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Anno 2 Numero 72 Mercoledì 20.08.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Henry Purcell: “Dido and Aeneas”
 

 

di Marina Pinto 

 

Purcell (1659-1895) è il compositore inglese considerato il massimo genio dell’arte musicale del suo paese. Le prime fonti biografiche attendibili su di lui risalgono alla sua fanciullezza, quando era corista della Cappella Reale. Appena quattordicenne fu chiamato a ricoprire la carica di “assistente al sovrintendente degli strumenti del re”; tale posto gli fu provvidenziale per la conoscenza degli strumenti musicali non solo dal punto di vista tecnico ed estetico, ma anche - e soprattutto - come arte di alta liuteria ed organaria. E fu così che egli divenne costruttore, riparatore ed accordatore presso l’Abbazia di Westminster, e passarono fra le sue mani flauti, virginali, organi e moltissimi altri strumenti. Per diversi anni dal 1675 in avanti Purcell svolse diverse attività, a diciotto anni divenne “composer for the violins”, ed il suo compito era quello di scrivere arie e danze per le cerimonie del re a corte; in seguito fu organista, sovrintendente agli strumenti del re, clavicembalista della musica privata di Giacomo II nel 1685; nel 1689 ebbe l’incarico di comporre le musiche per l’incoronazione solenne di Guglielmo III. 
Purcell mantenne tutti questi impegni fino a poco prima della morte. I maligni accusarono sua moglie di averlo chiuso fuori di casa in una fredda notte autunnale del 1685 essendosi egli presentato in uno stato di riprovevole ubriachezza, per cui l’umidità ed il freddo gli avrebbero provocato una grave malattia per cui morì a soli 36 anni; fu sepolto ai piedi dell’organo che aveva suonato per tante stagioni nell’Abbazia di Westminster.
Purcell fu il più grande autore musicale del suo tempo, ed anche il più completo ed il più aperto alle diverse espressioni musicali. Nel breve arco della sua vita, svoltasi in prevalenza a Londra, egli si rivelò fecondo come autore di opere teatrali, di musiche di scena, di odi e di cosiddetti “canti di benvenuto” (Welcome songs), di cantate profane, di composizioni liturgiche, duetti e terzetti con basso continuo, musiche per clavicembalo, organo, archi, per un totale di circa 500 titoli. La sua abilità fu quella di accettare nelle proprie forme compositive non solo ogni tradizionale suggerimento della propria terra, ma anche l’attualità che veniva in gran parte dall’Italia e dalla Francia, e seppe giungere ad una sintesi perfetta con un linguaggio inconfondibile e tutt’altro che accademico. Il suo stile si affermò deciso fin dal 1680, e ne fece un artista sia progressista sia conservatore: la sua musica di tipo tradizionale brilla particolarmente nell’espressione liturgica, mentre nelle fantasie, nelle sonate e nelle musiche per il teatro egli dà immagini musicali nuove ed irripetibili per quanto riguarda gli accostamenti armonici, i mirabili procedimenti contrappuntistici che portano a combinazioni sonore inattese eppur godibilissime, soprattutto per la passione con cui tutta la sua musica è sorretta. 
Il genio teatrale di Purcell non si espresse al massimo, la causa è da ricercare nelle decadenti condizioni del teatro inglese di quell’epoca, dove per esempio nel periodo della guerra civile e dell’instaurazione repubblicana (1642-’60) ogni attività drammatica fu sospesa per motivi di pubblica moralità. Così Purcell crebbe in un clima teatrale di commedie dove la musica figurava appena come un accessorio, e lui stesso scrisse solo cinque opere (dette “con dialogo”) nelle quali i personaggi principali non dovevano cantare.
Non si deve però definire “opera con dialogo” la sua “Dido and Aeneas”, rappresentata a Londra nel 1689: questo lavoro che dura un’ora in tutto merita assolutamente un posto a sé. Si tratta infatti di un’opera seria in tre atti, la sua prima opera completamente musicata, uno dei più alti capolavori della storia del melodramma. In Inghilterra bisognerà attendere Handel per trovare pagine di eguale bellezza ed espressività, in “Dido and Aeneas” ascoltiamo una forte ed intensa espressività drammatica pari ai migliori esempi del melodramma barocco.
La famosa vicenda dell’amore tra Didone ed Enea (Enea scampato alla distruzione di Troia giunge a Cartagine e lì si innamora della regine Didone; il volere degli dei impone però che egli la lasci per andare a fondare in Italia una nuova città, che sarebbe la futura Roma. Didone non riesce a sopportare il dolore dell’abbandono e si uccide) è arricchita da una quantità di balli e di personaggi che rendono più complessa la trama. Questo lavoro inoltre non fu scritto per la corte dei re inglesi né per i teatri di Londra, ma per un collegio di educande di Chelsea, e lì venne per la prima volta rappresentato nel 1689, con interpreti le stesse ragazze della scuola.
Prendiamo in esame il commosso addio alla vita di Didone (del III atto): la regina è ormai morente e cerca il conforto della fedele ancella Belinda. L’aria “When I am in laid in earth” è costruita – come molti lamenti barocchi – su un basso ostinato, cioè una frase che viene ripetuta dall’inizio alla fine. Su questo basso ostinato si snoda liberamente la bellissima linea melodica:

 



Traduzione: 
“Quando giacerò in terra
possano i miei peccati non creare
preoccupazione nel tuo cuore”.
(Questa bellissima melodia è inserita nel CD tratto dal recente film di Franco Battiato “Perduto amore”).

 


 

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