Anno 2 Numero 45 Mercoledì 12.02.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

 

LEZIONI DAL FUTURO

di Stan Davis
Postfazione di Roberto Panzarani
(FrancoAngeli – 2002)

Stan Davis è uno dei più grandi futurologi mondiali, “l’unica voce che effettivamente riesce ad arrivare al futuro prima di ogni altro”, scrive di lui Nicholas Negroponte, cofondatore del MIT’ Media Lab. Collabora con le maggiori riviste internazionali, è consulente di grandi aziende e di imprese in rapida crescita. I suoi libri hanno venduto un milione di copie e sono stati tradotti in 15 lingue. In questo nuovo volume, ricco di esemplificazioni concrete, offre un quadro insieme rigoroso e pratico degli elementi che dobbiamo considerare per orientarci in un’età in cui può essere altrettanto pericololoso seguire percorsi tradizionali come gettarsi nel nuovo per il nuovo. Una guida per scegliere le strade giuste, i comportamenti corretti per realizzare i propri obiettivi.
In uno stile colloquiale e diretto, Stan Davis inizia illustrando le strade per trovare le idee-guida. Presenta, quindi, un quadro dettagliato dell’evoluzione sempre più accelerata iniziata con i primi passi dell’informatizzazione e le nuove possibilità di raccolta e d elaborazione dei dati e arrivata rapidamente all’interconnessione. In un mondo dominato dall’Information Technology, i prodotti e servizi “intelligenti” valgono più di quelli tradizionali. Oggi stiamo passando dall’economia dell’informazione all’economia della conoscenza. La conoscenza è informazione applicata, e quindi un processo, e a differenza dell’informazione è viva e si evolve. Nel 2006 il knowledge business sarà differente dal business basato sull’informazione tanto quanto il secondo è oggi differente dai meri database. Tutto questo ha portato e ancor più porterà cambiamenti radicali nella creazione, accumulazione e controllo della ricchezza sia per gli individui che per le aziende e i Paesi, Tanto che possedere capitale sarà meno importante di ieri. Da qui le nuove regole per gestire i business e i servizi e guidare le aziende, ampiamente illustrate.
Non meno stimolanti le lezioni del passato, con la descrizione delle crisi di mezza età di 3 dirigenti traendone indicazioni per trovare un sano equilibrio. Risponde, quindi, alla domanda “Sono ancora importanti le culture aziendali?” e approfondisce il modello organizzativo che non scomparirà. Ed infine le lezioni dal futuro: la biotecnologia si diffonderà in tutti i settori economici, proprio come hanno fatto i computer; l’economia avrà nuove regole di crescita e dobbiamo essere pronti ad accettare che l’evoluzione continuerà per sempre.
Un libro stimolante e appassionante sia per i giovani che devono prendere decisioni che condizioneranno il loro futuro come per gli imprenditori, i dirigenti, i professionisti che devono identificare i cambiamenti nel business e nel contesto sociale che stanno trasformando ogni cosa, ognuno di noi e ogni impresa.






Postfazione di Roberto Panzarani al libro di Stan Davis

Ten years ago…..
I turned my face for a moment
And it became my life.
David Whyte


New York, fine di settembre. Fuori dalla cintura che preclude il passo all’area disastrata 
delle torri gemelle, la vita normale è ripresa. Business as usual, al lavoro come sempre, 
è stata la parola d’ordine. Apparentemente, la forza vitale ha avuto il sopravvento sulla 
paralisi indotta dal trauma.
Celebrata la memoria delle vittime, l’impegno di tutti è diventato quello di rispondere 
con l’attività abituale all’attentato terroristico, come se questo avesse potuto demolire 
solo degli edifici, non la forza morale di un popolo.
Tuttavia, non tutto ha potuto ritornare as usual. Qualcosa ha consegnato al trauma una 
sorta di continuità sia fisica, sia morale. È vero che i negozi hanno riaperto le vetrine e 
che i ristoranti sono pronti per i clienti, ma i segni fisici dell’attentato permangono negli 
occhi e nel cuore.
La vita cambia totalmente quando ci si sente improvvisamente soli, quando a uno stato 
di sicurezza, e alla garanzia di poter godere di una sicura protezione, subentra 
l’insicurezza, la preoccupazione per l’incolumità propria e altrui, la necessità di vigilare e 
mantenere sempre lo stato di allarme e di difesa. Questo è ciò che è accaduto. Questo è 
anche il motivo per il quale il Presidente e l’esecutivo statunitense hanno tentato 
immediatamente di assumere un ruolo vicariante, come garanti di sicurezza, protezione 
e giuste punizioni, rispetto alla figura parentale immaginaria infrantasi l’11 settembre 
scorso, quella di uno Stato “paterno”, forte, potente, inattaccabile.
Questo è pure il motivo per il quale una parte non precisata, ma sicuramente esistente 
della popolazione, ha ricavato dal trauma l’incentivo e la forza per reagire, con 
rinnovato impegno nel lavoro e nelle attività di relazione. Rafforzando in questo modo l
’adesione ad un gruppo sociale ben definito, e al tempo stesso idealizzato – i 
connazionali non codardi, la nazione eroica - e aumentando la coesione del gruppo, 
molti cittadini possono aver attinto ad una fonte di rassicurazione che tranquillizza.
Il pur generico stato di insicurezza e di allarme di milioni di cittadini è dunque all’origine 
del significativo cambiamento delle politiche finanziarie e imprenditoriali di molte 
istituzioni ed aziende, come dei mutamenti comportamentali e degli stili di vita delle 
persone.
Non vi sono ancora dati oggettivi che comprovino questi cambiamenti, ma le 
informazioni circolanti sembrano non lasciar dubbi. Manifestamente esemplare è ciò che 
è accaduto alle compagnie aeree, all’industria turistica e a quella automobilistica, alle 
assicurazioni, alle quotazioni di beni primari. Più in generale, si intuisce che l’esito 
materiale primario dello shock terroristico è il danno di notevoli proporzioni arrecato 
all’intera economia dell’occidente e, indirettamente, di numerosi altri paesi. 
Il libro di Davis esce prima dell’11 settembre, parla di futuro e dell’importanza di 
prevederlo. Tutto questo è per noi di grande interesse.
Voglio ricordare che con “Blur” Stan Davis e Chris Meyer ci hanno detto che velocità, 
interconnessione e immaterialità sono le tre forze convergenti della nuova economia 
che stanno rivoluzionando i parametri di riferimento, gli assetti e i confini di ogni 
business e di ogni organizzazione.
La separazione netta tra prodotti e servizi, chi compra e chi vende, dipendenti e datori 
di lavoro, fornitori e distributori, alleati e concorrenti tende ormai a diventare sempre 
più indistinta.
La velocità del cambiamento è senza precedenti, nulla è più stabile sia nel tempo che 
nello spazio. Le conoscenze e l’immaginazione contano più del capitale fisico. Le 
transazioni lasciano il posto agli “scambi”. I mercati fisici assumono le stesse 
caratteristiche dei mercati finanziari.
Per non essere sopraffatti dalla velocità del cambiamento e riuscire a valorizzare a 
proprio vantaggio le opportunità offerte da queste tendenze rivoluzionarie, è necessaria 
una comprensione dinamica delle zone indistinte della nuova economia nuova 
economia: BLUR, appunto. 
La separazione tra prodotti e servizi è un residuo dell’economia classica, in pratica 
ciascuno di noi lavora e consuma allo stesso tempo, in un equilibrio dinamico più o 
meno sostenibile; la realtà è molto più complessa di una catena lineare e l’identità 
personale non può essere scissa dall’“identità economica”. 
Nell’economia classica l’organizzazione è sempre stata l’interme-diario tra lavoratore e 
mercato, mettendo insieme il lavoro dei diversi collaboratori e allocando il prodotto 
finale sul mercato. Questo ruolo non varierà in futuro, le organizzazioni continueranno a 
esistere per coordinare input e domanda aggregata, ma sarà l’individuo capace di 
interconnessione, con le sue competenze, l’”unità organizzativa” fondamentale, non 
l’azienda. L’individuo è la “maglia”, il nodo della rete.
Ed è a questo punto che l’individuo dovrà instaurare un nuovo rapporto con il mercato: 
il bene di scambio diviene la conoscenza, ossia tutto l’insieme di rapporti e di capitale 
immateriale che ciascuno ha accumulato nel corso della propria carriera. 
Il bagaglio di conoscenze individuali ha un valore che può essere condiviso ricavandone 
dei vantaggi: il sapere genera valore molto più della terra o del capitale. Quello che si 
sa conta molto più di quello che si ha. 
Le azioni di valore sono quasi tutte in mano ai singoli individui. Ciò che è importante a 
questo punto è imparare a gestire questo preziosissimo bene intangibile. 
Sfuma così anche la distinzione tra identità del lavoratore e identità dell’imprenditore: 
ognuno dovrà essere imprenditore di se stesso. Sarà l’individuo a dover capire 
l’andamento del mercato, e se le prospettive non sono favorevoli, ad acquisire nuove 
competenze. Questo implica flessibilità, mobilità e connessione. 
Se fino agli anni ’80 la maggior parte dei lavoratori trascorreva tutta, o quasi, la propria 
vita lavorativa all’interno della stessa azienda, con prospettive di carriera in senso 
verticale, oggi possiamo dire che in media l’aspettativa è quella di cambiare azienda 
almeno dieci volte nella vita, gestendo un percorso di carriera pianificato teso allo 
sviluppo continuo del proprio “capitale”. E’ ancora possibile parlare a questo punto in 
maniera distinta di lavoratori autonomi e di lavoratori dipendenti?
Nel prossimo futuro assisteremo allo sviluppo di mercati finanziari in cui sarà possibile 
negoziare in titoli a contenuto personale.
In “Future Wealth” Davis e Meyer presentano un’irresistibile descrizione di cosa ci 
aspetta nel futuro della cosiddetta era dell’informazione.
Tre sono le conseguenze più importanti che caratterizzeranno l’ambito dell’economia 
interconnessa: rischio come opportunità, non solo come minaccia; maggiore efficienza 
dei mercati finanziari per lo human capital; bisogno di nuove forme di social capital. 
Questi tre fattori si combineranno in modo tale da mutare per sempre l’approccio che 
gli individui e le società hanno nel creare, accumulare, controllare e distribuire il 
benessere. 
I mercati efficienti in funzione di quanto detto, dovranno dare importanza sempre 
maggiore allo human talent e allo human capital, mentre le persone, dovranno pensare 
sempre meno al lavoro in sé e investire di più sul proprio human capital, cominciando 
ad accettare rischi sempre più alti in vista di ricompense maggiori, trasformando il 
concetto di rischio: da minaccia a opportunità.
Un allineamento radicale si sta verificando nella natura del benessere, trasformando 
individui ordinari in potenti protagonisti del proprio futuro finanziario.
In questo libro “Lezioni dal futuro” Stan Davis ci dà delle importanti chiavi di lettura per 
la previsione di un futuro che va dal cuore dell’economia interconnessa, all’analisi della 
ricchezza a temi di vasta portata come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e la difesa, fino 
a tematiche più personali come la crisi di mezza età dei dirigenti ed infine alla 
bioeconomia.
La cosa interessante di questo libro di Davis è che pur essendo scritto prima dell’11 
settembre ci dà delle chiavi di lettura molto importanti per misurarci con il futuro e 
quando sottolinea che per lui è più importante dire: “Ho previsto giusto?” più di: “Ho 
previsto tutto?” ci dà già un’indicazione importante su quale sia il suo approccio 
all’attività di previsione.
Spero che la pubblicazione di questo libro anche in Italia offra un utile strumento per il 
lavoro di tutti i manager che attualmente devono confrontarsi con un mercato 
caratterizzato da un’evoluzione molto complessa e difficile e che richiede, appunto, una
capacità di previsione sempre più attenta e accurata. 

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