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Anno 2 Numero 78 Mercoledì 01.10.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Ottorino Respighi: “Pini di Roma” e “Feste romane” 

 

di Marina Pinto 

 

Sotto il segno dello strepitoso successo del poema sinfonico “Le Fontane di Roma” - con cui Respighi (1879-1936) si era rivelato al mondo musicale italiano e poi internazionale – il compositore lavorò intensamente ottenendo notevoli riconoscimenti sia come compositore sia come direttore e concertista, e fu impegnato in tutto il mondo. Per qualche tempo egli rimase “il compositore delle Fontane”, anche se il suo repertorio andava sempre più arricchendosi di nuovi lavori.
Alle sue celebri “Fontane” Respighi diede seguito nel 1923-’24, con un secondo lavoro dedicato ad altre visioni dell’Urbe, e cioè “Pini di Roma”: un nuovo grande successo che ebbe risonanza mondiale, pur con qualche schermaglia (degli isolati contestatori cercarono di sabotare il concerto). A questo lavoro seguì ancora “Feste romane” (1928), accolto con manifestazioni calorosissime alla Carnegie Hall di New York, sotto la direzione di Toscanini. L’aggiunta di questi due poemi sinfonici al primo lavoro delle “Fontane” fu il felice completamento di un lavoro che da quel momento in poi sarà denominato il “Trittico romano”.
“Pini di Roma” ripropongono molti dei caratteri delle “Fontane”, abbiamo anche qui quattro visioni di relativi luoghi dove possiamo ammirare dei paesaggi romani. Nelle quattro immagini descrittive troviamo lo stesso sentimento idillico delle “Fontane”, le stesse atmosfere distese e gioiose, lo stesso intenso ma controllato colorismo orchestrale; insomma, tutti gli elementi del suadente e poetico paesaggismo del poema precedente, semmai qua e là un po’ appesantito, e addirittura con un paio di concessioni “ad effetto”, come nel terzo episodio: su un fitto trillare di violini e pizzicato di arpa sentiamo cantare un usignolo registrato su disco… un pizzico di kitsch per quel tempo, senz’altro, ma oggi lo possiamo definire come un lontano esempio di quella che più tardi si chiamerà la “tape music”, dove effetti realistici e concreti registrati su di un nastro vengono inseriti in un contesto di suoni strumentali eseguiti dal vivo nelle sale da concerto.

Ecco una breve descrizione delle quattro parti del poema sinfonico:

“I Pini di Villa Borghese”: giocano i bambini nella pineta della famosa e bella villa romana, ballano e fanno un girotondo, fingono marce soldatesche e battaglie, si divertono e gridano come le rondini a sera, pian piano sciamano via…



Improvvisamente la scena si tramuta e ascoltiamo il brano dedicato ai “Pini presso ad una catacomba”, dove l’ombra dei pini che coronano l’ingresso di una catacomba fanno da sfondo ad una melodia accorata come una preghiera antica che si diffonde come un inno e poi dilegua misteriosa.

L’inizio di questo brano si presenta così:



Ecco che siamo in un altro luogo, “I Pini del Gianicolo” portano con loro un fremito, dopo una breve introduzione si ode un canto sereno e sognante… ascoltiamo un usignolo che canta (il suono incriminato).



“I Pini della via Appia”: alba nebbiosa sulla via Appia, la campagna tragica è vigilata dai pini solitari. Leggerissimo, quasi indistinto, ma incessante ascoltiamo il passo di innumerevoli soldati romani che sognano antiche glorie: squillano le buccine (sostituite da ottocenteschi flicorni) e un esercito consolare irrompe nel fulgore del nuovo sole verso la via Sacra, per ascendere al trionfo del Campidoglio.
“Feste romane” è l’ultimo dei tre poemi sinfonici, ed anch’esso si costituisce di quattro immagini diverse, però qui l’orientamento del brano è più verso la pittura d’ambiente, si manifesta un senso del colore che si è fatto più acceso per descrivere situazioni nuove ed inedite. Inoltre in questo brano si fa largo una ispirazione popolaresca, con tratti fin troppo espliciti ed insistenti citazioni di canti romaneschi. Laddove l’impiego del dato popolare fu più massiccio Respighi si applicò per arrivare a risultati soddisfacenti che non fossero deludenti per gli ascoltatori (specialmente l’ultimo tempo, dove ascoltiamo motivi rustici, saltarelli, stornelli, canti di ubriachi fu rifatto ben tre volte).

Il poema sinfonico inizia con: 

“Circenses”: il cielo è torvo sul Circo Massimo, ma la plebe è in festa, “Ave Nerone!”, si schiudono le porte di ferro e nell’aria di diffonde un canto religioso e l’urlo delle belve. La folla ondeggia e freme, mentre impassibile, il canto dei martiri si diffonde, vince e naufraga nel tumulto generale.

“Il Giubileo”: i pellegrini si trascinano pregando per la lunga via, finalmente appare agli occhi ardenti delle anime anelanti la Città Santa, “Roma! Roma!”, è un inno di giubilo quello che prorompe, a cui risponde lo scampanio di tutte le chiese.

“L’Ottobrata”: festa di Ottobre ai castelli… e poi nell’ora del vespro trema una serenata romantica.

“La Befana”: la notte dell’Epifania a Piazza Navona, un ritmo caratteristico di trombette domina sul clamore frenetico, ascoltiamo motivi popolari, cadenze di saltarelli, il canto rauco di un ubriaco e il fiero stornello in cui si espande l’anima popolaresca, “Lassatece passà, semo romani!”.

 


 

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