|
|
di
Paola Franz
Il
cardo mariano, il cui nome scientifico è Silybum marianum, pianta
composita spinescente molto comune, cresce ai bordi delle strade ma
anche sui terreni fertili, è utilizzato nella medicina popolare da
oltre 2000 anni. Fu usato per la terapia delle bronchiti, come
disintossicante, nei casi di indigestione, nei calcoli biliari, per
problemi epatici e della milza. Questa pianta dopo essere stata
utilizzata dalla medicina tradizionale di vari paesi, viene presa in
considerazione anche dalla medicina allopatica. Soprattutto
per quanto concerne i problemi epatici ed in special modo per le
epatiti, sono stati effettuati svariati studi volti a dimostrarne
l'efficacia e ad individuarne le componenti attive. Attualmente
stanno per iniziare nuove ricerche sul cardo mariano, in particolare
su una sostanza attiva in esso contenuta, il Siliphos, quest'ultimo
è composto principalmente da un flavonoide, la Silibina. I
flavonoidi sono un gruppo di pigmenti che dà i vividi
colori alle piante, vengono
studiati per le loro molteplici attività terapeutiche: sono potenti
antiossidanti, migliorano l'ossigenazione dei tessuti e
l'elasticità dei vasi sanguigni, inoltre sembra che abbiano la
capacità di rallentare lo sviluppo di alcuni tumori. Sono state
finora individuate oltre 4000 sostanze flavonoidi, ma si può ben
supporre che data l'immensa varietà di specie vegetali ancora non
studiate il patrimonio di sostanze attive sia incalcolabile. I
nuovi studi sul cardo mariano saranno condotti da ricercatori
indipendenti, che già in passato avevano ottenuto dei buoni
risultati utilizzando basse dosi di estratti di cardo ed ora
vogliono migliorare i risultati servendosi di dosaggi maggiori.
La Silibina si è dimostrata essere il flavonoide più efficace
contenuto nella pianta, più della Silimarina, utilizzata finora
come componente base di molti prodotti commerciali di cardo mariano.
Per migliorarne la biodisponibilità, cioè per permetterne un
utilizzo a livello cellulare, la sostanza attiva viene sottoposta a
dei trattamenti a livello molecolare. Negli
studi precedenti effettuati su pazienti con patologie epatiche si è
evidenziata un'ottima tollerabilità ed un miglioramento soprattutto
degli enzimi del fegato, per cui aumentando i dosaggi probabilmente
si potranno ottenere dei migliori risultati. Per
informazioni più approfondite e sostegno sull'epatite C consigliamo
il sito: www.epac.it
|
|
|