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L'assenza di un linfocita espone i bambini più piccoli ad otiti,polmoniti
e altre gravi patologie.
Scoperto da ricercatori dell'Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù il modo per attivare la protezione
I risultati dell'importante studio pubblicato dalla rivista 'Journal of Experimental Medicine'
Otiti, polmoniti e altre gravi patologie che possono colpire i bambini in tenera età sono causate dall'assenza di un linfocita. Lo prova una
ricerca dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù pubblicata sull'ultimo numero della rivista scientifica 'Journal of Experimental Medicine' che
illustra, per la prima volta, il risultato di quasi tre anni di lavoro
sull'identificazione del linfocita B definito "di memoria" come l'agente che ci protegge dalle infezioni da pneumococco e da emofilo. La ricerca
propone un nuovo protocollo vaccinale che potrà avere ricadute cliniche rilevanti. Dovrebbe, infatti, ridurre drasticamente il rischio di
infezioni sistemiche gravi nei bambini, nei quali come abbiamo visto il linfocita non viene prodotto, e rendere così superfluo il trattamento
antibiotico preventivo, che a lungo andare può favorire la antibiotico-resistenza. La ricerca, di respiro internazionale, alla
quale hanno partecipato anche istituti clinici tedeschi e francesi, è
stata condotta dal gruppo della dott.ssa Rita Carsetti, della Direzione Scientifica dell'Ospedale Bambino Gesù, la ricercatrice che per prima
aveva dimostrato l'origine e la funzione dei linfociti 'di memoria' nel topo.
Quando si nasce siamo protetti dalle difese immunitarie materne, o da quelle cosiddette di prima difesa, innate nel bambino. Nonostante ciò,
nei primissimi anni di vita i bambini sono spesso soggetti ad infezioni (otiti, polmoniti, etc.) causate da batteri "capsulati", come lo
pneumococco o l'emofilo. A fronte del ricorso a terapie antibiotiche, però, nel lungo periodo il batterio può reagire diventando
resistente alle cure: nasce così il fenomeno della antibiotico-resistenza.
La causa della incapacità dei bambini piccoli a reagire a questo tipo di batteri era finora sconosciuta. La risposta è venuta dagli studi dei
ricercatori dell'Ospedale Bambino Gesù: per debellare i batteri capsulati ci vuole un'arma particolare, uno speciale linfocita B, quello
cosiddetto 'di memoria'.
È stato verificato che questo linfocita non è presente alla nascita, ma è prodotto solo alcuni mesi dopo. Questo intervallo diventa pericoloso
perché, non essendo il sistema di difesa al completo, il batterio capsulato
potrebbe approfittarne e creare danni. Il vaccino attualmente più usato attiva anch'esso il linfocita B 'di memoria', ma se questo è
totalmente assente, l'azione del vaccino non potrà essere che inefficace.
Per proteggere il bambino da questo potenziale pericolo nei primi mesi di vita, si devono, quindi, escogitare strategie alternative,
sfruttando, ad esempio, i vaccini di nuova generazione, non più diretti al linfocita B 'di memoria', ma che agiscono prima su un altro
linfocita: il linfocita T, il quale a sua volta attiva il linfocita B classico, dal quale poi si genereranno gli anticorpi. Scoperto prima nei
topi, il linfocita B 'di memoria' è stato identificato nell'uomo
inizialmente in pazienti a cui, per cause traumatiche o patologiche, era stata tolta la milza (soggetti splenectomizzati), l'organo che in
esclusiva produce i linfociti B 'di memoria'. Saranno quindi i bambini nei primissimi anni di vita e i pazienti
splenectomizzati, a beneficiare della vaccinazione 'modificata', così come proposta dal protocollo indicato dall'equipe dell'Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù. A questo proposito, una sperimentazione con questo nuovo vaccino dovrebbe iniziare presto nei pazienti
splenectomizzati.
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