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Anno 2 Numero 66 Mercoledì 09.07.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Domenico Cimarosa: “Il maestro di cappella” 

 

di Marina Pinto 

 

Il compositore italiano Domenico Cimarosa (1749-1801) si inserisce in quel gruppo di compositori che lavorarono nel teatro del secondo Settecento componendo opere ed intermezzi allegri e gioiosi; essi ebbero successo e fama proprio attraverso questi piccoli lavori teatrali che tanto divertivano il pubblico che si recava ad assistere alle rappresentazioni. “Il maestro di cappella” è un intermezzo giocoso in un solo atto scritto per sola voce di basso e orchestra, ed appartiene al filone prettamente settecentesco del “teatro nel teatro”, allora di moda già dal 1730. E’ un lavoro divertente, spigliato ed originale, rappresenta un originale bozzetto di una prova d’orchestra. Questo intermezzo si pone fra le gustose parodie dell’ambiente del teatro, originariamente fu definito “aria buffa”, ma il termine appare troppo riduttivo in quanto esso è a tutto diritto un’opera, anche se molto breve. La data precisa di composizione di questo lavoro è incerta, l’unica notizia storica attendibile a riguardo è una sua esecuzione avvenuta a Mannheim nel 1792 insieme con l’opera “L’Orlando Paladino” di Haydn. La difficoltà di documentazione riguardo “Il maestro di cappella” è il fatto che essa ci è pervenuta in un’unica copia autografa di cui è impossibile precisare la data di composizione, così come non possiamo sapere il nome dell’autore del libretto, che è vivace e colorito pur sviluppandosi tutto su un monologo. Ne scaturisce la felice caratterizzazione di un maestro di musica alle prese con un’orchestra tutt’altro che disciplinata: un unico personaggio, una voce di basso, il maestro, che è cantante e direttore allo stesso tempo e che dialoga con gli strumentisti della sua orchestra contrapponendo in questo dialogo melodie, timbri, suoni come venuti dalla sua collera quasi patetica che costituisce la comicità di tutto il lavoro. Aperto da una gioiosa Overture l’intermezzo alterna due arie e due recitativi in cui dapprima il maestro annuncia di voler eseguire un’aria scarlattina “nello stile sublime”, poi un’altra “di stile del tutto nuovo” di sua invenzione, e dà le opportune istruzioni agli strumentisti accennando egli stesso le varie parti che devono essere suonate: “L’oboe, i corni, le violette avranno ben da fare. Il violoncello, i violini, il contrabbasso a suo tempo faran maggior fracasso, attenti o miei signori, con arco ben tenuto, eseguir voi dovrete quel che dirò”. Ma in un primo momento le cose lasciano molto a desiderare poiché gli esecutori si confondono e suonano quando non dovrebbero: “Qui si manca di attenzione, no no, così non va! Pensate ch’io son qui per farvi da buffone, maledetto contrabbasso! Maledetto, maledetto! Cosa diavol si fa qui?” Inizia una serie di peripezie in cui il direttore di volta in volta discute o si complimenta con le varie parti strumentali, fino a che le cose vanno per il verso giusto, e le viole, l’oboe, il contrabbasso, il flauto e i corni suonano con maggiore impegno, giungendo così ad una animata e felice conclusione che inorgoglisce trionfalmente il candido e un po’ infantile maestro: “I violini, bravi! Flauto solo, bene! Le violette, bravi! Oboe solo, bene! Presto i corni, bravi! Bene, bravi assai! Oh che orchestra benedetta, io mi sento consolar!”.

 


 

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