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Anno 2 Numero 71 Mercoledì 13.08.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale del lavoratore infortunato
 

 

di Anna Maria Daniele


Il danno consista in una lesione di un interesse giuridicamente tutelato. Questo può essere patrimoniale, morale e biologico. Il primo consiste in una perdita, distruzione o danneggiamento di un bene patrimoniale o in una privazione di un guadagno o nella necessità sopravvenuta di compiere spese. Il danno non patrimoniale, viceversa, è inteso come danno fisico o psichico. Infine, il danno biologico coincide con il danno alla salute. Il lavoratore può, durante l’espletamento della sua attività lavorativa, subire tutti questi danni. Ci si chiede allora in capo a chi sorge il dovere di risarcire tutte queste voci. Ricordiamo che a tutela dei lavoratori vi è l’”assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro”. Il sistema è strutturato in questo modo: il datore di lavoro paga i contributi all’istituto previdenziale pubblico, questi garantisce il pagamento delle rendite e delle indennità al lavoratore infortunato e solleva, così, il datore di lavoro da responsabilità. Il danno risarcibile, in un primo tempo, era, però, riducibile alle sole perdite patrimoniali. Ciò si spiega con il fatto che il compito dell’istituto di assicurazioni non era di risarcire il danno, ma di sostituire la frazione di guadagno che, a causa della lesione, il lavoratore aveva perso. In un primo momento, il parametro per individuare l’infortunio era la c.d.”capacità lavorativa generica”, ossia l’attitudine dell’infortunato a svolgere un qualsiasi lavoro e non quello specifico, abitualmente svolto. Poi, poiché la coscienza dell’esistenza di danni ulteriori extra patrimoniali si faceva sempre più presente, si aprirono le porte al c.d. danno morale, in altre parole al danno non patrimoniale. Quest’ultimo, però, presuppone che si sia verificato un reato; vale a dire che si può computare nelle voci da risarcire solo se il fatto che lo ha scatenato risulta disciplinato dal codice penale, come reato. Tra gli anni settanta e ottanta, il sistema è cambiato radicalmente. Constatato che il richiamo della voce del danno morale potesse essere fatto solo se in presenza di un reato, ha fatto sì che si utilizzasse un altro espediente per tutelare il danneggiato in modo onnicomprensivo. Il discorso può sembrare complesso, ma cercherò di spiegarmi. L’articolo 2043 disciplina il risarcimento del danno. Non indica la natura di questo danno (patrimoniale o non). Stabilisce solo che il fatto che lo ha determinato deve essere doloso o colposo e il danno individuato deve essere “ingiusto”. Per essere ingiusto quest’ultimo, è necessario che sia stata violata una norma di diritto obiettivo. Bisogna quindi trovare questa norma che tuteli un diritto fondamentale. La rinveniamo nella Costituzione all’articolo 32, che disciplina il “diritto alla salute”. Per la qual cosa, il danno alla salute, che diventa ingiusto perché causato da un fatto doloso o colposo in seguito alla violazione dell’articolo 32 della Costituzione, è risarcibile, senza che sia necessario la configurazione di un reato penalmente rilevante. Chiarito che sia il danno patrimoniale, sia quello non patrimoniale sono risarcibili, adesso si può affrontare il problema di “chi” deve risarcirli. La legge n.38 del 2000 ha definito il danno biologico come lesione psico - fisica, suscettibile di valutazione medico legale della persona e ha definitivamente stabilito che anche questo deve rientrare nella tutela pubblica (assicurazione obbligatoria). Quindi, è l’istituto assicurativo che si occupa di risarcire il danno in modo onnicomprensivo. Con questa legge, oltre a ciò, si è risolto anche l’annoso problema del criterio con il quale si computava la rendita da lavoro persa: vale a dire “la capacità lavorativa generale del lavoratore”. Criterio questo che comportava un enorme scarto tra il guadagno effettivo del lavoratore e la rendita valutata. Basta pensare che la Cassazione nel 1999 ha ritenuto irrilevanti le mansioni operaie per la valutazione del danno funzionale per la perdita di falangi con impossibilità di chiusura a pugno, di presa o stretta. Così veniva valutata con la stessa percentuale l’inabilità ad un orecchio sia per il musicista, sia per un operaio. Dopo la riforma, quindi, l’assicurazione copre adesso tutte le voci di danno, valutandole in base alla perdita delle capacità lavorative c.d.”attitudinali”. Ma prima di questa legge, una volta ammesso che anche il danno biologico doveva essere risarcito, oltre a quello patrimoniale, su chi gravava tale onere? Come ha ribadito recentemente la Cassazione (n.4080/2002), il risarcimento del danno biologico competeva, prima della legge, al datore di lavoro. L’esonero di responsabilità di quest’ultimo era limitato, infatti, al solo danno patrimoniale, coperto dall’assicurazione obbligatoria. In conclusione, sinteticamente, per i danni provocati sul posto di lavoro, prima della legge del 2000, il datore di lavoro deve pagare i danni biologici, per tutti i successivi, viceversa, è l’istituto assicurativo che copre tutti i danni. 

 


 

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