Agenzia di Stampa

Anno 1 Numero 4/5 Mercoledì 08.05.02 ore 00.01

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L’ombra di Virgilio L’adolescente, la turbolenza emotiva e le "nuove droghe"  

IVª parte Adolescenza, disturbi del comportamento e nuove droghe

 

 

di Massimo Bracalenti *

L'io, dice Kiekegaard, "è un rapporto che si rapporta a se stesso oppure è, nel rapporto, il rapportarsi che il rapporto si rapporta a se stesso; l'io non è il rapporto, ma il rapportarsi a se stesso" (Kiekegaard 1849, p. 215). Da qui nasce però la disperazione: l'io non può autofondarsi, essendo un rapporto; l'io non può però neanche fuggire da se stesso, essendo il ritorno su se stesso del rapporto.
L'adolescente in crisi è come il disperato di Kierkegaard: cerca una possibilità. Qualsiasi possibilità, compresa quella dell'evasione. Si capisce come il dovere di trovare un'identità autonoma ed indipendente sia, se presa alla lettera, una prescrizione paradossale. Ed il paradosso, se preso alla lettera, anzi, soltanto se preso alla lettera, crea un cortocircuito. L'adolescente in crisi è colui che vive sulla sua pelle questo corto circuito, che sbatte la testa, per averlo preso alla lettera, contro il paradosso dell'identità.
Le nuove droghe o, come è forse meglio dire (Bricolo, 1998), le vecchie droghe assunte in modo nuovo, sono una delle possibili risposte a questa disperazione. Esse permettono di:
· Dipendere senza "apparentemente" dipendere. La fuga dalla dipendenza è come la fuga dell'Io da se stesso del disperato di Kiekegaard. Ma è anche una ricerca: quella di un essere umano da cui valga la pena dipendere; perché la dipendenza è sempre anche "penosa". E' appena il caso di ricordare che per gli adolescenti vi è la necessità, vitale come l'aria, di trovare e ritrovare figure che possano costituire dei modelli. Credere in un falso democraticismo, che è poi soltanto un'operazione pilatesca, significa creare tanti orfani o
impedire tante nascite psichiche.                                     ·

Sostituire un'azione con un pensiero. E' il tema del registro comportamentale, dell'azione che prevale su quello della rappresentazione. E' anche il modo però di cercare un contatto. La comunicazione è infatti un agire in comune. Si tratta allora di partire dal modo e dal livello di comunicazione che il giovane mostra di preferire, senza rimandargli la sua parodia. 
· Ritrovarsi con gli altri in modo anonimo. L'empatia senza nome, senza lavoro (cioè senza dolore e senza piacere) e senza mediazione è anche la fuga dalla simpatia, dall'essere con. Il desiderio di desiderare soltanto è una fuga dal desiderio; nel contempo però è anche un modo per cercare dei complici, degli alter-ego. Si tratta di partire anche da qui. Quanto conosciamo dei giovani? E quanto vogliamo riconoscere della nostra gioventù? Quanta invidia è in gioco tra i giovani e tra i giovani e gli adulti? 

Sperimentare altre dimensioni. Cioè rompere la logica aristotelica ribellandosi ad essa e ritrovare la molteplicità delle maschere di cui parla Gindro (1993). E' una ribellione-rottura a tempo. Un rischio che si vorrebbe calcolato. Di fatto è vivere diversi mondi e luoghi diversi e acuire le cesure che li dividono per ritrovarsi caduti nella banalità. Mi spiego meglio uscendo di metafora. Sia Meltzer sia Gindro sottolineano il rischio, per gli adolescenti della fuga in avanti, la fuga nella normalità. Essere normale ed adulto, per un adolescente, significa essere un efficiente e "produttivo" consumatore. Visti da questa angolatura gli adulti, per i giovani, sono gli "esseri delle cose e delle azioni". Ora, quale migliore parodia degli adulti quella di trasformarsi in efficienti consumatori di sostanze che producono azioni per le azioni? Trasformarsi in efficienti produttori di esperienze improduttive significa da un lato accettare la logica degli adulti, dall'altro rovesciarla completamente. Non significa però esserne fuori, anzi, il contrario. Ci si ritrova al punto di partenza, forse soltanto un poco più disperati. E qui entra in gioco il rischio.

"Il rischio va inteso come un'interpretazione del fronteggiamento del pericolo nel perseguimento degli obiettivi. In particolare, è quell'interpretazione che la cultura dominante nella modernità ha la pretesa di affermare come universale. Nei suoi tratti essenziali tale idea sostiene che il pericolo debba essere affrontato a livello individuale, potenzialmente da tutte le persone, e che nessuna dimensione extra-sensoriale di tipo magico-religioso struttura il campo d'azione. Sono i principi del razionalismo utilitaristico a dover guidare l'attore che si assume la responsabilità del rischio, così come a quei principi sono ispirati i meccanismi sociali di premiazione dei migliori, meccanismi fondati sulla connessione-competenza- regole-successo" (La Mendola 1999, p.173). Il presunto non-rischio delle nuove droghe è l'imitazione derisoria di questa mentalità e di questa cultura. Una sorta di mimetismo per identificazione adesiva, cioè attraverso l'assimilazione all'epidermide dell'altro; in questo caso: gli adulti. Ma il consumo delle nuove droghe è anche una parodia delle molteplici logiche e maschere dell'infanzia (Cfr. Gindro, 1993a). Una parodia degli antichi splendori e di privilegi che non ci sono più. Il bambino è infatti, nella nostra società, il consumatore per eccellenza. Ecco allora che i giovani, con le loro identità a palinsesto (Bauman 1999), cioè costruite su "forme indossate sul momento e altrettanto facilmente dismesse" (Bauman 1999, p. 65) si conformano perfettamente alla nostra società che, pervasa dall'incertezza, ha una sola certezza il consumo. Il consumatore di nuove droghe è il prototipo di colui che va al supermercato, un supermercato nel quale si vendono dei trucchi inventati dalla mente umana per dimenticare se stessa. Anche in questo caso si tratta di partire dall'esigenza che nella parodia si mostra: quella del gioco. Sapendo che il gioco è imitazione, lotta ed incontro. 

*psicanalista m.bracalenti@tiscali.it

 

 

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