizzo dell'acqua vengano modificate per mantenere l'integrità degli ecosistemi di acqua dolce potremo risolvere la grande sete del pianeta e uscire dalla crisi idrica in molte parti del mondo - ha continuato Gianfranco Bologna - purtroppo i segnali che ci arrivano dal Summit Mondiale per l'Acqua di Kyoto sono estremamente preoccupanti. I nostri delegati ci hanno segnalato il fatto che sono scomparsi dalla Dichiarazione finale, che si sta ancora discutendo, alcuni punti chiave sui mutamenti climatici, le raccomandazioni della Commissione Mondiale sulle Dighe e alcune soluzioni innovative come i pagamenti dei servizi ambientali. Se la dichiarazione sarà così "svuotata" i Governi si assumeranno una gravissima responsabilità sulla terribile crisi idrica che sta attraversando il nostro pianeta e i popoli del mondo". 
Ed è dedicato ai "popoli dei grandi fiumi" il Dossier "I grandi fiumi del pianeta" che il WWF ha presentato oggi a Firenze in cui si elencano 5 grandi bacini del mondo, l'Orinoco in sud-America, il Niger in Africa, la Vistola in Europa, lo Yangtze e il Mekong in Asia e se ne illustrano i principali rischi. In un capitolo il Dossier conta anche 32 casi di degrado dei fiumi italiani, su 50 osservati. 
Il Dossier del WWF spiega i legami dei popoli che vivono lungo le sponde dei grandi fiumi: nel Mekong, dove ben 60 milioni di persone dipendono dalle sue risorse per le proteine della loro dieta; 400 milioni di persone, un terzo della popolazione della Cina, vive invece nel bacino dello Yangtze, milioni di africani dipendono dal Niger, il terzo fiume più lungo del continente, adattati da secoli alle sue continue modificazioni ambientali coltivando riso, miglio, allevando bestiame, pescando e raccogliendo piante medicinali; mentre il 45% della popolazione che vive lungo l'Orinoco, il terzo fiume più grande della terra per volume d'acqua, è in condizioni di estrema povertà; milioni di polacchi hanno invece la Vistola, la Regina dei fiumi, a sostenere il loro fabbisogno idrico, le attività agricole, al pesca e il turismo attirato dalle meravigliose sponde che racchiudono il 76% delle specie di uccelli che nidificano nel paese. I grandi fiumi sono ovunque a rischio: basti pensare che le riserve ittiche di acqua dolce sono diminuite del 90% in molti fiumi più grandi del mondo mentre la metà delle zone umide (spesso grandi delta fluviali) sono state distrutte negli ultimi 100 anni. Il costante declino di specie animali è più forte negli ecosistemi di acqua dolce che in qualsiasi altro e il WWF, nel suo recente Living Planet Report, ha segnalato che una delle cause alla base della crisi dell'acqua è proprio il degrado continuo degli ecosistemi terrestri ed acquatici: una perdita che riguarda più della metà della biodiversità di acqua dolce a partire dal 1970. 
Il Dossier del WWF presenta anche i risultati di uno screening su circa 50 fiumi, grazie al lavoro di censimento dei volontari: il risultato è che i fiumi, in Italia, sembrano essere considerati soprattutto una risorsa da sfruttare a livello economico per il tornaconto di pochi: ne sono esempio la diffusione incontrollata di piccole centraline idroelettriche o il proliferare delle cave di ghiaia. 32 i casi di “ordinario degrado” dei corsi d’acqua: fiumi “prosciugati” per le captazioni selvagge, come il Rio Verde, in Abruzzo, o l’Isonzo in territorio friulano e sloveno; fiumi “imbrigliati” per la produzione di un esiguo quantitativo di energia elettrica, come l’Esino nelle Marche, o l’Aveto in Liguria; corsi d’acqua “spogliati” dalla vegetazione spondale, come l’Aniene nel Lazio, il Nera a Terni, o l’Adige; fiumi che, per la “messa in sicurezza” dalle piene, hanno subito opere devastanti (e controproducenti) come il Tagliamento in Friuli, o l’Adda in Valtellina; fiumi “sventrati” dalle attivita’ di cava, non regolamentate a livello nazionale e sulle quali ogni regione ha legiferato a modo suo (i casi del Po, dell’Arno, dei torrenti liguri); torrenti “tombati” dal cemento o riempiti di terra, come in Liguria.
L’Italia è molto indietro, anche nelle funzioni fondamentali di gestione dei bacini idrici - ha ricordato Andrea Agapito - A questo proposito denunciamo la situazione di arretratezza delle pianificazioni regionali: gli ATO (Ambiti territoriali ottimali) Ad oggi le ricognizioni condotte dalle Regioni, prima dell’insediamento degli ATO sono terminate nel 59% degli Ambiti, mentre sono in corso nel 23%. Circa 1/3 degli ATO insediati ha redatto il Piano d’Ambito e dieci di questi hanno affidato la gestione del servizio idrico integrato. Al dicembre 2001 solo 4 ATO su circa 90 già definiti hanno completato il processo di affidamento della gestione. La situazione gestionale è di fatto rimasta quella antecedente alla Legge Galli, mentre la stessa individuazione degli ATO è peregrina, perché basata più che su criteri geografico-ambientali, sulle suddivisioni amministrative. 

 

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