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THE ATOMIC CORPORATION
di Roger Camrass e Martin Farncombe
Postfazione di Roberto Panzarani
(Fazi Editore – 2002)
Manifesto radicale del futuro delle organizzazioni, in The Atomic Corporation Roger Camrass e Martin Farncombe prendono in esame i sostanziali cambiamenti che spezzeranno l’economia globale nel prossimo decennio. Le attuali società sovradimensionate, rivolte all’interno e spesso non in grado di dare risposte adeguate, evolveranno in unità di affari molto più piccole, ovvero “atomi”, con organici più vicini alle cento persone che alle centomila.
Svincolate dalle costrizioni di dimensione, saranno in grado di adattarsi alle sempre mutevoli circostanze e alla domanda di consumatori ben più esigenti.
In questo nuovo scenario, tutte le operazioni non fondamentali saranno devolute a network esterni, mentre il valore verrà corrisposto al consumatore non attraverso la società bensì attraverso una complessa rete di connessioni business-to- business in continuo mutamento, quella che gli autori chiamano “molecola”.
Guardando in tutti i settori di business, inclusi i servizi agli sportelli di banca, i servizi finanziari, le telecomunicazioni, IT e le consulenze, le società carbon-based (le compagnie di gas e di petrolio) e le compagnie di consumo dei prodotti, Camrass e Farncombe scoprono alcune autentiche rivelazioni, inclusa la certezza di quanto più efficienti diventeranno queste industrie se affronteranno una ristrutturazione dal punto di vista organizzativo.
Le implicazioni per i singoli saranno ugualmente profonde e durature.
Potrà anche passare un decennio, ma accadrà in ogni caso, e niente sarà più come prima. Benvenuti “nell’Atomic Corporation”.
Postfazione di Roberto Panzarani al libro di R. Camrass e M. Farncombe
Come sostengono Janet Fulk e Peter Monge le nuove esigenze aziendali di flessibilità, globalizzazione e personalizzazione dei prodotti hanno trovato nelle Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) un eccellente alleato.
Oggi una parte importante del lavoro è gia svolta da reti globali formate da team virtuali che si avvalgono delle nuove tecnologie.
Questi team sono quasi sempre temporanei, dispersi geograficamente, eterogenei dal punto di vista etnico e culturale.
Conseguentemente chi fa parte di questi team deve imparare ad acquisire le informazioni rilevanti per il lavoro, valutarle, combinarle con altre informazioni e utilizzarle per migliorare non solo il prodotto ma anche il processo di produzione.
E’ necessario, innanzitutto, saper gestire due proprietà fondamentali della comunicazione: la connettività (connectivity) e il “mettere in comune” (communality), dove la connettività è l’abilità di contattare gli altri membri della rete per scambiare informazioni e conoscenze, mentre il “mettere in comune” è l’abilità di acquisire e condividere con gli altri, informazioni che sono allocate in siti, server e archivi elettronici in diversi punti della rete.
Un lavoro così volatile basato sulla cooperazione implica ovviamente un elevato livello di fiducia.
Nelle organizzazioni tradizionali la fiducia è il risultato di un processo lungo e faticoso di “costruzione” delle relazioni interpersonali.
Questa condizione non è facilmente replicabile nelle organizzazioni globali di tipo reticolare, dove spesso gli stessi partecipanti dei team non si conoscono di persona.
La fiducia è la combinazione di componenti cognitive, affettive e comportamentali. Quando le persone non hanno tempo e spazio sufficienti per sviluppare la “fiducia affettiva”, la loro attenzione si concentra sulle altre due componenti.
Sta così emergendo un nuovo concetto di fiducia, chiamato da alcuni “fiducia a presa rapida” (swift trust).
Questo genere di fiducia si basa sulle competenze di ogni membro del gruppo e sulla consapevolezza che ognuno deve contribuire al massimo livello per conseguire con successo la missione del gruppo stesso.
Invece di cercare di costruire da zero relazioni di fiducia ogni persona deve quindi importare all’interno del team “buoni motivi di fiducia”.
Per esempio la rilevanza, ai fini del progetto del gruppo, della propria expertise personale; oppure una reputazione consolidata di lavoro in altri team virtuali; o infine, un impegno eccezionale dimostrato in precedenti lavori collettivi.
Visto che il lavoro in Rete si fa con le tecnologie della comunicazione, è evidente che la fiducia nei colleghi del team è anche legata alla loro capacità di utilizzare la tecnologia.
Ovviamente non si tratta solo di conoscere come far funzionare la videoconferenza quanto piuttosto di saper identificare e acquisire rapidamente le informazioni necessarie al team, saperle trasmettere ai colleghi in un formato facilmente utilizzabile e combinabile con i loro semilavorati, saper contribuire alla realizzazione di un prodotto unitario che massimizzi i contribuiti di ciascuno.
In The Atomic corporation Camrass e Farncombe si soffermano più volte sul termine fiducia, ed è interessante a tale proposito la loro descrizione del “Marchio” ritenuto come una stretta di mano da parte dell’azienda col cliente.
Ora, rispetto alla New Economy quello che è avvenuto in questi ultimi due anni ed in particolare nell’ultimo periodo è stata proprio una grande crisi di fiducia che ha raggiunto il culmine con gli scandali americani di Enron, Worldcom e tutti gli altri.
Il 14 Gennaio 2000, l’agenzia Associated Press emette un dispaccio così intitolato:
“I negozi on line continuano a perdere soldi e cominciano a perdere i favori di Wall Street”. E aggiunge: “Wall Street sta mandando un forte messaggio agli e-retalier: mostrateci i soldi! ”.
E’ il segno, allora da molti non raccolto, che il vento della New Economy sta girando e che la breve stagione del denaro facile e degli arricchimenti rapidissimi sta per volgere al termine.
A marzo l’indice Nasdaq 100 tocca il suo massimo di 4704, ma subito dopo, all’improvviso, cominciano i primi crolli, cui fanno seguito nel resto dell’anno una catena di fallimenti; di contorno compaiono tutti i classici rimedi della Old Economy: licenziamenti, ridimensionamenti, riduzione delle spese superflue.
Dunque la bolla si è gonfiata e per alcuni, addirittura, questo significa che la New Economy é già finita, rilevando tutto il suo carattere effimero e fasullo.
E’ il trionfo de “Io l’avevo detto!” e di chi lo esclama a destra e a sinistra senza nascondere una certa soddisfazione.
Si percepiscono anche toni moralistici, che contrappongono la sana economia di ieri alla malata economia digitale e i valori veri, fondati sui beni fisici e sui capannoni, a quelli virtuali, fatti di pura conoscenza e immateriale software.
Dunque non è successo niente, il mondo è quello ben noto di sempre, era soltanto un eccesso di entusiasmi gonfiati?
No, quello che dobbiamo dire è che è sbagliato contrapporre la bolla speculativa e le follie di borsa, trattati come fenomeni degeneri e effimeri, alla solidità dell’innovazione di prodotto e di processo.
Le due cose sono andate di pari passo e le pazzie degli investitori sono quelle che hanno permesso un’accelerazione così rapida.
Magari Internet sarebbe andata comunque in questa direzione, ma in tempi più dilatati.
Ma cosa succede appunto, quando la benzina del Venture Capital comincia a scarseggiare?
Il ciclo finanza – tecnologia – innovazione pur sempre attivo, gira nel senso inverso: le interazioni e i feedback che prima acceleravano un fenomeno, ora lo rallentano.
Ma come ci ricorda Derrick De Kerckowe è giusto dire che: “ Senza le aspettative e gli entusiasmi suscitati dal fenomeno, non avremo assistito al rapido sviluppo di tecnologie, infrastrutture e servizi negli ultimi anni”.
Nel presentare The Atomic Corporation in Italia è dunque, però, giusto dire che è un libro che va al di là della stessa New Economy introducendo il concetto di economia molecolare che riveste, tra l’altro, grande interesse per la situazione italiana come emergeva già qualche anno fa da un rapporto Censis.
Infatti se l'Italia è sovente definita il Paese dei "mille campanili", allo stesso titolo potrebbe esserle rivolto l'appellativo di Paese delle "mille aziende".
Molteplicità soggettuale, differenziazione culturale, eterogeneità dei percorsi di sviluppo, sono infatti categorie interpretative che illustrano il caso italiano meglio di quelle che alludono, al contrario, a una improbabile uniformità nelle traiettorie di crescita.
Tuttavia lo stadio di sviluppo raggiunto e i nuovi scenari competitivi a dimensione planetaria richiedono al sistema un ulteriore passo avanti che porti dal semplice riconoscimento delle individualità (produttive), oggi non più sufficiente, alla loro integrazione funzionale. In altre parole, occorre mettere in campo nuove modalità relazionali, che interconnettano le diverse molecole (imprese, distretti, soggetti istituzionali) generate dall’esplosione "vitalistica" degli anni passati, facendo propria un'ottica di tipo sistemico, più adeguata a governare le dinamiche di sviluppo moderne. Del resto, la debolezza insita in una struttura produttiva eccessivamente polverizzata è una constatazione che ricade frequentemente sotto i nostri occhi
Ma l'esigenza di ricomporre la frammentazione molecolare della struttura sociale e produttiva è, a ben guardare, anche quella che sta dietro la nascita di alcune esperienze innovative, per ora solo timidamente affacciatesi sulla scena, riguardanti una modalità particolare di concepire il "mettersi in rete" tra diverse imprese. Si tratta di una accezione che possiamo considerare più evoluta rispetto a quella cui si è fatto riferimento fino a questo momento, in quanto implica non più una struttura di network "predefinita", che lega insieme un certo numero di imprese attraversate da flussi di informazioni, ma una configurazione mutevole di rete, in forza della quale le aziende possono procedere a riaggregazioni di volta in volta diverse in funzione dell'obiettivo specifico da perseguire.
E questo ci sembra un bel riferimento all’azienda atomizzata dei nostri autori.
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