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di
Roberto Bucci
Il Welfare State, inteso come stato sociale di diritto che si prende cura della tutela della salute della popolazione, fa propria l'idea della libertà dal bisogno che Franklin Delano Roosvelt considerava una delle libertà fondamentali, alla stregua della libertà di pensiero e di coscienza, e che comprende - oltre alla libertà dalla malattia - la libertà dalla tirannia, dall'ignoranza, dalla miseria.
Attraverso l'idea dell'assistenza sanitaria sociale passa, quindi, il concetto che la salute e la malattia non sono fatalità naturali ma che la salute è un fine da raggiungere e la malattia una negatività da rimuovere.
Il criterio-guida di carattere etico che ha guidato le scelte sulla allocazione dei fondi necessari al funzionamento dei sistemi sanitari che danno "corpo" organizzativo alla teoria del Welfare State èstato per molti anni quello deontologico della prestazione dovuta in base al bisogno espresso.
Si è però assistito, negli ultimi vent'anni, ad un fenomeno di progressiva degenerazione dell'organizzazione del Welfare State, la cui causa principale è riconosciuta come dovuta al fenomeno dell'esplosione dei costi (la spesa sanitaria che cresce in misura maggiore al crescere del prodotto interno lordo).
Il risultato si è tradotto in una serie di inadempienze del sistema sanitario pubblico così gravi e diffuse da portare alla crisi profonda e strutturale del concetto stesso Sanità Pubblica, ormai sinonimo per la cittadinanza di buona parte d'Italia di
"malasanità" , o quanto meno di grave inefficienza.
Se dunque è ormai impossibile difendere ad oltranza il criterio etico che prevedeva il finanziamento della spesa sanitaria con il criterio del "tutto a tutti", rimane aperto il problema di quale debba essere il nuovo criterio guida etico per determinare la scala delle priorità nel finanziamento delle prestazioni sanitarie.
Il dibattito etico, al riguardo, è molto vivace soprattutto negli Stati Uniti, ed in esso si vedono rappresentate le quattro correnti fondamentali di pensiero bioetico che abbiamo illustrato precedentemente.
La posizione liberal-radicale detta del minimal state che fu in passato in parte quella di Adamo
Smith, è stata riproposta vent'anni fa da Robert Nozick in un testo ben noto: Anarchia, Stato e Utopia.
Secondo Nozick si può considerare "giusto" solo lo Stato che esercitando il monopolio della forza protegga i diritti individuali dei cittadini da ogni violazione; ossia il classico Stato minimo, "guardiano notturno", della tradizione liberale, che deve rigorosamente astenersi da ogni intento ridistributivo.
Secondo tale concezione della giustizia non vi è alcun obbligo giuridico a contribuire al benessere degli altri ma, semmai, un impegno caritatevole ad aiutare coloro che, dice Nozick, "non hanno diritto al nostro aiuto".
In tale impostazione liberale radicale l'organizzazione della medicina e della sanità viene concepita semplicemente come libero mercato retto dalle leggi del libero scambio e non prevede interventi da parte dello Stato.
Il triangolo paziente-medico-società tende ad annullarsi nel binomio paziente-medico, con il medico libero professionista e la negazione dell'intervento dello Stato, considerato illiberale e artificioso.
La concezione personalista, pur non negando l'importanza del rapporto costi-benefici in economia sanitaria, mette in guardia dagli eccessi che abbiamo appena descritto.
In primo luogo negando l'eticità della formulazione "eterologa" del calcolo costi-benefici (costi economici, benefici in termini di salute). Inoltre è ben presente nella prospettiva personalista quello che viene definito come il "primato gerarchico" del valore dell'uomo sull'economia.
Anche nei riguardi dell'impostazione "free market ruled" propria delle correnti liberal-radicali il personalismo è critico, ponendo a garanzia di una effettiva realizzazione degli ideali di solidarietà e di difesa della dignità dell'uomo il principio di sussidiarietà quale cardine dell'organizzazione sociale anche in campo sanitario.
Non altrettanto ben definita, in termini dottrinari, appare la posizione del sociobiologismo nel contesto dei problemi della bioetica pubblica mentre ben più viva appare la sua influenza indiretta nel dibattito sull'allocazione dei fondi, laddove si coglie, in un intreccio di teoria filosofica ed interessi commerciali, la tendenza ad influire sulla destinazione delle risorse incentivando la domanda di prestazioni ad elevato contenuto tecnologico.
La proposta della corrente utilitaristica, invece, in omaggio al principio utilitaristico del "massimo beneficio per il maggior numero di persone" mira ad introdurre lo strumento dell'analisi economica per far sì che, nel rispetto di un tetto di spesa predeterminato, sia possibile estendere quanto più possibile l'assistenza sanitaria pubblica.
Ma se l'apertura all'uso delle tecniche di analisi economica nella gestione della sanità pubblica sono ormai inevitabili, almeno per come si presenta oggi la situazione complessiva della sanità, in Italia e non solo, resta da vedere quale ruolo essa debba giocare e soprattutto quale "peso" è giusto che abbia negli anni a venire in una materia del tutto peculiare come la sanità. In linea di massima si potrebbe comunque definire che l'introduzione dell'approccio economico sistematico in sanità può avere due diversi ordini di possibili conseguenze, le une accettabili, anzi auspicabili, le altre assai preoccupanti.
Da un lato cioè c'è l'introduzione di quella che potremmo definire una "piccola quota" di utilitarismo.
Essa consiste nella correzione dell'impostazione tradizionale deontologica che vuole la prestazione dovuta a chiunque ne abbia bisogno, correzione resa necessaria dal fatto che le spese sanitarie si espandono più di quanto non aumenti il livello del prodotto interno lordo, e resa attuabile dalla possibilità di distinguere tra coloro che possono pagare di tasca propria l'assistenza sanitaria da un certo livello in avanti e coloro che, non avendo mezzi economici, hanno diritto ad una assistenza sanitaria completamente gratuita.
La "piccola quota" di utilitarismo è introdotta attraverso la comparazione tra le considerazioni sul rapporto costi-benefici e quelle sul livello del reddito.
In base al benessere economico dei singoli soggetti, quindi, il criterio deontologico viene temperato in modo da garantire a tutti un livello adeguato ma non massimale di assistenza sanitaria.
C'è però un altro effetto dell'introduzione della analisi economica nell'organizzazione dei sistemi sanitari, in cui è possibile ravvisare un massiccio apporto culturale utilitaristico e le cui conseguenze possono invece essere estremamente inquietanti.
Si potrebbe definire "effetto Oregon" ed è caratterizzato dal fatto che l'impegno dello Stato nell'erogazione della prestazione sanitaria sopravvive, sì, ma con criteri analoghi a quelli proposti, appunto, dallo Stato americano dell'Oregon nel '92.
E' ormai comunemente conosciuto come "caso Oregon" il tentativo esperito dai legislatori dello stato americano tra il 1989 ed il 1992 di ottenere una deroga allo statuto del sistema federale di assistenza sanitaria Medicaid, che eroga prestazioni a fasce di popolazione selezionate principalmente in base alle fasce di reddito.
La proposta oregoniana consisteva nel sostituire al criterio tradizionale "erogare tutte le prestazioni ma solo ad una parte della popolazione", il nuovo criterio "erogare solo le prestazioni più importanti ma a tutta la popolazione", intendendo, ovviamente, per "popolazione" gli appartenenti alle fasce economicamente più disagiate.
L'Oregon nel 1987 aveva 200.000 abitanti (l'8% della popolazione) coperto da una formula assistenziale sanitaria chiamata MEDICAID (vero e proprio sistema di assistenza sanitaria per le fasce più povere della popolazione) a finanziamento parzialmente parzialmente statale e parzialmente federale che eroga prestazioni a gruppi di popolazione ben individuata e selezionata sulla base prevalentemente di indicatori di reddito ed in parte per l'appartenenza a gruppi specifici.
Ad esso si affiancano altri due sistemi di finanziamento della spesa sanitaria.
Uno è rappresentato dall'intervento delle compagnie di assicurazione private i cui premi vengono pagati principalmente dai datori di lavoro o dai singoli individui (laddove i rischi professionali sono molto elevati e vanno al di là delle condizioni offerte dalle singole compagnie, parte dell'onere economico è sostenuto dagli stati).
Il terzo sistema, detto MEDICARE, a finanziamento anch'esso in parte statale ed in parte federale, interviene in caso di disabilità.
L'accesso al MEDICAID non è, in realtà, così semplice per le fasce meno abbienti della popolazione, pur essendo questo, come abbiamo visto, il sistema realizzato per questi settori di popolazione. Infatti il criterio delle fasce di reddito non è l'unico ad essere preso in considerazione.
In linea di massima al MEDICAID dovrebbero accedere i cittadini al di sotto della soglia di povertà ed in USA il governo federale effettua al riguardo una stima (LIVELLO FEDERALE DI POVERTA') che, ad esempio, per il 1992 era di 11.500 dollari per una famiglia di 3 persone.
I singoli stati possono regolare l'accesso al sistema MEDICAID servendosi "in toto" di questa indicazione (cosa che di norma accade per gli stati più ricchi) o possono "ritoccare", anche pesantemente queste indicazioni.
Nell'Oregon del '92 si accedeva a Medicaid con il 50% della soglia federale di povertà (circa 6000 $ annui per una famiglia di tre persone).
L'appartenenza, però, ad alcuni gruppi consentiva deroghe (le donne in stato interessante con un figlio di meno di 6 anni potevano ad esempio essere assistite anche con il 133% del livello di povertà del singolo stato, mentre altre agevolazioni erano previste per le minorenni gravide etc.).
Il risultato complessivo di quest'intreccio di norme e criteri era nel 1987, a fronte di un 8% di popolazione coperto da Medicaid, c'era il 18% della popolazione residente (450000 persone circa) che non godeva di alcuna forma di assistenza, e tra queste 120000 erano sotto il livello federale di povertà.
Una famiglia di 4 persone con un reddito di 550 $ netti al mese e che non avesse un accesso "professionale" all'assicurazione sanitaria, non avendo diritto al Medicaid ed essendo il costo di una copertura assicurativa privata mediamente di circa 210 $ al mese, rimaneva fuori da qualunque tipo di assistenza sanitaria, e questa era la situazione di circa il 30% della popolazione povera dell'Oregon.
Quel 60% di popolazione povera che godeva del Medicaid era in compenso assistita in modo estremamente ampio (erano comprese ad esempio l'assistenza domiciliare, l'assistenza al malato terminale, e persino la chiroterapia ed altre prestazioni di non stretta necessità).
Nel 1987 questa situazione già di per sé difficile subisce un ulteriore aggravamento per il delinearsi di un fabbisogno di spesa sanitaria di 48 milioni di dollari a fronte di una disponibilità di 21.
Il senato oregoniano si trova di fronte ad un bivio: non finanziare più i trapianti costosi (midollo osseo, cuore, fegato, pancreas) a 34 persone in un anno o impedire l'accesso a Medicaid a circa 500 persone che ne erano in precedenza escluse.
I costi erano infatti sovrapponibili per entrambi i tipi di intervento.
Lo stato decide di non finanziare i 34 trapianti.
C'è da dire che, "convalescente" dalla recessione dei primi anni '80, l'Oregon era uno dei pochi stati in cui erano stati approvati limiti alle spese statali, comprese quelle sanitarie.
Alcune considerazioni sui trapianti ebbero presa sull'opinione pubblica come sui politici (19 trapiantati fra il 1985 ed il 1987, costo 1 milione di dollari, 9 pazienti sopravvissuti a metà del 1988, 24.000 dollari annui per le cure di mantenimento per ogni trapiantato etc.)
D'altronde lo statuto del Medicaid imponeva lo stesso trattamento per pazienti in analoghe condizioni di salute, con ciò rendendo impossibile la "selezione" dei pazienti da sottoporre a trapianto e/o all'assistenza successiva.
Il risultato fu che il 1 giugno 1987, a porte chiuse e dopo breve dibattito, il Joint Ways and Means Commitee fornirono parere favorevole e nello stesso tempo le due Camere (Oregon House e Senato) con larga maggioranza (rispettivamente 45 a 7 e 19 a 3) approvavano un nuovo budget che non copriva più alcun trapianto costoso (con l'esclusione di rene e cornea) e consentiva l'ingresso di bambini e donne gravide a basso reddito nel sistema Medicaid.
IL Governatore Neil Goldschmidt che firmò il decreto così commentò il provvedimento: "Noi tutti odiamo quello che stiamo facendo, ma non possiamo uscire in nessun altro modo da questo problema. Come potremmo mai spendere un nichel in favore di pochi quando migliaia di persone non vedono mai un medico o non consumano mai un pasto decente nel corso della loro vita?".
Ma ecco che dopo pochi mesi esplode il caso di Cobby Howard, 7 anni, affetto da leucemia linfatica acuta, privato, in conseguenza di quanto stabilito pochi mesi prima, della copertura economica pubblica per il trapianto del midollo.
La famiglia apre una sottoscrizione pubblica ma il bambino muore quando erano stati raggiunti 20000 dei 100000 dollari necessari per il trapianto.
Questo caso focalizza drammaticamente l'attenzione della collettività sul problema delle modalità di razionamento dei servizi sanitari e, anche sull'onda dell'emozione, si inizia a lavorare per rendere più eque, trasparenti e verificabili tali modalità.
Il frutto di tale lavoro fu, nel 1989, l'emanazione di una legge sulla assistenza sanitaria di base (Oregon Basic Health Services Act) in base alla quale fu creata una apposita commissione (OHSC ovvero Oregon Health Services Commission) incaricata di redigere una lista di servizi sanitari in ordine di priorità dal più importante al meno importante allo scopo di assicurare l'estensione del Medicaid al 100% di tutti gli Oregoniani che versano in stato di povertà attraverso la copertura dei soli servizi giudicati di sufficiente importanza o priorità.
Proprio per definire tale ordine di priorità la commissione in un primo momento ricorse all'uso delle tecniche costo-efficacia.
Come è noto queste tecniche sono basate sul principio utilitaristico "il massimo bene per il maggior numero di persone" e tendono a conferire minore importanza agli effetti avversiche una determinata scelta può avere sui singoli individui.
Alla luce dei principi costo-benefici, infatti, la priorità di una prestazione sanitaria non dipende solo dai risultati attesi del trattamento (prolungamento della vita, riduzione del dolore etc.) ma anche dal costo della prestazione e dal numero di pazienti che possono trarre beneficio da essa.
Pertanto trattamenti anche molto benefici non possono essere considerati "importanti" se il loro costo è alto o se ne traggono beneficio solo poche persone.
L'OHSC elaborò così una analisi costo-efficacia su oltre 1600 prestazioni sanitarie e, prevedibilmente, la bozza di lista delle priorità così ottenuta classificò come "più importanti" le prestazioni di larga fruizione come, ad esempio, le visite ambulatoriali di pazienti non ospedalizzati.
Le prime 94 prestazioni in questa graduatoria erano rappresentate in massima parte da interventi diagnostico-terapeutici per sitazioni morbose davvero poco rilevanti (e spesso autolimitantisi) come il dolore al fondo schiena o addirittura il succhiamento del pollice.
Per contro alcuni interventi chirurgici salva-vita, come le appendicectomie, erano classificate relativamente in basso in virtù dei loro elevati costi associati.
Questo ordine di priorità "controintuitivo" suscitò reazioni assai critiche che indussero l'OHSC ad abbandonare l'analisi costo-efficacia per l'elaborazione della lista finale di priorità.
Fu così sviluppata una lista di 17 "categorie" di intervento sanitario comprendenti sia un tipo specifico di servizio (per esempio "assistenza alla maternità") che un generico "tipo" di intervento, designato in base ai risultati attesi degli interventi (per esempio "trattamento di malattie che minacciano la vita laddove il trattamento ristabilisce una normale attesa di vita ed il ritorno alle precedenti condizioni di salute").
Il passo successivo consistette nel classificare queste 17 categorie in ordine di importanza utilizzando tre criteri soggettivi: 1) importanza per l'individuo; 2) importanza per la società; 3) se la categoria sembra "necessaria".
Ciascuna coppia patologia-trattamento venne poi inserita nella categoria più adatta in base al giudizio dei commissari, e nell'ambito di ciascuna categoria le coppie stesse furono classificate secondo il grado di beneficio atteso dal trattamento.
Infine l'OHSC rimaneggiava la lista così ottenuta modificando le "posizioni in classifica" evidentemente illogiche attraverso, ad esempio, lo spostamento verso l'alto di alcuni servizi indiscutibilmente importanti che la metodologia aveva ingiustamente penalizzato. Ebbene, in tutto questo procedimento il ruolo giocato dalle valutazioni della qualità della vita e dalle loro misurazioni può essere senz'altro definito critico.
Si può anzi dire che la stima di quanto i trattamenti presi in considerazione influenzino la qualità della vita sia stato di gran lunga il singolo fattore più importante nella determinazione dell'ordine di priorità di quella lista.
Per la maggior parte delle categorie di servizi, infatti, il principale metodo di priorizzazione fu esplicitamente definito in termini di qualità della vita o, per usare un termine che fu adoperato come un equivalente, di "stato di benessere".
Inoltre, nell'ambito delle categorie stesse, l'ordine "intra-categoria" fu stabilito in rapporto al beneficio netto proveniente dal trattamento che, come vedremo, era una esplicita stima numerica dell'impatto del trattamento sulla qualità della vita.
Il metodo adottato dall'OHSC per la misurazione della qualità della vita era basato su una serie di descrizioni di stati di scarsa salute o di peggiorata qualità della vita elaborata da Kaplan e Bush.
I quadri descritti comprendevano sintomi fisici ed emozionali e diversi gradi di limitazioni di mobilità, attività fisica e vita sociale.
Sulla base della consultazione telefonica di un campione randomizzato di 1000 Oregoniani l'OHSC attribuì a ciascuno degli stati di peggioramento del benessere previsti da Kaplan e Bush morbosa un valore di compromissione percentuale della qualità della vita, considerando un ipotetico 100% come la condizione di pieno benessere cui fare riferimento.
Ad esempio una "moderata limitazione dell'attività fisica" è stata stimata compromettere la qualità della vita del 37% circa.
La fig.1 mostra alcuni degli stati di qualità della vita usati dall'OHSC con i loro valori di decremento associati.
In tal modo, prefigurando le condizioni in cui si sarebbero presumibilmente venuti a trovare i pazienti CON E SENZA TRATTAMENTO dopo 5 anni, attribuendo ad esse il correlato coefficiente di "peggioramento" della qualità della vita e di vita era possibile ottenere una stima numerica del BENEFICIO
NETTO in qualità della vita ottenuto grazie all'istituzione del trattamento (5 anni era una finestra di tempo ritenuta come una ragionevole pietra di paragone rispetto alla quale standardizzare i benefici attesi dai differenti trattamenti).
La fig. 2 illustra un esempio di questo procedimento.
In questo caso il trattamento valutato è rappresentato dalla neurochirurgia per emorragia cerebrale.
In definitiva emergeva che anche se il trattamento non eliminava completamente né il rischio di morte né quello di sequele invalidanti, esso produceva un miglioramento tale nella qualità di vita attesa, da consentirgli di godere di una alto piazzamento nella graduatoria delle priorità (86 posto).
L'ultima tappa del processo oregoniano di priorizzazione dei servizi era infatti rappresentata da una sorta di "rimaneggiamento" finale, realizzato da una commissione di esperti e mirato a sottoporre la graduatoria ottenuta in precedenza al vaglio di una sorta di "test di ragionevolezza".
I criteri che informavano tale intervento finale erano costituiti dalle considerazioni inerenti 6 aspetti importanti delle prestazioni fornite:
- l'impatto sulla sanità pubblica
- il costo
- l'incidenza della condizione
- l'efficacia del trattamento
- il costo riconducibile alla non istituzione del trattamento
- i costi sociali.
Eventuali grossolane incongruenze che fossero emerse dall'ordine di priorità ottenuto in precedenza avrebbero così potuto essere "corrette" in questa ultima fase.
Si era così giunti alla fine dell'itinerario metodologico.
Le 17 categorie di situazioni morbose erano state ordinate per
"importanza", ed altrettanto era accaduto, con l'ausilio delle valutazioni sulla qualità della vita, per le coppie patologia- trattamento incluse all'interno di ogni categoria.
Si poteva, in definitiva, porre in ordine di priorità tutte e 709 le prestazioni sanitarie che costituivano il "ventaglio" dell'offerta sanitaria pubblica dell'Oregon, riportando per ciascuna il relativo costo e ponendo una linea a limitare, una volta raggiunto il "tetto" previsto per la spesa sanitaria statale, le prestazioni che "rientravano" nel budget e quelle che ne sarebbero rimaste escluse.
Le prime potevano essere erogate nel quadro del sistema Medicaid considerevolmente esteso nel numero degli aventi diritto.
Le seconde erano escluse dal finanziamento.
Il giudizio federale sulla proposta oregoniana sarà negativo.
Il 3 Agosto del 1992 il Department of Health and Human Services oppone un diniego alla richiesta dell'Oregon di una deroga allo statuto del sistema assistenziale Medicaid che consentisse l'approvazione del piano sanitario statale, nei termini innovativi e sperimentali che abbiamo illustrato (e che è riassunto nella tavola). Alla base del rifiuto, che stupirà "fino allo stordimento" (Mentzel) gli esperti statunitensi, motivi di affidabilità metodologica ma anche, e soprattutto, di accettabilità etica.
La lettera di rifiuto, firmata il 3 agosto del 1992 da Louis Sullivan, Segretario del Dipartimento per i Servizi Sanitari e Umanitari, raccoglieva solo un aspetto della molteplicità di osservazioni critiche che, accanto peraltro a giudizi favorevoli espressi da autorevoli esponenti della della tendenza bioetica detta "utilitaristica", si erano levate contro la proposta dell'Oregon sin dal momento della sua definitiva formalizzazione.
Il Dipartimento federale faceva osservare che "alcuni aspetti della priorizzazione delle prestazioni sanitarie sembravano contenere pregiudizi a danno dei disabili" ed erano quindi incompatibili con un altra legge federale americana, l'ADA (American with Disability Act), che tutela i diritti dei disabili.
Secondo il segretario Sullivan, addirittura, l'intera lista di priorizzazione di 709 coppie "condizione morbosa-trattamento" era "basata, in parte sostanziale, sulla premessa che il valore della vita di una persona affetta da una disabilità è minore del valore della vita di una persona priva di disabilità".
Al riguardo venivano citati due passaggi del processo di priorizzazione, la ricognizione telefonica e l'"aggiustamento a finale a mano" effettuato dai membri della commissione.
In primo luogo il Dipartimento federale esprimeva un giudizio negativo riguardo al fatto che i dati sulla qualità della vita ottenuti dalla ricognizione "quantificano assunti stereotipici circa le persone disabili" attraverso l'attribuzione di un peso notevole alle risposte di persone che non avevano avuto sino a quel momento alcuna esperienza diretta e personale di tali condizioni, ed aggiungeva che "coloro i quali hanno vissuto il problema (della disabilità n.d.r.)non lo hanno percepito con la stessa severità di coloro che tale condizione non hanno sperimentato".
Una definizione sintetica ed efficace di questo problema viene da Paul Mentzel (che pure è da annoverare tra i "difensori" del piano-Oregon, del quale ammette le storture e gli aspetti di non equità, ma che considera come dovuti ad imperfezione "tecnica", e quindi risolvibili o comunque perfezionabili).
Dice Mentzel al riguardo: "se la gente cui la graduatoria del benessere attribuisce una bassa qualità di vita non condivide quel giudizio, c'è sicuramente qualcosa di sbagliato nell'assunto che ciò che è stato classificato è la "reale qualità della vita della gente".
E continua: "Le graduatorie di benessere sono pericolose quando rappresentano un giudizio di alcuni sulla qualità della vita di altre persone, specialmente quando sulle condizioni di vita di quelle persone essi sanno ben poco... Questo problema diventa nevralgico quando dalla graduatoria di qualità della vita dipendono i criteri di razionamento di scarsi servizi tra individui alcuni dei quali, per quelle modalità di razionamento, si troveranno a dover subire svantaggi irrimediabili".
Un altro aspetto del problema riguarda il giudizio di qualità della vita sulle patologie congenite che hanno, di norma, insorgenza precoce.
Appare evidente come, in questo caso, tanto i commissari che i cittadini interpellati telefonicamente che non soffrono di tali patologie, devono occuparsi di una malattia che non dovranno mai avere in futuro.
Essi quindi sono chiamati a compiere scelte, che poi daranno luogo a razionamenti delle cure, non in una condizione imparziale di rischio e di non conoscenza della propria futura eventuale condizione di ammalati per quella patologia, ma già sapendo che gli effetti delle risultanti allocazioni di fondi non avranno mai su di loro alcun effetto individuale (e molte di tali condizioni di lunga durata e ad insorgenza precoce sono proprio i casi tipici che l'ADA intende proteggere).
Appare evidente quindi come la scala di punteggi che misurano la qualità della vita dovrebbe riflettere i giudizi espressi da persone che valutano condizioni sperimentate o, almeno, sperimentabili potenzialmente.
In ogni caso Mentzel suggerisce di accertarsi che "coloro che esplicitano le preferenze siano da un lato ragionevolmente informati circa le condizioni sulle quali vengono interrogati, e dall'altra comprendano l'importanza estrema delle loro risposte, dalle quali, anche, dipenderà una allocazione di risorse che potrebbe mettere altri (o loro stessi) in grave disagio".
Il metodo elaborato e posto in essere dalla commissione oregoniana comprendeva, inoltre, un intervento finale dei commissari che dovevano effettuare una sorta di revisione della graduatoria di priorizzazione ottenute sino a quel momento attraverso il vaglio di una griglia di "considerazioni di ragionevolezza" comprendenti, come abbiamo visto, gli aspetti dell'impatto sulla salute pubblica della condizione morbosa, del costo del trattamento medico, dell'incidenza della patologia, dell'efficacia del trattamento, dei costi sociali e dei costi del non trattamento.
Ebbene, la commissione oregoniana giudicava "non ragionevole, logicamente ed economicamente" che risultassero in graduatoria, in posizioni relativamente basse, condizioni prevenibili o facilmente trattabili.
In altre parole, laddove condizioni severe o esacerbate erano collocate in classifica in una posizione relativamente favorevole rispetto alla prevenzione della malattia, della disabilità o della esacerbazione, queste posizioni venivano invertite.
Il Dipartimento federale dissentiva da questa impostazione sottolineando quella che appariva come una sottostima delle "condizioni severe o esacerbate", espressione che, veniva notato, era quasi "l' esatta definizione di una disabilità".
Inoltre il rimaneggiamento finale comprendeva, come sappiamo, il criterio dell'incidenza della malattia e, come osserva Mentzel, "perchè mai dovremmo preoccuparci anche minimamente del fatto che una condizione sia comune e rara al fine di operare una priorizzazione dei servizi? Se una condizione è rara ma non costa di più per ogni singolo caso da trattare, rispetto ad una condizione comune, e produce un identico beneficio per caso trattato, che senso ha (anche in un'ottica puramente economica) abbassarne il posto nella graduatoria di priorizzazione solo per la relativa scarsità di incidenza? "
Mentzel chiarisce il concetto con un esempio:
"Perchè dovremmo preferire il trattamento 1 per la condizione A, che costa 10 dollari per ciascuna delle 100 persone cui deve essere somministrato, rispetto ai trattamenti dal 2 all' 11, corrispondenti alle condizioni da B a K, ciascuna delle quali costa ugualmente 10 dollari ma ciascuna delle quali interessa solo 10 persone? In entrambi casi avremmo ottenuto lo stesso beneficio per 100 persone spendendo 1000 $".
Preferire la malattia comune, osserva Mentzel, "è sicuramente un preconcetto contro i piccoli gruppi ed i loro problemi", sempre che non intervengano altri fattori come il pericolo di contagio per le più comuni infezioni.
Fin qui le critiche federali possono essere valutate anche in chiave "tecnica", come infatti dimostra Mentzel, e cioè come rilievi a distorsioni metodologiche che comportano effetti di non equità e quindi di non eticità, ma che tutto sommato sono risolvibili sempre nell'ambito di un perfezionamento "tecnico" dello strumento metodologico.
Le successive critiche federali, però, sottolineano in modo evidente gli aspetti discriminativi che sono "strutturalmente" impliciti in qualunque approccio al problema della allocazione dei fondi per l'erogazione di prestazioni sanitarie che faccia uso di criteri basati sulla misurazione della qualità della vita per la elaborazione di liste di priorità delle prestazioni stesse.
Il metodo oregoniano, basato sulla priorizzazione delle prestazioni sanitarie in modo che risultino più "importanti", e quindi "degne" di finanziamento le prestazioni che producono maggiori risultati in termini di attesa di vita rapportata alla qualità della vita guadagnata, è destinato a penalizzare pesantemente ed ingiustamente alcune categorie di persone.
Basti pensare agli anziani, per i quali in ogni caso qualunque trattamento sortirà l'effetto di una attesa di vita limitata e di qualità prevedibilmente peggiore rispetto a quella dei giovani.
L'esclusione dall'assistenza sanitaria a finanziamento pubblico sarebbe pressochè inevitabile per molte delle patologie dell'anziano, in un sistema sanitario basato su premesse di tipo oregoniano.
Nella fattispecie, comunque, il Dipartimento ha individuato due coppie condizione-trattamento che evidenziano il problema della discriminazione a danno di gruppi specifici, in contrasto con l'ADA.
1) Il trapianto di fegato per i pazienti con cirrosi alcolica era escluso in quanto classificato al 690 posto, mentre lo stesso trattamento per "cirrosi epatica o biliare senza menzione di alcool" risultava finanziabile (367 posto).
Il Dipartimento ha osservato che la differente graduatoria dei due trattamenti di trapianto epatico sembrava essere interamente dovuto ad una condizione di disabilità (alcolismo) del ricevente, poichè individui con la stessa esigenza terapeutica ma senza quella condizione potevano essere sottoposti al trattamento.
2) I trattamenti intensivi per i bambini a basso peso alla nascita (meno di 500 g. e meno di 23 settimane di gestazione) erano al penultimo posto della lista mentre gli stessi supporti salva-vita per bambini di almeno 500 g. risultavano ottimamente piazzati (22 posto).
In entrambi i casi la diversa valutazione dell'efficacia del trattamento era alla base della diversa "posizione in classifica"e quindi del riconoscimento o della negazione del diritto alla prestazione.
Il metodo Oregon, in definitiva, finisce con il privilegiare, tra i criteri-guida per la priorizzazione del finanziamento pubblico sanitario, soprattutto quello della produttività dei pazienti, in base al quale per il bene della società è opportuno che, a fronte di risorse disponibili in modo limitato, tali risorse siano investite in modo da determinare il massimo guadagno possibile non già in termini di vite salvate, ma in termini di "vite produttive" salvate.
Per questo, nell'ottica utilitaristica, che è poi quella che ha informato la proposta dell'Oregon, sono più importanti per la società (e quindi hanno diritto di precedenza ai fondi per la salute) gli individui ancora in grado, dopo il trattamento, di avere una vita prolungata e di buona qualità (ed è fondamentale, dunque, il ricorso a sistemi di valutazione e misurazione, come abbiamo visto, della qualità della vita).
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