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Anno 2 Numero 58 Mercoledì 14.05.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Giuseppe Verdi: “Otello”

 

di Marina Pinto

L’opera “Otello” è il penultimo lavoro teatrale di Verdi (1813-1901), tratto dalla omonima tragedia di Shakespeare, la cui lettura fu fondamentale nella drammaturgia del compositore. Tuttavia il mettere in musica una tragedia delle proporzioni di “Otello” non fu una decisione semplice per Verdi, che negli anni ’80 sembrava essere quasi refrattario a comporre nuove opere, come se avesse già detto tutto quello che aveva da dire, ed infatti la composizione del lavoro durò molti anni, dal 1879, quando fu colpito dalla bellezza del testo letterario e lo acquistò, fino al 1887, anno in cui l’opera fu compiuta e rappresentata a Milano riscuotendo un successo strepitoso.
La caratteristica di questo lavoro è nell’invenzione melodica, stupendamente viva e fresca, che porta con sé una straordinaria ricchezza di risorse che la distingue dai precedenti lavori dello stesso autore, e nell’adozione di una nuova sintassi, l’avvio di un nuovo stile compositivo che unisce il dramma intero in una struttura unitaria, dove forme chiuse e recitativi si susseguono senza soluzione di continuità, facendo così acquistare al dramma forte rilievo e spessore drammatico. Questo nuovo stile è fondato sulla fusione del momento declamato e di quello melodico, ed è questo un elemento indispensabile per garantire una coerenza fra la costante intensità degli elementi drammatici della storia e lo svolgersi del disegno musicale. La voce così si inserisce nel morbido fluire di accordi e di timbri strumentali, il discorso continuo realizza un equilibrio instabile che rappresenta un ritmo alterno di stati d’animo diversi tra loro, e genera spesso contrazioni drammatiche di intensa espressività emotiva. 
Anche i dettagli puramente scenografici assumono in quest’opera una immediata e significativa evidenza: la tempesta di mare con cui inizia l’azione scenica non è solo un particolare descrittivo, essa suggerisce il nodo fondamentale del dramma, cioè la passionalità irruente ed il geloso furore di Otello. La tempesta è un magma sonoro, in cui si ascoltano successioni cromatiche ed aggregazione di semitoni in una linea sonora vibrante ed attorcigliata, un violento stridore di dissonanze che evocano non solo il fenomeno naturale, ma soprattutto i nativi impulsi ferini del protagonista ed il suo pensiero tormentoso della presunta infedeltà di Desdemona, la musica riproduce la violenza del mare e del vento, non solo come una imitazione quasi di tipo impressionistica del rumore, essa rappresenta una realtà oggettiva, naturalistica e psicologica.
Da contrappeso al quadro della tempesta ecco il duetto di Otello e Desdemona, in cui ascoltiamo il canto amoroso del protagonista, e nel cui contesto comincia a dispiegarsi la figura e l’opera diabolica di Jago. Così sono pienamente configurati i due elementi fondamentali del dramma: l’amore e la gelosia di Otello, due elementi che si esasperano l’uno con l’altro, l’amore cresce e viene avvinto nelle spire di una assurda e furibonda gelosia, per poi placarsi e dispiegarsi nella calma e nella pace di un discorso d’amore, immerso però in un clima di doloroso sgomento, reso efficace dal timbro sfumato e cupo del fagotto e del corno inglese; ascoltiamo il tema del bacio, ricco di desiderio e voluttà che però si incrina di una sfumatura dolorosa e straziante, ancor più triste perché sottaciuta.
Otello, Desdemona e Jago sono i protagonisti assoluti della situazione drammatica: ad essi il musicista ha conferito concrete ed indicative personalità, gli altri personaggi sono solo da sfondo, l’orchestrazione è magistrale nel dare appunto rilievo nelle relazioni tra costoro e i tre protagonisti. 
Otello è un uomo che si aggira sotto un incubo, e sotto la fatale e crescente dominazione di questo pensa, agisce e soffre, fino a compiere il suo tremendo delitto. Desdemona è una fanciulla d’animo, ma è anche una sposa costretta a piangere la sua fanciullezza, è sola, senza altro aiuto che quello di un marito fuori di senno, e si avvia al sacrificio con la titubanza ed il candore di una colomba che sa dove il cacciatore si apposta. Qualcosa in lei di vagamente nordico forma un contrasto fin troppo evidente con il predestinato sposo, il suo canto si muove in una melodia semplice e nostrana combinata a leggerissimi aromi di preludi wagneriani, immettendo nella musica dell’opera un che di contemplativo e sereno, che viene violentemente mutato dall’ambiguità di Jago, il terribile vigliacco, mellifluo e viscido, dall’aria subdola ed ignara, che scappa di fronte alle malefatte ed al dolore da lui stesso provocato. E’ quest’ultimo un personaggio di categoria mefistofelica, figlio del dualismo Bene-Male, che però Verdi non può tenere a catena, nell’ombra, anche se strisciante e notturno - come si addice ad un personaggio che vuol passare inosservato - egli è protagonista come Otello e come Desdemona, è l’artefice del dolore e la guida verso il delitto.
Nella scena in cui Otello minaccia Desdemona le riprese tematiche sono intrise in un clima dove si manifesta il discorso minaccioso: Otello ha in sé il germe malato della gelosia che esce allo scoperto quando è troppo tardi per essere represso, quando il male si sta per compiere, e si spinge fino all’irreparabile, il suo canto è quasi sempre teso al grido, come espressione di una natura primitiva o di tensioni insopportabili.
Verdi presenta questo personaggio come un paradosso dinanzi ai tanti eroi delle sue precedenti opere, Otello è un reietto, un inferiore. L’eroismo che lo ha condotto ai vertici del comando militare non basta a sanare il complesso di inferiorità dovuto al fatto di essere un uomo di colore fra due bianchi aristocratici quali Desdemona e Jago; il colore della pelle per Otello è ciò che la gobba è per Rigoletto, ed egli è posto in una situazione strana, in breve tempo è gettato nei guai, è soffocato dal ridicolo, messo nel panico con un fazzoletto, si direbbe che l’autore non ha rispetto per lui, il pubblico vorrebbe insultarlo quando egli insulta la moglie innocente. Otello è stretto fra la pura malvagità di Jago e la totale innocenza di Desdemona, vale a dire fra i due tipi umani in cui si incarnano senza risvolti il male e il bene. Ma quando Otello viene al proscenio, addolorato, prostrato, con il volto scolorato dalle lacrime è come un pugile morente: le parole gli escono a sussulti, nella febbre del delirio ascoltiamo un canto che avanza a stento su note ribattute, che è soffocato dall’umiliazione. Nella seconda parte il canto si rianima, pur con la morte nel cuore, e si dispiega verso l’alto, insistente, profondamente lirico, per poi ripiombare nelle convulsioni che, approfittando di una momentanea ebbrezza, lo portano ad una gioia selvaggia, segno di una follia inesorabile e senza ritorno: in quel punto egli torna umano, in grado di riconquistare le simpatie e la pietà del pubblico.

 


 

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