Anno 2 Numero 69 suppl.

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

AMNESTY INTERNATIONAL: NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO SERVE ANCORA UN EFFICACE INTERVENTO INTERNAZIONALE PER SCONGIURARE GLI ABUSI DEI DIRITTI UMANI

www.amnesty.org

Roma, 1° agosto 2003 - Alla vigilia del 2 agosto, anniversario dell’inizio del conflitto scoppiato nel 1998, mentre l’attenzione internazionale si concentra sull’insediamento del nuovo governo di transizione e sulla presunta fine della guerra, le atrocità nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) proseguono. Lo afferma Amnesty International, al termine di una missione di tre settimane nel paese, ribadendo la sempre urgente necessità di un efficace intervento internazionale.

“Molti congolesi hanno un disperato bisogno di pace, che consenta loro di tornare nel paese e iniziare a ricomporre i pezzi delle proprie vite andate in frantumi negli ultimi cinque anni” – ha dichiarato Daniele Scaglione, coordinatore Africa centrale di Amnesty International Italia. “Ma poiché i massacri, le mutilazioni e gli stupri proseguono nelle regioni dell’Ituri e del Kivu, è difficile in questo momento per loro credere in una vera pace”.

A Bunia, capoluogo dell’Ituri, circa 20.000 persone vivono in campi di fortuna sotto protezione militare internazionale. Molti di questi profughi interni sono fuggiti dalla violenza interetnica che ha decimato la popolazione della regione negli ultimi mesi.

Tale violenza è il risultato di una lotta di potere tra le fazioni armate della regione. I loro capi, senza alcun rimorso, hanno strumentalizzato le tensioni tra i due principali gruppi etnici, gli hema e i lendu, per perseguire i propri interessi economici e politici. È una guerra in cui i civili non sono vittime sfortunate di “danni collaterali” bensì un bersaglio costantemente ricercato. Il principale intento delle fazioni combattenti è quello dello sterminio sistematico della popolazione, sulla base dell’identità etnica. 

“L’odio reciproco tra i gruppi etnici dell’Ituri, alimentato dai capi politici e delle milizie armate, è così profondo che ci vorranno anni per porre termine alle tensioni” – ha commentato Scaglione. “Per questo è essenziale che la comunità internazionale sia presente in forze, tanto per favorire la riconciliazione quanto, se necessario, per affrontare direttamente le milizie se queste dovessero continuare a uccidere”.

Nel frattempo, la popolazione civile di Bunia continua a vivere temendo le atrocità che potrebbero scatenarsi qualora la forza multinazionale a guida francese dovesse ritirarsi, come previsto, il 1° settembre, senza essere sostituita da una forza consistente e determinata ad intervenire militarmente per salvare le vite umane. Il 28 luglio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 1493, che estende il mandato della Monuc (la Missione Onu in Congo) fino al 30 luglio 2004 e la autorizza, sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, a ricorrere a tutte le misure necessarie per proteggere la vita della popolazione civile.
“Se il sangue dei civili indifesi di Bumia scorrerà ancora una volta a settembre come accadde a maggio, i colpevoli principali saranno i capi delle milizie e le loro bande armate, bambini-soldato compresi, assoldate per eseguire i programmi di odio e pulizia etnica” – ha ammonito Scaglione. “Ma se resterà a guardare e consentirà che tutto questo accada di nuovo, allora anche la Monuc, come incarnazione della volontà della comunità internazionale, sarà moralmente colpevole di non aver salvato vite umane. Non è ancora giunto il momento per la Monuc di ‘osservare’: grazie al suo mandato, recentemente rafforzato, è tempo invece che essa agisca, e agisca efficacemente, per impedire ulteriori innumerevoli morti senza senso”.

Amnesty International ha apprezza, in linea di principio, l’adozione della Risoluzione 1493 del Consiglio di Sicurezza che ha rafforzato il mandato della Monuc. Tuttavia, il successo della sua presenza nella regione di Ituri dipenderà in larga parte dalla sua capacità e dalla volontà politica di sconfiggere militarmente le milizie armate e dalla sua abilità di costruire buone relazioni con la popolazione locale. Il successo dipenderà anche dalla cooperazione dei principali protagonisti del conflitto armato. Amnesty International ha formulato a tale riguardo le seguenti raccomandazioni urgenti:

- la Monuc dovrà attuare in pieno il suo nuovo e più ampio mandato, basato sul Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, e intervenire con decisione per proteggere le vite umane;
- la Monuc dovrà essere dotata del personale militare, dell’equipaggiamento e dell’addestramento necessari a svolgere il proprio mandato;
- la Monuc dovrà essere presente in tutti i distretti di Bumia e, progressivamente, in tutto il territorio della regione dell’Ituri;
- la Monuc dovrà avere al proprio interno un adeguato numero di funzionari di collegamento e di assistenza umanitaria di lingua francese, per facilitare le comunicazioni con le comunità locali;
- i governi di Uganda e Ruanda e quello di transizione della Rdc dovranno interrompere ogni appoggio politico e militare ai gruppi armati che operano all’interno del paese e che si sono resi tutti responsabili di gravi abusi dei diritti umani.

Amnesty International ha apprezzato inoltre la decisione del Procuratore della Corte penale internazionale di raccogliere informazioni preliminari sui crimini rientranti nella giurisdizione della corte, commessi nell’Ituri dal luglio 2002. Amnesty International auspica che ciò favorisca inchieste e incriminazioni da parte della stessa Corte. Tutte le parti coinvolte nel conflitto della zona orientale della Rdc dovranno fornire la massima cooperazione per assicurare alla giustizia i responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Questi crimini comprendono i deliberati attacchi contro i civili sulla base della loro appartenenza etnica, l’incitamento all’odio etnico e l’uso dei bambini soldato al di sotto dei 15 anni di età.

Infine, Amnesty International chiede che sia istituito un adeguato meccanismo giudiziario per indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse prima del luglio 2002, con l’obiettivo anche in questo caso di assicurare i responsabili alla giustizia.


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