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di
Marina Pinto
Attraverso l’ascolto del poema sinfonico “Ma mère l’Oye” scopriamo uno degli aspetti più sorprendenti e particolari della personalità di Maurice Ravel (1875-1937) e cioè il suo animo ingenuo, egli aveva in sé una capacità di stupore gioioso per le piccole e grandi cose. Tutta la sua esistenza, come buona parte della sua musica, non fu che un effetto delle sue “candide scoperte” nei confronti della vita. Si dice che gli dei accordino agli eletti il privilegio di passare con sguardo limpido attraverso le ombre della vita.
Sin dall’infanzia Ravel aveva avuto il gusto per gli incantesimi, così i racconti delle fate, le storie orientali, la Grecia mitologica, i poemi favolosi, gli ispirarono sempre le sue più belle pagine, nell’imponderabile egli si sentì sempre a suo agio.
Il poema sinfonico è la forma musicale che più si presta all’espressione di questo tipo di sensazione, in particolare in “Ma mère l’Oye” si avverte la sua innata predilezione per le immaginose favole infantili.
Ravel compose “Ma mère l’Oye” nel 1908, e dedicò questo lavoro ai suoi due piccoli amici, Jean e Mimie Godebsky, i figli di un suo caro amico, affinché essi potessero esercitarsi a suonare insieme – i brani che compongono il lavoro furono scritti originariamente per pianoforte a quattro mani – e per interessarli maggiormente alla musica egli scelse i soggetti delle loro favole preferite. Il lavoro si compone di 5 parti:
1) “Pavane de la Belle au bois dormant” (Pavana per la Bella addormentata nel bosco)
2) “Petit Poucet” (Pollicino)
3) «Laideronnette, impèratrice des pagodes » (dalla fiaba « Il serpente verde »)
4) “ Les entretiens de la Belle e la Bète “ (I dialoghi della Bella e la Bestia)
5) “Le jardin féerique” (Il giardino delle fate)
Nel 1912 lo stesso Ravel fece di questo lavoro una trascrizione per orchestra da destinarsi ad un balletto, e in questa nuova veste l’intera composizione risulta ancora più gradevole, grazie all’accurata scelta dei colori timbrici, che rendono più suggestive le atmosfere fiabesche.
Il primo quadro del poema sinfonico si compone di una pagina dal lungo tema, che porta lo spirito e l’immaginazione verso misteriosi interrogativi, il sonno della principessa finirà soltanto con l’amore. Nel secondo, “Petit Poucet”, il succedersi ordinato delle note traccia un sentiero attraverso la foresta, c’è in questo brano un capolavoro di espressione: il bisbigliare degli uccelli e i rumori nascosti nel buio ci fanno quasi sentire il terrore dei bimbi perduti nel bosco.
In “Laideronnette” ascoltiamo strane ed asiatiche sonorità, la musica ha una sonorità cristallina ed una animazione da scatola musicale, una sorta di carillon, che ci fa pensare alla Cina dai tetti a pagoda ornati da frange tremolanti e campanellini di porcellana.
Gli “Entretiens de la Belle e la Bète” evocano, con la medesima grazia, l’amore tormentato della Bestia e i timori della Bella, la storia della fiaba è ben nota a tutti: la minore di tre sorelle, Bella, accetta di andare a vivere nel castello di un essere mostruoso, chiamato la Bestia, per salvare la vita del padre, che per lei aveva rubato una rosa nel giardino di quello stesso castello scatenando così l’ira del padrone. La Bestia però non è cattiva, e cerca di rendere felice la ragazza: Bella si affeziona alla Bestia, nonostante la sua bruttezza, ma rifiuta sempre la proposta di matrimonio che l’essere mostruoso le rinnova ogni sera.
Ottenuto il permesso di tornare a vedere il padre e le sorelle, Bella viene trattenuta a casa con un inganno ordito dalle sorelle gelose, e dimentica la promessa fatta alla Bestia di tornare allo scadere dell’ottavo giorno. Una notte, però, ella sogna che la Bestia sta morendo per il dolore di averla persa, e, assalita dal rimorso, si affretta a tornare al castello. Bella, dopo aver cercato dappertutto, corre in giardino, vicino al fiume, dove in sogno aveva visto la Bestia, e lì la trova, distesa per terra, immobile, tanto da crederla morta; senza paura né ribrezzo per quella brutta figura, Bella si getta sopra di lei, sente il cuore che ancora batte debolmente, prende un po’ di acqua dal fiume e le bagna la testa. La Bestia apre gli occhi e dice a Bella: “Voi avete dimenticato la promessa, e il gran dolore di avervi perduta mi ha fatto decidere di lasciarmi morire di fame; ma ora muoio contento, perché ho avuto la consolazione di rivedervi un’ultima volta”. “No, mia Bestia, voi non morirete – risponde Bella – voi vivrete per diventare mio sposo”. Appena Bella pronuncia queste parole ecco tutto il castello risplendere di luci: Bella si volta verso la sua cara Bestia e… che stupore! La Bestia è sparita, è apparso un principe bello come il sole che la ringrazia di aver rotto l’incantesimo.
La struttura musicale del brano è estremamente semplice: si riconoscono distintamente le voci soliste del clarinetto (la Bella) e del controfagotto (la Bestia).
Tema della Bella:
L’ultimo brano del poema sinfonico, “Jardin féerique”, conclude l’opera, una melodia esotica e magica, di diretta impressionabilità, che riesce facilmente a commuovere e a trasportare la fantasia dell’ascoltatore in un mondo pieno di profumi magici, proprio come se si trovasse in un giardino delle fate.
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