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di Massimo Bracalenti
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Nelle faccende umane
si può osservare una stravagante dicotomia: da un lato gli esseri umani
sembrano essere in grado di far mutare in modo significativo le condizioni
esteriori della loro esistenza; dall’altro essi hanno comportamenti
sconsolatamente ripetitivi e ricorrenti, tanto da dar ragione all’Ecclesiaste:
nihil sub sole novum. E’ il caso delle cosiddette "nuove
droghe". Che l’uomo abbia avuto sempre bisogno di
"drogarsi" è un fatto che già Freud aveva notato e, a suo
modo, spiegato: esso " s’inserisce nella grande schiera dei metodi
costruiti dalla psiche umana per sottrarsi alla condizione della
sofferenza, una schiera che comincia con la nevrosi, culmina nella follia,
e nella quale sono compresi l’intossicazione, lo sprofondare in se
stessi, l’estasi" ( Freud 1927, p. 505). Comunque, la locuzione
"nuove droghe" fa ormai parte del linguaggio quotidiano, con
essa si indicano l’uso e l’abuso di anabolizzanti, psicofarmaci e,
soprattutto, droghe sintetiche "empatogene" (cioè capaci di
favorire l’empatia) quali Ecstasy, Love drug, EVE, TNT, LSD, DMT 2-CB,
Nexus, Crack; senza dimenticare la cocaina e le amfetamine. E’ un
fenomeno, quello delle "nuove droghe", che sta giustamente
suscitando preoccupazione ed allarme sia per la sua diffusione, sia
perché si presenta come multiforme e variegato. Esso ha elementi che lo
pongono in una linea di continuità con quello delle tossicodipendenze, ma
ha anche tratti distintivi che giustificano la connotazione di novità.
Vediamo quali sono tali caratteristiche specifiche:
Pervasività ed elusività.
La percezione sociale ed i dati disponibili indicano
che il fenomeno delle nuove droghe è estremamente esteso e coinvolge una
percentuale estremamente alta di adolescenti. Tuttavia, ad un’analisi
più attenta i dati statistici ed epidemiologici risultano estremamente
parziali. Al contempo, la figura del consumatore di nuove droghe sembra
dileguarsi nella normalità. La complessità del fenomeno comporta infatti
un alto indice di contraddittorietà, di qui l’elusività. Mentre il
tossicodipendente "classico" aveva una maschera stereotipizzata,
ed era anche oggetto di una sorta di stigma sociale; il nuovo consumatore
di droghe di volti sembra averne mille e nessuno. Forse ciò è dovuto a
quelle forme di
identità patchwork tipiche delle
generazioni figlie della cultura
postmoderna (Featherstone 1994).
Cosicché, la già incerta definizione di personalità tossicomanica
sembra essere implosa frammentandosi: il malessere si è diffuso e
generalizzato.
La moltiplicazione delle droghe.
Da un punto di vista storico
molte delle nuove droghe, compresa quella che è assurta a simbolo di
tutte le altre, la MDMA o ecstasy, sono vecchie; la MDMA, ad esempio, è
stata brevettata nel 1913. Ciò significherebbe ancora poco, ma si pensi
alla cocaina o all’LSD, che sta vivendo una sorta di seconda vita: sono
tutte droghe nuove ma anche vecchie. Ciò sarebbe indice di una
continuità, sennonché il fatto nuovo è che le droghe sembrano essersi
moltiplicate; anzi, si potrebbe pensare ad un processo di differenziazione
e proliferazione di cui non si vede il termine. Basti ricordare alle
possibilità "espansive", dal punto di vista del consumo, che
possono offrire gli inalanti. La droga di fatto, ed è questa la novità,
e la complicazione, si presenta come un’Idra che riesce a generare e
rigenerare le proprie teste ad una velocità pari a quella che guida la
società dei consumi (cfr., ad esempio, Ritzer 1999). Il quadro si
complica ancor di più se poi si tiene conto di un altro tratto, non
completamente originale ma che tuttavia si sta rilevando come una delle
cifre del nuovo consumo di droghe: la politossicomania e l’uso
sequenziale di sostanze stupefacenti diverse (Cfr. E. Dimauro, V. Patrussi,
1999). Le nuove droghe cioè, al pari dei nuovi consumi, si differenziano
a secondo degli usi, delle persone e delle particolari esigenze della
stessa persona; al contempo esse generano il bisogno di altre droghe. E’
allora chiaro che, data l’impossibilità di tener dietro ad un processo
così veloce, per molti versi somigliante a quello della replicazione
delle cellule cancerose, è di fondamentale importanza individuare il
meccanismo e le dinamiche che ne sono alla base stereotipizzata, ed era
anche oggetto di una sorta di stigma sociale; il nuovo consumatore di
droghe di volti sembra averne mille e nessuno. Forse ciò è dovuto a
quelle forme di identità patchwork tipiche delle generazioni figlie della
cultura postmoderna (Featherstone 1994). Cosicché, la già incerta
definizione di personalità tossicomanica sembra essere implosa
frammentandosi: il malessere si è diffuso e generalizzato.
La tossicità.
Un luogo comune che trova ampia
diffusione tra i giovani e che è alimentato da molta
letteratura "alternativa" è quello della mancanza di tossicità
che caratterizzerebbe le nuove droghe. Si parla di droghe "pulite".
Ciò è, a mio avviso, frutto non soltanto di
ignoranza, di sotto-cultura
e di interessi specifici da parte dei produttori, fattori anch’essi
importanti, di una mancanza di informazione. Vi è certamente un ritardo
di elaborazione concettuale dovuto alla novità del fenomeno; vi è però
anche un una rottura nella comunicazione. Sintomo, questo, di uno
scollamento sociale e generazionale. Si sta producendo uno iato tra
giovani ed adulti che non passa più per il conflitto ma per l’indifferenza,
la noia e la rassegnazione. Informare significa allora, certamente,
trasmettere messaggi ma ciò acquista senso soltanto all’interno di
processi comunicativi che abbiamo come scopo fondamentale quello proprio
ed originario della comunicazione: mettere in comune. Soltanto così la
complessità del fenomeno nuove droghe può essere esperita e, appunto,
comunicata; soltanto così la continuità-discontinuità con le vecchie
droghe mostrata. Infine, in quest’ottica diviene possibile decostruire
in modo significativo anche per un ascoltatore scettico e annoiato, come
è spesso il giovane, il mito della non tossicità.
La dipendenza.
La "non dipendenza" dalle nuove droghe è un
mito parallelo e speculare a quello della loro "non tossicità".
Il lavoro da fare a questo riguardo è però duplice. Da un alto si tratta
di decostruire questo mito con modalità e forme di intervento che sono le
stesse di quelle indicate per la tossicità. Dall’altro lato, si tratta
di ripensare il concetto di dipendenza da sostanze stupefacenti. Il mito
della non dipendenza indotta dalle nuove droghe poggia infatti su di un
dato, seppur esiguo, di realtà: alcune nuove droghe come le amfetamine e
derivati, tra cui l’MDMA, non danno forte dipendenza fisiologica. Ed è
a partire da questo dato che il mito, come tutti miti, si è costruito.
Soltanto che la dipendenza fisiologica è una delle forme, certo
importante, in cui la dipendenza si manifesta. Senza cadere in una
metafisica della dipendenza e pur evitando una deriva psicologistica, mi
sembra che le nuove droghe pongano in evidenza il fatto che aver
affrontato il problema della dipendenza utilizzando esclusivamente un
implicito modello biologico sia stato uno dei motivi del fallimento di
molti modelli interpretativi delle tossicodipendenze. Ora, poiché i
consumatori di nuove droghe sono soprattutto adolescenti, è opportuno
rivolgere l’attenzione a questa fase della nostra vita ed alle forme di
disagio che le sono proprie.
*psicanalista
m.bracalenti@tiscali.it |
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