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Anno 2 Numero 63 Mercoledì 18.06.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

nuovi studi sul Silybum marianum 

 

di Paola Franz

 

Il cardo mariano, il cui nome scientifico è Silybum marianum, pianta composita spinescente molto comune, cresce ai bordi delle strade ma anche sui terreni fertili, è utilizzato nella medicina popolare da oltre 2000 anni. Fu usato per la terapia delle bronchiti, come disintossicante, nei casi di indigestione, nei calcoli biliari, per problemi epatici e della milza. Questa pianta dopo essere stata utilizzata dalla medicina tradizionale di vari paesi, viene presa in considerazione anche dalla medicina allopatica. 

Soprattutto per quanto concerne i problemi epatici ed in special modo per le epatiti, sono stati effettuati svariati studi volti a dimostrarne l'efficacia e ad individuarne le componenti attive. Attualmente stanno per iniziare nuove ricerche sul cardo mariano, in particolare su una sostanza attiva in esso contenuta, il Siliphos, quest'ultimo è composto principalmente da un flavonoide, la Silibina. I flavonoidi sono un gruppo di pigmenti che dà i vividi colori alle piante, vengono studiati per le loro molteplici attività terapeutiche: sono potenti antiossidanti, migliorano l'ossigenazione dei tessuti e l'elasticità dei vasi sanguigni, inoltre sembra che abbiano la capacità di rallentare lo sviluppo di alcuni tumori. Sono state finora individuate oltre 4000 sostanze flavonoidi, ma si può ben supporre che data l'immensa varietà di specie vegetali ancora non studiate il patrimonio di sostanze attive sia incalcolabile. 

I nuovi studi sul cardo mariano saranno condotti da ricercatori indipendenti, che già in passato avevano ottenuto dei buoni risultati utilizzando basse dosi di estratti di cardo ed ora vogliono migliorare i risultati servendosi di dosaggi maggiori. La Silibina si è dimostrata essere il flavonoide più efficace contenuto nella pianta, più della Silimarina, utilizzata finora come componente base di molti prodotti commerciali di cardo mariano. Per migliorarne la biodisponibilità, cioè per permetterne un utilizzo a livello cellulare, la sostanza attiva viene sottoposta a dei trattamenti a livello molecolare. Negli studi precedenti effettuati su pazienti con patologie epatiche si è evidenziata un'ottima tollerabilità ed un miglioramento soprattutto degli enzimi del fegato, per cui aumentando i dosaggi probabilmente si potranno ottenere dei migliori risultati.

 

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