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di
Anna Maria Daniele
Sembra strano, ma anche di questo si è occupata la Cassazione, perfino più di una volta!!!! In realtà, tale comportamento in un esercizio di attività commerciale assume la connotazione di una frode in commercio , vale a dire di un reato penalmente rilevante. A questo proposito, oggetto di una recente sentenza è stato il caso di un ristoratore che non ha indicato nella lista delle vivande i prodotti come congelati o surgelati. La Corte ha stabilito che, perché si possa parlare di tentativo di truffa (quando, cioè, l’agente vuole commettere la truffa e si attiva in tal senso, senza realizzare il proposito criminoso per cause indipendenti dalla propria volontà), sia necessario un inizio di pattuizione con il cliente. Vale a dire che la sola detenzione di un menù parzialmente compilato non comporta alcuna responsabilità in capo al ristoratore. È necessario che il menù sia stato consegnato all’avventore e questi abbia preso conoscenza del suo contenuto. Questo indirizzo, tuttavia, non è univoco. La Cassazione si è diversamente pronunciata in altre ipotesi simili. Infatti, per questa, non si può parlare di sussistenza del reato in oggetto quando il ristoratore detiene della merce all’interno del negozio, né, nel caso diametralmente opposto, quando si è istaurato un vero e proprio contratto con un cliente determinato; è necessario, viceversa, che la merce sia esposta per la vendita sui banchi o,comunque, offerta al pubblico. Così, nel 2002 la Cassazione ha stabilito che il commerciante che mantenga in uso una bilancia, in cui il dispositivo per il calcolo della tara sia disattivato, è responsabile di tentativo di truffa. Tra l’altro ha stabilito anche il concorso ( è un istituto applicabile nel caso in cui una pluralità di soggetti commette il reato: ognuno di questi soggiacerà alla pena stabilita per il reato in oggetto) del titolare con la commessa, che materialmente pesi la merce da consegnare all’acquirente sulla bilancia irregolare. Per concludere, la Cassazione ha esaminato un caso in cui il presidente, il direttore e il capo deposito di uno stabilimento di produzione del latte erano accusati di tentata frode in commercio, perché avevano indicato sugli involucri una data di scadenza eccedente il massimo consentito dalle disposizioni in vigore. Nonostante il fatto che questo comportamento fosse diretto alla messa in commercio del prodotto non più fresco, comunque, il prodotto risultava ancora nel magazzino e non era stato avviato alla rete di distribuzione. In quest’ultimo caso non sussiste, secondo quest’ultima pronuncia, neanche un offerta diretta a persona “indeterminata”, elemento necessario per la configurabilità del reato. Gli esempi sono veramente tanti. Per la qual cosa: Attenti, voi ristoratori/commercianti “furbetti”, state in campana!!!!!!
Nota: articolo 515 del codice penale: “Frode nell’esercizio del Commercio”: “Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile per origine provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino ad euro 2.065.
Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a 3 anni o della multa non inferiore a euro 103”
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