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Anno 2 Numero 59 Mercoledì 21.05.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

I trapianti… nel mondo giuridico 

 

di Anna Maria Daniele

 

I trapianti costituiscono interventi chirurgici a scopo terapeutico effettuato al fine di sostituire organi o tessuti danneggiati o mal funzionanti con organi e tessuti sani. Dai trapianti è necessario distinguere i prelievi; questi ultimi consistono nel rimuovere chirurgicamente tessuti o organi in buone condizioni da un organismo. Il trapianto prevede un innesto di un organo di un individuo (donatore) in un altro (ricevente) o, comunque, il trasporto di un tessuto da una regione all’altra dello stesso organismo. Concetti, comunque, strettamente connessi in quanto il prelievo, se non fatto al fine di analizzare il tessuto , costituisce comunque la fase precedente al trapianto. E,difatti, la legge 91 del 1999 (disposizioni in materia di trapianti di organi e tessuti su cadavere) disciplina contestualmente i due istituti. A questa legge se ne aggiungono altre speciali, che consentono di effettuare trapianti anche su esseri viventi. Mi riferisco alla 

- l. 458 del 1967 sul trapianto del rene tra persone viventi 

- l. 301 del 1993 sui prelievi e innesti di cornea 

- l.107 del 1990 sulle attività trasfusionali relative al sangue umano 

- d.p.r. 694 del 1994 regolamento sulla semplificazione dell’autorizzazione dei trapianti 

- l. 483 del 1999 sul trapianto parziale di fegato tra persone viventi 

La disciplina legislativa è speciale appunto perché costituisce una deroga in un sistema in cui gli atti di disposizione del proprio corpo sono considerati vietati. È l’articolo 5 del codice civile che pone una tutela in questo senso. Disciplina, difatti, uno dei diritto fondamentale della persona, vale a dire il diritto all’ integrità fisica dell’individuo : inteso come diritto a non subire alterazioni, e anatomiche , e patologiche del corpo, nella sua totalità di apparati,organi e tessuti. Questo diritto è stato oggetto di tutela in senso molto forte nel periodo fascista, in cui si riteneva assolutamente fuori dalla portata dell’individuo la disposizione del proprio corpo o di una parte dello stesso. Il motivo che determinava questo tipo di scelta risiedeva nella tutela all’integrità della stirpe minacciata da eventuali disposizioni del proprio corpo. Un atteggiamento meno rigido si ha con l’articolo 5 del Codice Civile. Infatti, gli atti di disposizione del corpo non sono in assoluto vietati, ma lo diventano quando questi possano comportare lesioni permanenti alla persona o quando siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Per lesioni permanenti si intendono casi come una modifica definitiva del modo di essere di un individuo,come alterazione della capacità relazionale dello stesso o come impossibilità di ricostruzione anatomica del corpo. Comunque è un concetto che va sviluppato in concreto, caso per caso. La contrarietà al buon costume è quella relativa ai principi dell’ordinamento. Diversamente per la contrarietà all’ordine pubblico, che si rivolge alla morale di una determinata società in un determinato momento storico. Partendo dall’articolo 5, oggi l’orientamento giuridico si sta aprendo ad un concetto meno lato dell’indisponibilità della persona. Il cambiamento di atteggiamento è partito dall’introduzione nel sistema giuridico della Carta Costituzionale. Questa ha posto ulteriori valori della persona che debbono trovare uguale, se non superiore, tutela rispetto all’integrità fisica. Si fa riferimento, a questo proposito, all’articolo 2 della Costituzione, che promuove lo sviluppo della personalità umana, e all’articolo 32 della Costituzione, garante del diritto alla salute. Il trapianto, così come il prelievo, sono strettamente connessi al discorso della disposizione del proprio corpo, potendo nella maggior parte dei casi determinare una lesione permanente (fa eccezione, per esempio, il prelievo del sangue). La legge, a questo proposito, pone alcuni limiti a tale tipo di attività sul proprio corpo: la presenza di un consenso libero e consapevole ( sviluppo della personalità umana) , annesso ad un’esigenza di trattamento terapeutico (diritto alla salute) e, di non minor rilievo, infine, la mancanza di fini di lucro. Per quanto riguarda il consenso, è necessaria, per prestarlo, la sola capacità di intendere e volere (attitudine a rendersi conto del significato delle proprie azioni ed a frenare i propri impulsi all’azione, adottando comportamenti che derivino da scelte autonome). In altre parole, anche i minori e gli incapaci di agire di maggiore età, qualora sia accertata la loro capacità naturale (attitudine psichica a valutare i propri atti), possono prestar il loro consenso. Viceversa, ci sarà l’intervento dei genitori o dei legali rappresentanti. Del consenso, la giurisprudenza è stata molto spesso chiamata a specificarne la portata, soprattutto, nel rapporto di prestazione tra chirurgo e paziente. Il chirurgo, infatti, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili. Tali condizioni sono indispensabili per la validità dell’assenso, che come detto deve essere consapevole. Il consenso non è indispensabile nei casi obbligatori per legge o quando ricorrono gli estremi dello stato di necessità. Particolari problemi sono sorti in relazione all’assenso, che deve essere prestato da un soggetto vivente ad un eventuale trapianto dei propri organi in caso di morte successiva. La produzione legislativa è copiosa. In un primo tempo il legislatore precisava gli organi che potevano essere prelevati. Nel ’77 ampliò il novero di questi, escludendo l’encefalo e le ghiandole della sfera sessuale e procreative. Inoltre, si riteneva escluso un possibile trapianto qualora, in vita, l’interessato ,o prossimi congiunti dopo la morte, si opponeva a questo. Nel 1993 (l.301 ), viceversa, si richiese l’assenso esplicito. Oggi la legge che disciplina comunemente i casi di trapianti e prelievi da cadavere è la citata legge n.91 del 1999, che ha abrogato la l. 301 del 1993. La regolamentazione si articola così come segue. Prima di tutto, la mancata manifestazione di volontà da parte del cittadino equivale ad assenso rispetto alla donazione degli organi sul proprio corpo privo di vita (silenzio – assenso). Il presupposto fondamentale è l’informazione efficace sugli effetti della propria mancata o conseguente manifestazione di volontà. Il silenzio assenso è stato criticato per una serie di ragioni di non poco conto. Prima di tutto è possibile che si leda in modo sostanziale il diritto all’autodeterminazione di ogni singolo, cioè il diritto di poter decidere della propria persona, intesa nella totalità. In secondo luogo, nel nostro sistema il silenzio assenso è consentito alla Pubblica Amministrazione nel caso in cui si richiedono, per tutela del cittadino, rapidità ed efficienza e soprattutto quando questa attività non abbia alcun margine di discrezionalità. Elementi, questi, non presenti nel caso specifico.Basta pensare che, quando bisogna effettuare una scelta come questa, più che di discrezionalità, in realtà siamo in presenza di una vera e propria libertà di determinazione. La legge prosegue garantendo al cittadino,comunque, la possibilità di revocare tale consenso fino alla morte. I familiari possono, infatti, presentare una dichiarazione di revoca dell’interessato nel lasso di tempo in cui si valuta la morte dello stesso e,quindi, le condizioni per il successivo prelievo degli organi . Dell’informazione,inoltre, di cui si parla, sono competenti le Unità Sanitarie Locali. Queste presenteranno (notificheranno) all’interessato la richiesta di prestazione del consenso. Dalla notifica il cittadino avrà 90 gg per manifestare la propria volontà. Se entro tale termine il cittadino non dovesse pronunciarsi, si azionerà il silenzio assenso. Per i minori di età il consenso deve essere prestato da entrambi i genitori esercenti la potestà. Non è consentita la manifestazione di volontà per i nascituri, per i soggetti non aventi la capacità , nonché per i minori affidati o ricoverati presso l’istituto di assistenza privati o pubblici. Si parla,inoltre, di “donazione”; questo stabilendo che non deve esserci corrispettivo di alcun genere, ma il tutto deve essere supportato da spirito di liberalità. Infatti, l’art.19, che consente l’esportazione e l’importazioni di organi e di tessuti, comunque, vieta queste attività verso Stati che ne fanno invece libero commercio. L’articolo 3 vieta il prelievo delle gonadi e dell’encefalo. Inoltre, fa divieto di manipolare geneticamente gli embrioni, anche ai fini del trapianto. Infine, il prelievo deve essere effettuato su un organismo morto, che secondo l’art.1 della l.578/93 si individua con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. L’articolo 6 della legge specifica che il prelievo di organi e tessuti deve essere effettuato solo a scopo terapeutico. Pur avendo, questa legge, provocato non poche polemiche, in realtà, la stessa è stata dettata da esigenze di non poco rilievo. Infatti, nei tempi precedenti alla sua emanazione chi aveva il peso di decidere in ordine alla donazione erano i parenti più stretti. È chiaro che il coinvolgimento emotivo, portato dalla volontà di tenete in vita anche se solo artificialmente il proprio caro o, comunque, determinato dal peso di una decisione relativa alla cessazione (definitiva e non solo celebrale) della vita dello stesso, non facilitava l’obiettività (per quanto sia possibile!) della decisione in questione . Per la qual cosa, lo Stato ha voluto rendere consapevoli, questa volta in vita, gli stessi interessati. Supportati da una informazione efficiente,infatti, possono, per questo, prestare un consenso libero e consapevole. Nel caso in cui gli stessi non si dovessero pronunciare, allora prevarrà l’esigenza solidaristica e il vincolo di assistenza reciproca che dovrebbe unire gli individui tra loro in una società civile (il silenzio assenso). 

Sanzioni (articolo 22 l . 91/99): 

- Chiunque procura per scopo di lucro un organo e/o un tessuto prelevato da un soggetto di cui sia stata accertata la morte, o ne fa comunque commercio è punito con la reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da lire 20 milioni a lire 300 milioni (da convertire in euro). Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione sanitaria , alla condanna consegue l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione. 

- Chiunque procura, senza scopo di lucro, un organo o un tessuto prelevato abusivamente da un soggetto di cui sia stata accertata la morte è punito con la reclusione fino a 2 anni. Se è commesso il fatto da un esercente della professione sanitaria, alla condanna consegue l’interdizione temporanea fino al massimo di 5 anni dall’esercizio della professione 

A queste si aggiungono le sanzioni relativi ad abusi o comportamenti contro legge delle strutture: per i prelievi, per la conservazione dei tessuti prelevati e per i trapianti.

 


 

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