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Anno 2 Numero 51 Mercoledì 26.03.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

INSEMINAZIONE ARTIFICIALE ETEROLOGA

 

di Anna Maria Daniele

L’“inseminazione” consiste nell’introduzione del seme maschile negli organi genitali femminili per ottenere la fecondazione dell’ovulo.
Si parla, altresì, di “inseminazione artificiale” quando si ha la riproduzione di un essere umano, indipendentemente dall’unione sessuale (da cui “artificiale”) di un uomo e di una donna, utilizzando gameti appartenenti anche a soggetti diversi rispetto a quelli che assumeranno la qualità di genitori.
Per “gamete” s’intende ciascuna delle due cellule sessuali, che, fondendosi, danno origine ad una nuova cellula (zigote), dalla quale si sviluppa un nuovo individuo.
L’inseminazione artificiale può essere: 
- OMOLOGA: che è quella effettuata utilizzando il seme e gli ovuli dei soggetti appartenenti alla coppia.
- ETEROLOGA (AID): che è quella praticata utilizzando il seme o l’ovulo di un soggetto estraneo alla coppia. Nell’ambito della stessa è possibile distinguere, ulteriormente:
 L’inseminazione artificiale eterologa “maschile”, che si ha quando si utilizzano gameti maschili di un donatore anonimo
 L’inseminazione artificiale eterologa “femminile”, che si ha quando s’impianta lo spermatozoo dell’uomo nell’ovocita di una donna diversa da quella della coppia. Per “ovocita” s’intende il gamete femminile non ancora maturo
Tali tecniche naturalmente comportano notevoli problemi, visto il grande divario che, pian piano, aumenta tra l’inarrestabile progresso della scienza e i limiti morali, ma, soprattutto, giuridici presenti nel nostro sistema.
Il nostro impianto giuridico si basa, infatti, su alcuni principi fondamentali: il primo è quello che vede il rapporto giuridico di filiazione inscindibilmente legato a rapporto biologico. Vale a dire che un soggetto è figlio legittimo in quanto figlio naturale del padre e della madre. Da cui il principio della “verità della filiazione”, che attiene ai vincoli di sangue, e che, appunto, permette al padre di poter chiedere il disconoscimento, in caso di impotenza dello stesso e di adulterio della moglie. In relazione a questo, da non dimenticare l’indisponibilità degli status che sono sottratti alla negoziazione dei soggetti, da cui discende l’irrinunciabilità dell’azione di disconoscimento.
Infine, il principio che si può riassumere nel broccato “mater semper certa est, pater numquam”; cioè che la maternità è sempre certa.
È importante ricordare, a questo punto, che i figli nati in costanza di matrimonio si presumono legittimi automaticamente, salvo appunto le azioni tipicamente riconosciute dal codice sia in capo alla madre, sia al padre, nonché al figlio, per casi e con modalità tassativamente previste dallo stesso.
È chiaro che tutti questi principi non vanno a collidere con la tecnica dell’inseminazione “omologa”. Abbiamo detto, infatti, che questa utilizza i gameti delle persone che saranno successivamente i genitori sociali e legali. L’unica differenza consiste, semplicemente, nell’innesto del seme maschile nell’ovocita femminile, che avviene,appunto, artificialmente. Così, il padre e la madre biologici, in ogni modo, rimangono, entrambi, i successivi genitori “sociali”.
I problemi sorgono nel momento in cui si discute di inseminazione “eterologa”, visto che, in relazione a questa, ogni principio su espresso viene immancabilmente a mancare.
Infatti, per quanto riguarda l’inseminazione eterologa “maschile”, ci si chiede che diritti sorgono in capo al soggetto che ha donato il seme e quali in capo al soggetto che assume essere suo padre.
È chiaro che, da queste ipotesi, sono esclusi i casi di inseminazione eterologa effettuata o all’insaputa o contro la volontà del marito. In questo caso, infatti, non sussistono limiti al disconoscimento, basta dimostrare la sussistenza dei requisiti ex art.235 c.c. (che sono tassativi):adulterio, impotenza ecc.. 
I problemi sorgono quando il consenso da parte del marito è stato prestato. 
Ci si chiede,infatti, se questi possa, poi, in un tempo successivo, pentirsi della decisione e chiedere, quindi, il disconoscimento del figlio.
La giurisprudenza ha cercato di dare una soluzione a tale problema, ricorrendo a principi propri del nostro sistema giuridico. È chiaro che, anche in quest’occasione , non ha assunto posizioni univoche. Il ricorso alla giurisprudenza è dovuto, in realtà, al fatto che il legislatore, nonostante le diverse proposte di legge, non si è ancora pronunciato su questa materia.
In ogni modo, in tempi meno recenti, la posizione dominante era quella più vicina all’impianto del nostro attuale codice civile. Vale a dire che, nonostante, il consenso prestato, il marito avrebbe comunque potuto chiedere il disconoscimento. Questo perché non si può rinunciare preventivamente al diritto di adire al giudice per negare la propria paternità. Né, tanto meno, secondo sempre tale orientamento, la volontà manifestata dal marito nella fecondazione eterologa può avere la stessa funzione o lo stesso valore che l’unione sessuale svolge nella fecondazione naturale. Sempre su questa scia, si era negata anche la possibilità da parte della madre o dello stesso figlio di poter richiedere il risarcimento del danno, nonché il mantenimento e tutti gli oneri propri di un padre sull’assunto che il diritto al disconoscimento, in quanto irrinunciabile e indisponibile, non può essere sottoposto né a limiti né a condizioni di alcun genere.
Successivamente, l’orientamento giurisprudenziale ha cambiato parzialmente direzione. A dare una svolta è stata proprio la Corte Costituzionale (organo costituzionale che controlla il rispetto della Costituzione da parte del legislatore) (nella sentenza n.347/1998), la quale ha chiarito che l’art.235 del codice civile non disciplina affatto il disconoscimento della paternità al marito, che abbia dato il proprio consenso all’inseminazione artificiale eterologa della moglie.
Infatti, l’azione di disconoscimento ha come ratio sottostante la possibilità per il marito impotente di poter dimostrare che quel figlio sia il risultato di un adulterio e, quindi, di un rapporto sessuale con persona diversa dal coniuge. Per la Corte tale ipotesi è totalmente e sostanzialmente difforme da quella qui prospettata. Quindi, poiché i casi di disconoscimento sono tassativi, non se ne possono inserire di nuovi, come, appunto, l’inseminazione eterologa. ( cosa diversa,quindi, dall’adulterio) E’ da ricordare che tale sentenza della Corte Costituzionale, essendo meramente interpretativa, non è vincolante per i giudici, pur costituendo un notevole e validissimo precedente. 
Precisato questo, è necessario individuare i motivi che hanno indotto la Corte ad assumere questa posizione. Invero, il precedente orientamento giurisdizionale si poneva in violazione degli artt.2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, vale a dire rispettivamente al principio di solidarietà sociale, del diritto all’uguaglianza, del diritto alla famiglia nelle sue numerose esplicazioni (artt.29,30, 31 C.). Cioè, nel contemperamento degli interessi in gioco, non si vedeva perché privilegiare il dato naturale e biologico e il diritto del marito a poter negare la propria paternità rispetto a quella di dare una figura paterna ad un figlio, che non sarebbe al mondo senza il consenso prestato , e a quella di garantire i diritti del minore alla propria identità e al proprio nome.
Su questa strada s’innesta poi la sentenza della Cassazione (organo di vertice dell’organizzazione giudiziaria) (n.2315 del 1999) che parla di “responsabilità per la procreazione”, cioè chi ha espresso il consenso ai fini della procreazione deve poi essere responsabile della formazione, della crescita… insomma , dell’essere venuto in vita.
La soluzione a tutti questi problemi si rinviene allora nella disciplina dell’adozione. L’adozione, infatti, è l’istituto che consente, a chi non ha figli, di istaurare un rapporto sotto molti aspetti simili a quello che lega i genitori ai figli biologici. Si crea, così, un rapporto di parentela legale e non naturale. 
L’unico limite a questo è dato dal fatto che l’adozione presume che l’adottando debba essere già in vita.
Non pochi dubbi sorgono anche per l’inseminazione artificiale “femminile”.
In questo caso chi è sterile è la moglie. Una donna estranea alla coppia mette a disposizione un proprio ovocita o si utilizza, se è possibile, lo stesso della moglie. Quest’ultimo viene fecondato successivamente in provetta (si parla, infatti, anche di “concepimento in provetta”). La successiva fase può esplicarsi in diversi modi: o, infatti, s’impianta nell’utero della donna sterile il proprio ovulo fecondato artificialmente o quello di un’altra donna, oppure, addirittura, si utilizza l’utero di una terza donna. Si verranno quindi a prospettare più ipotesi. La prima è appunto l’inseminazione omologa; dove si utilizzano, come in quello maschile su esposto, i gameti della coppia. Così sia l’uomo, sia la donna restano biologicamente i genitori del figlio nato, però, artificialmente. Non ci sono quindi problemi sia sul piano giuridico, sia su quello morale.
Negli altri casi, invece, si parla di “maternità surrogata”. Quest’ultima può avere come soggetti due madri: quella biologica e quella sociale. O, addirittura, tre: quella “genetica”, che è la donna da cui proviene l’ovocita, la madre “partoriente”, che conduce la gravidanza e partorisce e, infine, la madre “sociale”, in altre parole, quella che assume lo status di madre legittima. 
Tale tecnica di inseminazione viene chiamata FIVET, cioè Fecondazione in Vitro con Embryo Trasfer.
Come quella maschile, anche questa può portare a notevoli dubbi e incertezze giuridiche.
Prima di tutto, viene meno il principio “mater sempre certa est, pater numquam”. La mamma in questi casi prospettati, difatti, non è certa.
Anche per la madre è apprestata dal sistema l’azione del disconoscimento, con gli stessi limiti e le stesse modalità di quelle esperibile dal padre.
E, anche in questo caso, è la giurisprudenza che dà il suo contributo per chiarificare un po’ una materia che il legislatore non ha il “coraggio” di disciplinare.
Le soluzioni sono state molteplici e, molto spesso, simili a quelle prospettate per l’inseminazione artificiale maschile.
Inoltre, si è affermata l’illiceità del “contratto di maternità per concepimento e gestazione”.
Il contratto, cioè, che ha per oggetto la maternità surrogata, sancendo,una volta nato il figlio, la rinuncia da parte della madre ”partoriente” a riconoscere il figlio biologico, e, d’altro canto, la rinuncia alla azione di disconoscimento da parte della madre “sociale”.
Giurisprudenza del 1995 ha sanzionato il contratto con nullità, ritenendo prevalente la volontà della donna partoriente. 
Altra giurisprudenza ha ritenuto possibile l’adozione da parte della moglie infertile, in base al fatto che fosse prevalente, in assoluto, l’interesse del minore ad avere una famiglia.
Viceversa, un altro orientamento ha rilevato la contraddizione di quest’ultima impostazione. Se, infatti, si considera possibile l’adozione, si permette di aggirare la nullità prospettata per il contratto di gestazione. Cioè, consentendo l’adozione, si fa sì che, indirettamente, si conceda protezione ad un contratto, in realtà, tacciato di nullità.
E’ anche vero, però, che, senza una disciplina legislativa, non si può arrivare a soluzioni univoche e certe. Anche perché non sono solo questi i casi in cui l’uomo riesce a controllare i processi vitali degli esseri vegetali, animali ed umani. Per farne un esempio, l’inseminazione artificiale, infatti, può scientificamente essere attuata anche post mortem, cioè inseminando artificialmente l’utero della donna mediante l’introduzione di uno spermatozoo prelevato dal marito, quando questi era in vita, ed utilizzato per la fecondazione dopo la morte di questo. Ciò può avvenire attraverso l’utilizzo di gameti crioconservati, cioè conservati con la tecnica a freddo. Qui, naturalmente, i problemi morali e giuridici si moltiplicano e si potenziano. 
Come, di non minore rilevanza, è la possibilità di poter contrarre una vendita che abbia ad oggetto un embrione, in cambio appunto di un prezzo.
Da non dimenticare che tali pratiche possono collidere con l’art.5 del codice civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando siano contrari a legge , all’ordine pubblico e al buon costume. 
A questo proposito è nata una nuova scienza che studia i problemi etici connessi all’applicazione delle più recenti scoperte biologiche e mediche (in particolare dell’ingegneria genetica e della neurobiologia),la BIOETICA..
Questo per porre l’accento solo su alcuni dei molteplici problemi, su cui il nostro legislatore non intende prendere posizione, nonostante le cospicue proposte legislative redatte da autorevoli studiosi e gli innumerevoli stimoli dati dai casi sottoposti alla giurisprudenza .
Il legislatore, con il suo disinteresse, ci lascia in mano al buon senso e all’equilibrio dei medici, degli scienziati, dei magistrati…e, soprattutto, confida, con eccessiva fiducia, sulla responsabilità e sulla consapevolezza dei futuri genitori “artificiali”.

 


 

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