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di
Anna Maria Daniele
Una grande rilevanza nel sistema giuridico assume la figura del medico e le modalità attraverso le quali lo stesso possa, nell’esercizio delle sue funzioni, consumare un reato.
Per una più completa comprensione del caso concreto è necessario fare cenno ad alcuni istituti fondamentali del diritto penale
Come ogni soggetto fisico giuridico, il medico può compiere reati sia con una condotta commissiva, sia con una condotta omissiva.
S’intende per condotta commissiva, quella che si esplica con un’azione; viceversa, per quella omissiva, quella che si manifesta con il mancato compimento di un’azione, che si attendeva da un soggetto.
Per esserci reato è necessaria, quindi, sia la presenza di un soggetto attivo (nel caso il medico), sia di una condotta (omissiva o
commissiva). È fondamentale, però, anche il verificarsi di un evento-danno.
Quest’ultimo può consistere sia in un danno inteso in senso naturalistico, come modificazione della realtà naturale, sia in senso giuridico, come offesa (lesione) del bene- giuridico rilevante penalmente.
Nel furto (articolo 624 codice penale), per esempio, l’ evento naturalistico è la sottrazione del bene, l’evento giudico è l’offesa al patrimonio.
È essenziale, per il principio di necessaria offensività, che la condotta dell’agente provochi un’offesa (lesione) ad un bene giuridico rilevante penalmente, non essendo necessario sempre il verificarsi dell’evento in senso naturalistico; in caso contrario, si parlerebbe di reato impossibile( è impossibile, per esempio, il reato commesso da un soggetto che tenta di sparare ad un altro soggetto con una pistola giocattolo)
La presenza di questi tre elementi, il soggetto-agente, la condotta e l’evento non bastano a rendere perfetto il reato, manca, infatti, un quarto elemento: un nesso causale fra la condotta dell’agente e il danno-evento.
Per relazione causale s’intende l’insieme delle condizioni antecedenti dalle quali dipende il verificarsi dell’evento.
E' chiaro che la ricerca del nesso causale si basa su diversi criteri a seconda che si faccia ricollegare l’evento ad una condotta omissiva o commissiva.
Una cosa è, infatti, ricercare il collegamento tra un’azione ed un evento, un’altra, è trovarlo tra una non-azione e un evento.
Ritornando al caso del furto, esso si esplica con un’azione, cioè la sottrazione di una cosa altrui e il relativo spossessamento in capo al soggetto che lo subisce. Il nesso causale è appunto dato dal fatto che il bene di un soggetto non è più nel suo possesso, ma è in quello del ladro a causa dell’azione di quest’ultimo: la sottrazione.
La realtà presenta, naturalmente, casi non proprio lineari: un esempio può essere dato dalla formazione di un tumore del peritoneo del lavoratore addetto ala manipolazione dell’amianto non protetto dalle garanzie richieste dalla legge. Nel qual caso, infatti, non si è certi su quale possa essere l’effettiva causa; se il solo contatto non protetto con l’amianto o il collegamento di questo con altri fattori o, addirittura, solo la presenza di questi ultimi. Per cui, si sono elaborati diversi criteri, attraverso i quali si possa collegare un’azione ad un evento. Il più seguito tra questi è quello che fa sussumere il rapporto causale da leggi scientifiche; vale a dire che per stabilire se un antecedente possa considerarsi causa di un evento, è necessario valutarlo in base ad una legge medica, geologica, statistica , insomma,in base ad una legge universalmente riconosciuta.
In quest’ultimo caso prospettato (tumore al peritoneo), esiste una legge medica, che afferma, su una base di un’accertata successione regolare e conforme, che a quella situazione consegue, con una certa regolarità, quell’evento (il tumore).
L’accertamento della prova del nesso causale, quindi, si svolge in due fasi:
la prima consiste in un processo mentale che è dato dall’eliminazione ipotetica della condotta dell’agente. Infatti,se da ciò si constata che escludendo quest’ultima viene meno anche l’evento, allora, è chiaro che quella è una delle possibili cause.
Una volta appurato questo, la seconda fase consta nell’individuazione della legge che collega i due elementi, in modo da scartare tutte gli altri possibili fattori che hanno potuto contribuire, concretamente, a quell’evento.
E’ chiaro che, attraverso questo metodo, il collegamento si basa su criteri di certezza o di alta probabilità
Ma per la non azione o omissione si può utilizzare lo stesso criterio?
Per rispondere a questo quesito bisogna, in realtà, distinguere la c.d. “omissione propria”, da quella c.d. “ impropria”.
La prima consiste nel mancato compimento di un’azione, che era richiesta ad un soggetto da una norma. In questo caso, per la sussistenza di un reato, è necessario trovare la norma nel sistema giuridico penale che obbliga ad attivarsi in determinate situazioni o a determinati soggetti e la relativa omissione a questo obbligo. Un esempio è dato dalla norma che sanziona l’omissione di referto (at.365c.p.), l’omissione di soccorso (art.593 c.p.) etc.
La prova, quindi, in questo caso, non è molto complessa.
Anche perché non necessario il verificarsi dell’evento, basta la semplice violazione di una norma per creare un collegamento causale.
Problemi,però, sorgono quando il soggetto non è punito per il mancato compimento dell’azione, ma perché, da questo suo non attivarsi, è derivato un evento lesivo che l’ordinamento scongiura.
Si parla, in questo caso, di reato omissivo improprio. “Improprio” perché non esiste una norma che sanzioni direttamente il comportamento omissivo, per cui si deve far ricorso alle norme che prevedono ipotesi di reato commissivo. Esempio tipico è dato dalla norma che disciplina l’omicidio. Quest’ultima (art. 575 del codice penale) sanziona “chiunque cagioni la morte di un uomo”. “Cagionare” è, appunto, una condotta attiva. Ma, quello che rileva è il bene che questa norma tende a proteggere;vale a dire il bene giuridico vita. Da quanto detto, lo stesso bene (la vita) può essere leso anche da una condotta omissiva. Per esempio, la mamma che non allatta il figlio fino a cagionargli la morte. Generalmente, tale tipo di responsabilità nasce dalla particolare posizione di protezione e controllo che sussiste in capo al soggetto agente.
Questo discorso ha un rilievo importante all’interno di un processo penalistico che abbia ad oggetto la responsabilità professionale del medico, riguardo ai reati omissivi impropri.
E’ il caso peculiare di omissione, quindi di non azione, del medico a causa di imperizia o negligenza o imprudenza da cui è conseguita la morte o la lesione di un paziente (tutelate rispettivamente dall’articolo 589 e dall’articolo 582 del codice penale).
Esempio può essere dato dalla mancata individuazione o dall’ omissione del medico nel riportare nel referto radiologico, relativo alla proiezione posteroanteriore del torace, la presenza di una formazione neoplastica polmonare. Tale omissione può impedire, poi, una precoce diagnosi della malattia e l’attuazione di interventi chirurgici idonei ad evitare la morte ( vd: Cassazione: sentenza n.38334 del 2002).
Bisogna rilevare che qui il medico non vuole (dolo) la morte o la lesione del soggetto (art.575 del codice penale), ma, per un suo non-agire non conforme al suo dovere professionale (colpa), si sono avute tali conseguenze.
A questo punto, entriamo nel vivo della questione.
Poiché non c’è nessuna norma del codice che ci aiuti ad individuare il criterio da seguire per collegare (il nesso causale, appunto) l’evento all’omissione del medico, la giurisprudenza ha sopperito al vuoto legislativo.
Per questo motivo , si spiega perché i criteri utilizzati siano,nel tempo, mutevoli.
Precedentemente, il medico veniva incriminato, cioè si riteneva colpevole, se una sua mancata azione provocava “un aumento di rischio” o, addirittura, non aveva “diminuito il rischio” della verificazione dell’evento lesivo.
Non vi era quindi un accertamento rigoroso della causalità.
Questo significa, per esempio, che la morte di un uomo, non conseguenza certa della omissione del medico, sarebbe stata attribuita allo stesso, se questi non avesse adottato tutte le misure tali da diminuire la possibilità del verificarsi della morte.
In poche parole, il medico avrebbe avuto grande difficoltà a dimostrare la sua innocenza.
Successivamente, la giurisprudenza, rendendosi conto dell’aggravamento processuale eccessivo della posizione del medico, ha cercato, invece, di ricorrere ad un accertamento più rigoroso del nesso causale.
Secondo questa, era necessario, quindi, dimostrare che il medico, con un suo comportamento attivo, avrebbe impedito l’evento con elevato grado di probabilità, prossima alla certezza e cioè con una percentuale quasi prossima a cento.
Questo criterio utilizzava dati statistici- medici a carattere probabilistico.
Anche in questo caso, però, la posizione del medico non veniva tutelata in modo appropriato. Infatti, i criterio statistico veniva utilizzato automaticamente. Facciamo l’esempio di un caso medico di stipsi addominale; secondo leggi mediche, se non si adottano determinati comportamenti medici, con alta probabilità si produce la morte del paziente. Adattato ad un processo, questo criterio comportava che, a prescindere dal caso concreto, se il medico accusato, non avesse adottato tali comportamenti, automaticamente risultava colpevole.
Dal 2002, la Giurisprudenza, avendo valutato la non equità di questo metodo, fondato sull’automatismo, che non valuta altri fattori presenti al momento del verificarsi dell’evento, ha cambiato direzione.
Ha, infatti, stabilito che la verifica del nesso causale non deve essere effettuata solo in base a leggi statistiche, ma, altresì, sulla base di circostanze concrete.
Vale a dire che il giudice deve far ricorso alle leggi di copertura universalmente accettate (cioè alle leggi scientifiche), alle leggi statistiche, alle massime di comune esperienza, valutando, inoltre, e, non in modo meno pregnante, i fattori specifici presenti e tutte le altre cause, diverse dalla condotta del medico, che hanno contribuito a determinare l’evento. Tutti questi elementi devono essere oggetto di giudizio in modo compativo e non alternativo.
Si parla, in questo caso, di criteri fondati sulla “ probabilità logica o razionale ”, piuttosto che sulla “probabilità statistica”.
Più che di cambiamento di orientamento, in realtà, si può parlare di integrazione di quello utilizzato precedentemente. Il motivo di tutto questo è facilmente rinvenibile nella volontà della giustizia di poter essere più vicine alle esigenze concrete e di poter dare soluzioni il più possibile conformi al vero.
Il non soffermarsi su criteri prettamente formali, quali il ricorso alle sole leggi statistiche, pur tra l’altro, precise e certe, è una palesazione di quanto sia necessario dare certezza processuale e sostanziale sia all’imputato, sia alla vittima. Aggravare eccessivamente la posizione dell’uno o dell’altra parte processuale, determinerebbe una grave ingiustizia, a nulla rilevando la forte posizione di garanzia che grava sul medico, il quale deve essere tutelato in sede processuale al pari di un qualsiasi altro individuo.
Sempre, naturalmente, facendo in modo che questa eccessiva garanzia non leda il paziente,potenziale vittima, che resta e resterà sempre la parte più debole in sede processuale….. ma, soprattutto, fuori dalle mura del tribunale.
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