Agenzia di Stampa

Anno 1 Numero 2 Mercoledì 17.04.02 ore 23

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Direttore Responsabile Guido Donati

 

 

L’ombra di Virgilio L’adolescente, la turbolenza emotiva e le "nuove droghe" 

IIª parte L'adolescenza

 

 

di Massimo Bracalenti *

Nella nostra cultura l'adolescenza (da adolescere: crescere) è il periodo della vita della persona nel quale è possibile vivere e, soprattutto, manifestare quella che Bion (1987) chiama "turbolenza emotiva". 
E' una turbolenza, quella adolescenziale, che le sue "basi" nelle trasformazioni del corpo dovute alla pubertà, che si svolge in un tempo "indeterminato", nel senso che non termina con la fine della pubertà, e che, infine, comporta un lavoro psicologico che sembra "indefinito". Ed è secondo queste tre dimensioni, quella del corpo, quella del tempo e quella del lavoro, che intendo presentare alcune osservazioni sull'adolescenza; osservazioni per leggere il fenomeno delle nuove droghe dal punto di vista del disagio adolescenziale. 
La pubertà è essenzialmente una trasformazione (letteralmente: un cambiare forma) del corpo. "La pubertà si definisce come l'insieme dei cambiamenti essenzialmente biologici e anatomici che sfociano nella capacità di riproduzione. Attraverso la pubertà, l'adolescente s'inscrive nella potenziale perennità della specie" (Birraux 1990, p. 19). 
Questa trasformazione ha bisogno di essere pensata da parte del soggetto; tale elaborazione non avviene nel vuoto bensì in un contesto socio-culturale che ne determina in gran parte forme, modi e tempi. In questo senso l'adolescenza, pur avendo le sue basi nel fenomeno biologico universale della pubertà, è qualcosa di eminentemente psicologico e culturale.

Si tratta, per l'adolescente, di conoscere e riconoscere il proprio corpo mentre esso si trasforma. Ora, pensare la trasformazione, qualsiasi trasformazione, è qualcosa di estremamente difficile; anche perché il nostro pensiero e le nostre conoscenze si basano su forme, come ha mostrato Kant. Ciò è ancora più difficile mentre è in corso una trasformazione in noi stessi. Pensare questa trasformazione richiede allora tempo e lavoro. Tempo perché essa si realizzi; tempo affinché, nel cambiamento, una qualche configurazione stabile si definisca; tempo infine per acquisire le forme per pensare. Però, come molto spesso accade nelle faccende umane, sembra che il tempo venga a mancare proprio quando urge  e che ve ne sia troppo quando non serve. Ovviamente non è così, ma questa è la nostra reazione alla pressione di desideri e paure che ci invadono. Ricordo il caso di una ragazza in analisi che doveva laurearsi e diceva di volerlo assolutamente fare in tempi brevi, anzi, che era per lei una necessità urgente. Di fatto, pur non lavorando, dilazionava gli esami volutamente, per poi lamentarsi di aver poco tempo per preparali. Superato un esame, tornava a dilazionare la preparazione del successivo e contemporaneamente diceva di voler assolutamente laurearsi riprendendo le lamentele per essere iscritta all'università ormai da troppo tempo.

Il circolo delle lamentele si modificò divenendo prima una spirale e poi una retta soltanto dopo aver affrontato le sue angosce di morte. Il tempo dunque caratterizza l'adolescenza in modo particolare: è il tempo della fretta e, contemporaneamente, del ritardo. Livi Bacci parla di sindrome del ritardo a proposito del "crescente ritardo col quale i giovani acquisiscono quel complesso di autonomie indispensabili per diventare adulti" (Livi Bacci 1999, p, 33); non meno importante è però la fretta con la quale molti adolescenti bruciano esperienze e possibilità. E' una dialettica tra bramosia e ritiro, tra pavidità e temerarietà.
L'altra caratteristica dell'adolescenza è quella del lavoro inteso come attività psichica di elaborazione e comprensione. Si sottolinea spesso il ruolo della sessualità nell'adolescenza ma si sottovaluta quello della conoscenza e del lavoro psicologico che essa comporta. Il giovane infatti non vive nel vuoto o in un ipotetico stato di natura: egli vive in contesti che lo obbligano ad elaborare strategie assai complesse per venire a capo dei suoi desideri, conoscerli e capire almeno un poco cosa farne. E' questo un punto sottolineato da Meltzer (1981a) il quale collega il problema della conoscenza e del capire nell'adolescenza a quello, correlato, della confusione. Confusione tra zone erogene, tra maschio e femmina, tra adulto e bambino, tra buono e cattivo. Potremmo dire che noi sappiamo qualcosa, abbiamo imparato qualcosa, perché siamo sopravvissuti alla confusione dell'adolescenza. La nostra conoscenza è emersa da quella turbolenza emotiva: I più fortunati di noi sono riusciti anche a mantenere qualcosa di ciò che avevano imparato prima. La confusione ha i suoi lati positivi: permette di nascondersi, permette di trovare complici, permette di evitare la responsabilità; infine, cosa più importante, qualora si riesca a sopravviverle può essere estremamente produttiva e creativa. Ma questo lo si impara dopo.

Mentre si è confusi si ha soltanto la sgradevole sensazione di non provare né piacere né dolore: si è in preda ad una molteplicità di stimoli esterni ed interni contraddittori che si fondono: mentre se ne segue uno ci si ritrova ad essere in preda dell'altro. 
Ad un giovane paziente che sognava spesso la sua stanza disordinata ed ingombra di mobili ho detto che avremmo dovuto in qualche modo mettere in ordine dentro di lui. Il ragazzo ha cominciato dalla sua stanza reale, è poi andato a vivere da solo ed infine è quasi uscito dalla sua confusione sessuale. E' stato faticoso ma sembra essere sopravvissuto, recuperando anche alcune delle sue antiche conoscenze. Quel che questo ragazzo non ha ancora sperimentato è stato il dolore psichico. La confusione è una difesa dal piacere e, forse, ancora di più dal dolore e da quello psichico in particolare. Perché la conoscenza, ce lo dice uno dei nostri miti fondanti, non è il giardino dell'Eden. La conoscenza può essere estremamente piacevole ma è anche fatta di momenti di inteso e profondo dolore, di impensabile fatica. L'adolescenza è il tempo nel quale, in questa cultura, la persona è chiamata a confrontarsi con questo groviglio. La posta in gioco è alta: riuscire a conservare e ad ampliare la ricchezza pulsionale e affettiva dell'infanzia, ricchezza che permette al bambino di districarsi tra più logiche, o irrigidirsi in un'identità unidimensionale. 
La castrazione logica, cioè il rigido conformarsi alla logica aristotelica (che si basa sui principi di identità e non contraddizione), è il pericolo che, secondo Gindro (1993a), corrono gli adolescenti. Per Gindro (1993b) la persona umana è un insieme di maschere; soltanto nella follia o in una normalità castrata e castrante (che è poi l'antitesi dialettica della follia) essa si irrigidisce in una maschera soltanto. Ora, il bambino, sostiene Gindro (1993a), riesce a "giocare" con molteplici maschere, molteplici pulsioni, molteplici logiche; all'adolescente viene invece richiesto un sacrificio, che è anche una castrazione: abbandonare la molteplicità e la contraddizione creativa ed uniformarsi ad una logica, ad una visione del mondo, ad una presunta normalità.

*psicanalista m.bracalenti@tiscali.it

 

 

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