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Anno 2 Numero 71 Mercoledì 13.08.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

L’ultimo dei madrigalisti: Carlo Gesualdo principe di Venosa
 

 

di Marina Pinto

Questo particolarissimo personaggio della storia della musica ci ha lasciato molte pagine che testimoniano fortemente la fantasia sfrenata dell’epoca e la grande versatilità del genere musicale del madrigale cinquecentesco. Protagonista d’una fosca tragedia coniugale ed assassino per gelosia, persona dall’indole orgogliosa ed ombrosa, dalla psicologia introversa, irrequieta e con marcati spunti nevrotici, egli sembra aver portato all’insaziabile la febbre cromatica delle sue composizioni, segno dello smisurato disordine delle sue passioni.
Egli era un nobile napoletano, nato nel 1560 o forse nel 1557 in una delle famiglie più amate e rispettate dell’epoca e del luogo (il padre era il feudatario del castello di Venosa, nel territorio lucano di Potenza), la sua vita fu dedicata per gran parte alla musica, fu dapprima virtuoso di liuto, cembalo e cantante (Scipione Cerreto lo definisce “raro sonatore di molti strumenti”), poi compositore ed editore egli stesso di molta musica, soprattutto di genere madrigalistico; favorito certo dall’ambiente della città natale, dove non gli mancarono incitamenti e stimoli, Gesualdo fondò un’accademia di cui fecero parte molti artisti dell’epoca – con cui era in contatto fin dall’infanzia, in quanto anche il padre amava circondarsi di intellettuali - e questa non fu un’impresa facile, i tanti musicisti e letterati che affollarono il suo raffinatissimo cenacolo furono letteralmente dominati dalla sua personalità insofferente e sfrenata. L’altissimo ideale compositivo che si prefisse e che perseguì con puntiglio e accanimento lungo l’arco della propria esperienza creativa, e l’orgoglio smisurato, così come la caparbia ed altezzosa fiducia nei propri mezzi, rendono unica la sua figura e la sua personalità nel mondo della musica del tempo. Nelle sue composizioni si assiste al trapasso dall’ordine del Rinascimento alla convulsa interiorità del Barocco, egli fu irresistibilmente attratto dalla modulazione e dal fascino dell’alterazione dei suoni combinati negli intervalli più fantastici, così da giustificare il suo eccesso di dissonanze e l’abuso del cromatismo, i suoi capricci armonici sfociano in una piena anarchia tonale, specchio di uno stato d’animo tormentato tale da far pensare ad un Caravaggio ante litteram. 
La sua vita trascorse così dedicata alla musica per molto tempo, nel 1586 sposò – probabilmente per ragioni dinastiche – la cugina Maria d’Avalos, dalla quale ebbe due figli, che però morirono prima di lui. Ben presto tuttavia una relazione di costei con il duca d’Andria – tale Fabrizio Carafa - diventò di tale pubblico dominio da costringere Gesualdo a ricorrere alla vendetta attraverso i sistemi in uso a quel tempo per salvaguardare il proprio onore. Il delitto efferato suscitò enorme impressione del mondo dell’epoca (siamo nel 1590), tanto che il viceré di Napoli gli consigliò di allontanarsi da Napoli e di rinchiudersi nel suo castello per sfuggire alle probabili vendette delle famiglie delle due vittime, ma egli preferì spostarsi a Ferrara, dove, nel 1594, sposò Eleonora d’Este. Nella vivace animazione della città emiliana Gesualdo tempera con fervide attività l’umore malinconico e il malessere psichico che sempre erano in lui, e crea il terzo e il quarto libro di madrigali. Ma presto (nel 1611) egli tornò nella sua città – non avendo nulla da temere dalle autorità dello stato dato il “nobile” motivo del suo delitto – curò altre sue pubblicazioni e qui probabilmente morì nel 1614.
Il periodo ferrarese fu quello in cui Gesualdo affermò definitivamente la sua fama di compositore, nella città estense infatti vennero pubblicati i suoi primi cinque libri di Madrigali, dal 1594 al 1611. Quanto alle relazioni di Gesualdo con il mondo letterario dell’epoca è particolarmente interessante il suo rapporto con Torquato Tasso, che egli conobbe a Napoli nel 1588 e con il quale rimase in contatto per tutta la vita. Al musicista o ad episodi che lo riguardavano – la vita del principe fu sempre molto movimentata – il Tasso dedicò molti versi, in alcune lettere risalenti al 1592 si apprende come egli avesse inviato a Gesualdo una quarantina di componimenti poetici appositamente scritti per essere da lui musicati; in queste lettere si ha una testimonianza attendibile dell’interesse che i due artisti nutrivano per i problemi relativi ai rapporti fra musica e poesia, e sappiamo che quella fu l’epoca del melodramma, della nascita di questo grande spettacolo teatrale la cui luce non fu mai offuscata. I testi del Tasso furono i soli di valore letterario messi in musica da Gesualdo, per il resto le sue composizioni avevano testi brevi che gli servivano solo come pretesto per fare della musica.
Carlo Gesualdo fu considerato dai suoi contemporanei come un grande, forse anche per il suo rango principesco, i posteri si sono alternati con giudizi su di lui che lo vedono ora come un dilettante ora come un indiscutibile genio – giudizio che senz’altro preferiamo - comunque un compositore di grande versatilità, un poeta del madrigale ed anche un polifonista sacro. La sua musica è caratterizzata da una continua ricerca di una sempre più intensa espressività musicale, la sua produzione madrigalistica si fa più attenta a questo aspetto soprattutto in quelle composizioni che videro la luce in corrispondenza con il suo soggiorno a Ferrara: qui viene fuori il vero Gesualdo, quello destinato ad influenzare le generazioni successive e a rimanere nella storia sviluppando il lato originale della sua natura. La sua ricerca musicale investe ogni aspetto della creazione musicale: melodia, ritmo, contrappunto, armonia, timbro, in ogni campo egli sfrutta le risorse musicali ben al di là di quanto era stato fatto prima di lui; nella tecnica dell’armonia – oggetto di studio già dalla fine del secolo precedente - egli raggiunse risultati tali che non solo superarono il linguaggio musicale dei suoi contemporanei, ma che vennero accolti e codificati nelle regole grammaticali dei suoi successori soltanto alcune generazioni dopo, ecco il perché del suo genio, l’essere precursore di estetiche che per il suo tempo erano assolutamente al di fuori del comune, quanti altri geni della musica sappiamo che hanno percorso questo cammino! 
Anche i testi dei suoi madrigali miravano a risolvere i problemi dell’espressione musicale del sentimento umano, perciò ai poemi che descrivevano la natura egli preferì sempre quelli di significato fortemente emotivo, sia nella produzione profana sia in quella sacra: i suoi madrigali parlano di amore e di morte, di un dolore e di uno struggimento traboccante ed incontenibile espresso in un impeto quasi furioso attraverso raffinatezze verbali nei sostantivi e negli aggettivi (come “soave angoscia”, “morte radiosa”, “disperata gioia”). 
Lo stile non è unitario, anzi, esso arriva al paradosso e alla contraddizione: cromatico e diatonico, dissonante e consonante, lento e veloce, placido e vulcanico. Gesualdo fu un compositore dalla concezione armonica in un’epoca concettualmente contrappuntistica, le sue composizioni sono un susseguirsi di brevi momenti ricchi della più estrema intensità di espressione, in una logica che è solo sua, ascoltando una sua composizione troviamo improvvisi “lampi di genio”, e non di rado un’armonia tormentata o una declamazione senza riposo che si trasformano in manierismo di vera e propria arte: Gesualdo è al culmine del lungo cammino madrigalistico, e con la sua musica ne rappresenta indubbiamente la conclusione. 
La produzione di Gesualdo è tutto sommato esigua, se raffrontata con le usanze correnti: troviamo, a lato dei suoi sei libri di madrigali – l’ultimo di essi, a sei voci, ci è stato tramandato incompleto e postumo - uno di responsori e altri due di mottetti, e poi diverse composizioni strumentali, di cui di accertata sua mano ne possiamo individuare solo due, la “Gagliarda del Principe di Venosa” e la “Canzon francese”, entrambe per strumenti a tastiera.
Nel 1960 Igor Strawinskij, per esaltare il tormentato artista - lontano eppur vicino – presentò al pubblico di Venezia il suo “Gesualdo Monumentum”.

 


 

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