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di
Marina Pinto
Il “Guglielmo Tell” è l’ultima opera di Rossini (1792-1868), ma non per la scomparsa del compositore bensì per la sua decisione di ritirarsi dalle scene; infatti, dopo la rappresentazione del “Guglielmo Tell”, nel 1829, egli si trasferì a Parigi, dove visse fino alla sua morte senza più dedicarsi al teatro.
L’opera è ispirata all’omonimo dramma di Schiller, e rappresenta la fase più matura e conclusiva della produzione teatrale del maestro pesarese; il libretto fu scritto a quattro mani dai due librettisti Etienne de Jouy ed Hippolyte Bis, e la composizione della partitura procedette spedita, solo cinque mesi per completarla. Il battesimo del “Guglielmo Tell” avvenne all’Opera di Parigi, dove ottenne però appena un successo di stima.
La famosa storia del “Guglielmo Tell” aveva avuto larga divulgazione in Svizzera, tanto da diventare materia di rappresentazioni popolare, Schiller aveva raccontato la vicenda con grande abilità e profondo senso teatrale utilizzando la situazione storica e narrando gli episodi di maggiore tensione drammatica, dando contemporaneamente opportuno risalto al colore locale dell’azione. Nel libretto musicato da Rossini tutto questo è rimasto, ascoltiamo pagine di musica dove si avverte chiaramente la suggestione del paesaggio elvetico, come il senso di una calma bellezza alpestre e di una serenità pastorale che è dato già nella stupenda sinfonia d’apertura, dove distinguiamo quattro episodi distinti:
1) i “pensieri” di Guglielmo Tell, dove ascoltiamo una melodia descrittiva del sorgere del sole sulle Alpi
2) il “temporale”, una musica efficacemente descrittiva che trasmette all’ascoltatore l’impressione della furia di una tempesta
3) il “ritorno al sereno”, un tema particolarmente tranquillo
4) la famosa “cavalcata”, che irrompe con la massima irruenza e conclude l’overture.
Al levarsi del sipario emerge il senso calmo e sereno del paesaggio montano, e ascoltiamo il coro “E’ il ciel sereno”, che si accorda perfettamente all’atmosfera, così come la breve romanza di un pescatore (“Il piccol legno ascendi”) che sta per celebrare le sue nozze con la fanciulla amata; il protagonista, Guglielmo Tell, osserva questo personaggio con aria assorta, quasi con invidia per il suo stato di contentezza che gli consente di non pensare al dolore per la propria patria angariata ed oppressa dal dispotico governatore tedesco Gessler. Queste scene del primo atto rappresentano un quadro idilliaco, c’è la figura del patriarca Melchtal che simboleggia la santità e la saggezza della semplice vita agreste, e il suo sentimento si espande con una musicalità splendente e gioiosa. In queste prime pagine Rossini ha calcolato ogni effetto: il pronunciarsi di un chiaroscuro più intenso, di tinte più energiche, e di momenti di riflessione che portano verso il motivo drammatico che a poco a poco prende consistenza, dapprima con i vigorosi recitativi di Guglielmo Tell e poi con l’animato colloquio tra quest’ultimo e il figlio del patriarca, Arnoldo.
Arnoldo è innamorato della principessa Matilde di Hassbourg, che è al seguito del tiranno Gessler: Guglielmo sa di questo sentimento, ma ugualmente esorta Arnoldo a non dimenticare la patria offesa, ed a liberarla senza indugi: Arnoldo non sa prendere una decisione fra il suo sentimento d’amore ed il suo dovere di patriota svizzero, è angosciato e pieno di dubbi, e si allontana turbato, lo accompagna il coro che esulta l’eroe giovane e forte (“Gloria e onore al giovinetto”).
Il dramma si accentua decisamente nella seconda parte del primo atto, quando appare sulla scena il pastore Leutoldo: egli racconta che un ministro del governatore ha tentato di rapirgli la figlia, ed egli lo ha ucciso. Ora fugge dalla vendetta di Gessler e chiede aiuto ai suoi concittadini. Ma nessuno osa dargli aiuto, all’infuori di Tell, che sale con Leutoldo su un battello che li porta in salvo, mentre già si odono vicine le voci minacciose dei soldati. L’orchestra sottolinea questo momento drammatico con un unico tema che comunica il senso di ostilità e descrive la corrente vorticosa del torrente in cui Tell e Leutoldo stanno navigando inseguiti dai soldati minacciosi, nonchè la natura selvaggia intorno a loro. La fuga di Guglielmo e Leutoldo conclude il primo atto dell’opera.
All’inizio del secondo atto troviamo ancora una descrizione poetica del paesaggio alpestre, ma su uno sfondo crepuscolare accentuato dal suono dei corni, che conferisce all’atmosfera un senso di lontananza e di vago mistero: la Svizzera di Guglielmo Tell ha, in questo momento, l’aria di un presepe. L’atmosfera prepara l’incontro fra Arnoldo e Matilde, un momento di intenso pathos lirico in cui sono poste chiaramente in luce le difficoltà della situazione fra i due amanti, in particolare la posizione di Arnoldo, giovane ed appassionato, generoso ed esultante d’amore, ma ancora ignaro della morte del padre, che il perfido Gessler ha fatto morire. Arnoldo apprende questa notizia da Guglielmo Tell e da Gualtiero Farst, e qui ascoltiamo un terzetto impetuoso e pieno di energia (“La gloria infiammi i nostri petti”) e i cori rappresentanti dei diversi Cantoni svizzeri che giurano di unirsi nella lotta contro l’oppressore straniero. Il coro rappresenta l’elemento coordinatore del vario tumulto di passioni che agitano i personaggi sulla scena.
Il terzo atto ci porta nel vivo del dramma: l’esplosione della rivolta. Gessler, in occasione di una pubblica cerimonia, ordina che tutti si inchinino dinanzi all’insegna del suo potere, ma Guglielmo si rifiuta di farlo e viene subito arrestato. Gessler, sapendo che egli è un abile arciere, gli impone di colpire con l’arco una mela posta sul capo del figlio Jemmy. Lo stesso Jemmy incoraggia il padre a tentare la prova: Guglielmo tira e riesce a colpire il bersaglio, ma subito dopo sviene per l’emozione, e gli cade a terra un’altra freccia che teneva nascosta. Gessler gli domanda a cosa gli servisse una seconda freccia, e Guglielmo risponde: “Per te, s’egli s’era spento”. Il despota allora lo fa incatenare, anche se Matilde invano tenta di intercedere per lui, ma riesce solo a portare in salvo Jemmy. Guglielmo grida: “Anatema a Gessler!”, e il popolo ripete unanime il grido. Gessler, Rodolfo e i soldati si aprono un passaggio fra la folla trascinando con loro Guglielmo; il popolo si allontana profondamente costernato.
Nel quarto ed ultimo atto tutto corre rapido verso la fine: ricompaiono Arnoldo e Matilde, e il primo, quando apprende che Guglielmo è stato arrestato, si avvia con i suoi seguaci per liberarlo; Matilde riconduce Jemmy a sua madre e dice di voler restare presso di loro come ostaggio. Jemmy incendia la casa paterna, dando così il segnale dell’insurrezione. Gessler conduce Guglielmo in carcere, e sul lago si scatena una bufera: Tell è invitato dal tiranno a guidare il vascello, egli accosta la nave alla scogliera, balza su di uno scoglio e scocca una freccia mortale contro Gessler uccidendolo. Intanto la tempesta è passata e il cielo si rasserena: anche nei cuori torna la pace, con la serenità, la libertà e la gioia.
La tempesta che ascoltiamo in quest’ultima parte del dramma non è semplicemente un quadro descrittivo di un evento naturalistico – come invece è la precedente che ascoltiamo nell’overture – Rossini ha realizzato questa pagina di musica mirando a realizzare l’espressione di una situazione tempestosa soprattutto interiore, con un colorismo timbrico sobrio ma estremamente efficace, ed una equilibrata disposizione degli spazi sonori.
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