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di Massimo Bracalenti *
Se il corpo è il luogo delle trasformazioni che "dettano" i tempi dell'adolescenza, è sin troppo ovvio che attraverso il corpo l'adolescente manifesterà gran parte del suo essere, soprattutto del suo disagio. Ho detto sin troppo ovvio sia perché quella che ho fatto è una constatazione che tutti possono fare e che moltissimi fanno, sia perché c'è qualcosa di troppo e di troppo ovvio. L'adolescenza non è l'unico periodo dell'esistenza nel quale l'essere umano percepisca di avere un corpo. Questo è altrettanto ovvio. Il problema è allora un altro e può essere formulato così: nell'adolescenza diviene irreversibile ciò che era stato scritto nel corredo genetico, cioè la differenziazione sessuale. Intendo "irreversibile", ancora una volta in modo ovvio, psicologicamente.
"Fino all'età adulta, i fanciulli dei due sessi non hanno nulla in apparenza che li distingua: lo stesso volto, lo stesso aspetto, la stessa carnagione, la stessa voce,
tutto eguale; ragazze e ragazzi sono fanciulli: lo stesso nome basta per
indicare esseri tanto simili" (Rousseau 1762, p. 277). Il corpo, ovvero il corpo sessuato e differenziato sessualmente diviene allora il grande mistero da interrogare: la trasformazione visibile e però incomprensibile. Non a caso, come fa notare Jeammet (2001), molti dei disturbi degli adolescenti si manifestano nella sfera comportamentale e motoria piuttosto che a livello intrapsichico e rappresentazionale.
Scopo del giovane, secondo Jeammet (cit.), è quello di difendersi da
relazioni affettive che, per le emozioni che suscitano, egli sente come
pericolose. E' per questo che egli interpone "un comportamento,
ovvero oggetti sostitutivi, che ritiene di controllare, tra se stesso e i
suoi attaccamenti potenziali" (Jeammet 2001, p. 9). Tali oggetti
sostitutivi o comportamenti possono essere: il cibo o il suo rifiuto, le
droghe, l'apatia a scuola, il suicidio.
Jeammet (2001) sintetizza così le modalità di relazione degli
adolescenti con disturbi del comportamento:
"- alternanza tra bramosia di relazioni e tendenza ad isolarsi e
ritrarsi, entrambe con intolleranza tanto della solitudine che della
vicinanza; - forte consapevolezza dell'atteggiamento e dell'opinione delle
altre persone, spesso a livello di ipersensibilità: - difficoltà a
regolare le relazioni e a trovare una distanza ottimale, con oscillazioni violente tra attaccamento idealizzato e
distacco totale, vendicatività, e persino ostilità diretta
nell'affrontare la minima delusione;
- oscillazione tra angoscia dovuta al timore della separazione e angoscia
dovuta alla paura di intrusione;
- aspettative esagerate nei confronti di persone significative coesistono
con una tendenza a lasciarsi facilmente influenzare, una grande capacità
di opporsi e un rifiuto ostinato del cambiamento;
- si riscontra sempre un autosabotaggio nel quale l'adolescente attaccava
il proprio corpo, o le proprie realizzazioni, o risorse interne,
privandosi a causa di ciò di una parte del proprio potenziale e spesso di
quanto in precedenza aveva tenuto in alta considerazione. Qual è, dunque,
il denominatore comune, il filo rosso che può collegare questi fenomeni e
aiutarci a comprendere la modalità specifica con la quale la pubertà
mette in atto questi comportamenti? Il concetto di dipendenza ci può
fornire una risposta. Un soggetto il cui equilibrio dipende in larga
misura dai suoi rapporti con gli oggetti esterni e dai loro atteggiamenti
può essere considerato dipendente" (Jeammet 2001, p.8).
*psicanalista
m.bracalenti@tiscali.it |
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