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di Massimo
Bracalenti*
Quelle che seguono sono delle suggestioni pensate come sviluppi pratici di quanto detto sinora. Possono sembrare larghe o strette, dipende dai punti di vista. Tra le nostre teorie e ciò che avviene nel mondo c'è sempre uno scarto, una cesura come quella della nascita. Bion amava tornare e ritornare sull'affermazione di Freud "tra la vita intrauterina e la prima infanzia vi è molta più continuità di quel che non ci lasci credere l'impressionante cesura dell'atto della nascita". Credo che questa sua ossessiva attenzione abbia, appunto, qualcosa di ossessivo che riguarda tutti noi e che tutti noi cerchiamo ossessivamente di dimenticare: il fatto che tra la nascita della nostra personalità ed il mondo c'è forse la stessa cesura che tra la teoria e la pratica.
E' caso di una paziente che, durante l'adolescenza, è tata una campionessa di nuoto e poi si è perduta. Cosa è accaduto? Forse, semplicemente, non è mai nata. Tra il liquido amnionitico e la piscina c'è molta più continuità, potremmo dire, parafrasando Freud, di quanta ve ne sia tra la nascita della personalità ed il respirare. Come meravigliarsi per il suo disadattamento? Ma come permetterle di inserirsi in questo mondo fatto di aria? Possiamo aspettarci che si ritufferà in un liquido, qualsiasi esso sia; o che sbatterà contro la consistenza delle cose. Dovrò essere un buon timoniere, a proposito di acqua; e navigare interrogando le stelle.
Probabilmente in ogni incontro con un altro essere umano lo dobbiamo chiedere di nuovo, magari per poterlo obliare ancora. E' forse anche per questo che "quando due personalità si incontrano, si crea una tempesta emotiva…. Poiché si sono effettivamente incontrati, e poiché è avvenuta questa tempesta emotiva, i due che si trovano in questa tempesta possono decidere di arrangiarsi alla meno peggio" (Bion 1987, p. 238). Si tratta appunto di arrangiarsi alla meno peggio, sapendo che non sappiamo quando sono nate le nostre personalità: possiamo soltanto desiderare di saperlo, magari imparando qualcosa dall'altro. Questo, forse, significa arrangiarsi alla meno peggio. Come si vede, è tutto pieno di "forse".
Comunque, oltre le considerazioni sinora fatte, utilizzerò, come base concettuale, alcune formulazioni teoriche.
La prima è quella di identificazione di prova così come illustrata da Casement (1989), essa serve per: "pensare o provare emozioni come se partecipassi alle esperienze che mi vengono descritte…..cerco anche di esaminare il mio rapporto con il paziente dal suo punto di vista……rifletto sul mio ultimo intervento, ponendomi di nuovo nei panni del paziente" (Casement, 1985, pp. 32-33).
La seconda è quella evidenziata da Telleschi e Torre (1997): la
necessità di modulare l'incontro con l'adolescente, e soprattutto con l'adolescente che fa uso di nuove droghe, sia stabilendo delle regole, dei confini (il setting), sia contenendo le sue angosce e le sue dirompenti emozioni (l'holding), facendo sì che quelle regole e quei confini siano qualcosa di morbido e accogliente piuttosto che qualcosa di rigido e soffocante come le mura o le sbarre di una prigione dalla quale si desidera fuggire subito.
Ecco allora alcune suggestioni-indicazioni per un'applicazione "pratica" di quanto detto sinora:
· Osservare attentamente l'apparente mancanza di dipendenza
· Osservare la fuga e fuggire un poco con il fuggitivo
· Osservare le azioni, lasciare che agiscano in noi. Lentamente, partendo dal qui ed ora, evitando l'interrogatorio, far sì che le azioni divengano racconto.
· Sottolineare con tatto la "presenza", cioè il corpo, con gesti che delicatamente entrino nello spazio privato.
· "Si può guardare all'adolescenza da un'ottica particolare, come luogo nel quale siamo stati e che abbiamo attraversato in un momento della nostra vita. Stiamo ancora cercando di capire che cosa ci è capitato allora" (Meltzer 1981 b, p. 62). Accettare la propria ignoranza circa l'adolescenza e gli adolescenti. Curiosare facendoci raccontare e sapendo che in ogni racconto si mente, avvengono spostamenti, condensazioni e negazioni. Comunque, curiosare nel mondo giovanile, come un viaggiatore; sapendo che gli stessi giovani stanno essi stessi curiosando e cercando.
Secondo Meltzer (1981a) l'adolescente si muove tra quattro "mondi": quello degli adolescenti, quello dei bambini, quello degli adulti, quello dell'isolamento. Se vogliamo entrare in rapporto con un giovane dobbiamo sapere accettare il fatto che egli, anche repentinamente, passi da un registro all'altro. Si tratta di seguire l'adolescente, senza invaderlo e senza affannarlo, in questo suo peregrinare. Saper far questo, come Virgilio con Dante, significa giocare con lui. Sapendo, anche, e questo ci provoca un'ansia profonda, che noi, come Virgilio, siamo già morti: la nostra adolescenza è perduta. L'adolescente potrà giocare se noi sapremo contenere le sue angosce di vedere in noi la fine della sua adolescenza. Noi moriremo ancora una volta. Nell'attesa, nell'intervallo, c'è lo spazio dell'attesa, gioco e della conoscenza. In quello spazio o ci inseriamo noi o s'insediano le nuove-vecchie streghe: le droghe.
· Offrire indicazioni. Possibilmente aspettando una richiesta esplicita ed evitando sia il modo imperativo, il comando, sia il consiglio amicale. Si tratta di saper mantenere una distanza ottimale: essere presente, far percepire la propria simpatia e nello stesso tempo il nostro essere altro. Il che significa: anch'io ho avuto la tua esperienza di naufrago ma sono sopravvissuto; mi sono perduto, mi sono ritrovato e poi mi sono ancora perduto; faccio di tutto per cavarmela e sono riuscito ad evitare di essere una pianta, un sasso, una bestia; sono diventato un poco saggio ma tu, cortesemente, evita di chiedermi cosa significa perché non so spiegarlo. Se l'adolescente eviterà di chiedercelo, allora avremo fatto un buon lavoro.
Bibliografia
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Bion W. R., 1987, Seminari clinici, Raffaello Cortina Editore, Milano 1989
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Bricolo R., 1998, Quando l'arco non è più teso, in Gatti R. G. (a cura di), Ecstasy e nuove droghe, Franco Angeli, Milano
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Dimauro E., Patrussi V., 1999, Dipendenze, Carocci, Roma
Featherstone M., 1994,Postmodernismo e cultura del consumo, Seam, Roma
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Kierkegaard S., 1849, La malattia mortale, tr. It. Sansoni, Firenze 1966
La Mendola S., 1999, Il senso del rischio, in Diamanti I. (a cura di) La generazione invisibile, Il Sole 24 Ore, Milano
Livi Bacci M., 1999, Quanto "contano" i giovani?, in Diamanti I. (a cura di) La generazione invisibile, Il Sole 24 Ore, Milano
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Ritzer G., 1999, La religione dei consumi, tra it. Il Mulino, Bologna 2000
Rousseau J. J., 1762, Emilio, tr. It. Mondadori, Milano 1997
Telleschi R., Torre G. (a cura di), 1997, Il primo colloquio con l'adolescente, Raffello Cortina Editore, Milano
*psicanalista
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