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di
Paola Franz
La
petroliera Prestige, una delle cinque supercarrette che vagano per i
mari attendendo di versare il proprio letale contenuto in mare è
affondata. Il suo mortale liquame si sta distribuendo sulle coste
della Galice mettendo a repentaglio la vita di interi ecosistemi e
delle popolazioni rivierasche. E noi cosa facciamo? Mettiamo delle
scadenze per la circolazione delle navi a scafo singolo: 31 dicembre
2003 messa al bando delle petroliere pre-Marpol e 31 dicembre 2005
per quelle che trasportano prodotti finiti. E dopo questa iniziativa
affonda la Prestige, e quante altre Prestige dovremo vedere prima di
accelerare i tempi di intervento? Vi sono paradisi ecologici che
hanno subito già danni terrificanti, parliamo delle Galapagos, e
quanti altri dovranno scomparire? Dovremo
attendere che le bianche scogliere di Bonifacio si tingano di nero
per bloccare definitivamente il passaggio delle petroliere
attraverso le Bocche di Bonifacio, una delle zone di mare che ha
visto il maggior numero di navi affondare?
Il
Mediterraneo è ritenuto da sempre uno dei mari a maggior rischio
per la navigazione, lo testimoniano le migliaia di relitti che
giacciono sui suoi fondali, ed inoltre essendo un mare chiuso è
soggetto a risentire particolarmente degli agenti inquinanti. Nel
nostro mare circolano ogni anno circa 170 milioni di tonnellate di
prodotti petroliferi, di cui un milione viene scaricata in mare sia
per gli incidenti sia deliberatamente per lavaggio delle cisterne.
L'Italia è il Paese più esposto, solo nel 1999 sono stati
individuati 1000 sversamenti deliberati di petrolio. Il 35% degli
sversamenti avviene durante le operazioni di carico e scarico, il 7%
durante il bunkeraggio, un altro 7% a cause di falle nello scafo, il
3% per arenamento, il 2% per collisioni, un altro 2% per incendi o
esplosioni, il 15% per operazioni di routine e il 29% per
motivazioni incerte. Le cause degli incidenti sono imputabili per il
64% ad errori umani, soprattutto perché gli equipaggi sono
impreparati, improvvisati e sotto pagati, per il 16% sono dovuti a
danni meccanici, per il 10% a problematiche strutturali del natante
e per un altro 10% per motivi imprecisati.
La Prestige, batteva
bandiera delle Bahamas, era stata controllata ben 11 volte negli
Stati Uniti e per tale motivo 1999 si era trasferita in acque ove vi
erano meno possibilità di controllo; comunque era stata bandita
anche dalle acque della
Norvegia, poiché considerata ad altissimo rischio, Già 295 Km di
costa sono stati inquinati da parte delle 10.000 tonnellate
fuoriuscite dallo scafo; vi è la vaga speranza che alla profondità a cui
giace la pressione e la bassa temperatura mantengano il restante
carburante compresso e solidificato in fondo al mare. Una sola
tonnellata di petrolio uccide 12 km quadrati di mare, in questo caso
si potrebbero riversare ben 70.000 tonnellate (tre volte il
contenuto della fatidica petroliera Erika), sufficienti a
distruggere 840.000 km quadrati di mare, cioè 84.000.000 ettari
(l'Italia si estende per un territorio di 301.245 Km quadrati,
quindi un territorio di quasi 3 volte il nostro Paese).
Se l'incidente fosse
accaduto nella zona delle Bocche di Bonifacio sia il mare della
Sardegna sia quello della Corsica sarebbero distrutti. Questa zona
costituisce un patrimonio unico al mondo per la varietà
paesaggistica ed ecologica, sui suoi fondali, le praterie di
posidonia oceanica, liberano 12 metri cubi di ossigeno ogni ora per
ettaro, il corallo rosso è unico ed apprezzato in tutto il mondo,
non lontanissimo vivono specie introvabili quale la foca monaca, la
moltitudine di specie animali e vegetali fanno di questi luoghi un
vero paradiso naturale. Nonostante ciò ogni anno vengono versate
quantità enormi di prodotti petroliferi. Inoltre
è una zona colpita per tanti giorni all'anno da forti venti di
maestrale e tramontana che facilmente rendono il tratto
particolarmente pericoloso per la navigazione.
Anche la laguna
Veneta e Venezia sono a rischio; ogni giorno una nave petroliera e
ogni due o tre giorni una nave che trasporta sostanze chimiche o gas
solca quel mare e non vi sono restrizioni per le navi a singolo
scafo. Speriamo che questo
ennesimo disastro sia di monito per dare corso immediato a leggi
restrittive sulla navigazione di mezzi a rischio. Ricordando che
comunque, oltre al disastro ecologico, molto spesso le compagnie non
pagano ed è la comunità che deve rifondere i danni alle
popolazioni colpite. In questo caso la Comunità Europea dovrà
risarcire almeno 117,7 milioni di euro. Ricordiamo che le compagnie
assicurative non risarciscono il danno ambientale in quanto troppo
elevato. Se si costringessero gli armatori ad assicurare il danno
ambientale probabilmente verrebbero utilizzate tecnologie di
avanguardia per poter rispondere ai requisiti richiesti dalle
assicurazioni.
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