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Anno 2 Numero 56 Mercoledì 30.04.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Il medioevo reinventato nel Novecento
Carl Orff e i “Carmina Burana” 

 

di Marina Pinto

Nella Germania nazista vi furono diversi musicisti di solida cultura e di buone doti, il regime li voleva inquadrati e pronti con la loro musica a sottolineare l’ideologia nazista, ma non tutti erano d’accordo: per questo motivo alcuni di loro si allontanarono dal paese e non vi fecero mai più ritorno (è il caso di Schoenberg), altri invece, per ragioni ideologiche o di dignità professionale, si autoemarginarono dal regime, e - pur rimanendo in Germania - mantennero per molto tempo un silenzio totale.
Carl Orff (1895-1982) non volle aderire a questa sorta di isolamento, anzi, con la sua musica fornì al regime opere qualificate, interpretando i criteri e le ideologie del regime stesso in fatto di estetica. Orff è un esponente di quell’indirizzo musicale nato negli anni trenta, che non coinvolse solo la Germania, ma anche altri paesi europei. Si tratta di una corrente basata sul concetto dell’immediatezza comunicativa volta a valorizzare soprattutto la parte motoria e ritmica della musica, il cuore pulsante di essa, ispirata ad un irriducibile ottimismo.
Partendo dal principio che l’arte non è un fine, Orff è contrario alle strutture complesse e non giudica interessante arricchire la scrittura, e in tutte le sue composizioni – in special modo nei “Carmina” – ascoltiamo il trionfo dell’accordo perfetto, del ritmo invariabile, dell’ostinato in valori uguali.
Così Orff si presenta nelle vesti di compositore nuovo ed esente da ogni tipo di contaminazione dodecafonica, rifiuta la crisi del linguaggio musicale e di ogni complicazione intellettuale, accetta il presente e vive dentro di esso. Da qui una musica che non conosce il dubbio né la lacerazione di un pensiero diverso, che procede affermandosi perentoriamente nella storia. L’effetto che la sua musica ha sull’ascoltatore è sicuramente di un incanto, di una atmosfera magica e lontana, e questo “effetto d’incantamento” è raggiunto attraverso la ripetizione (qualsiasi sviluppo è escluso) e l’esplosione sonora: l’orchestra comprende strumenti a tastiera, a corde, e una gigantesca sezione di percussioni dove trovano posto strumenti asiatici, africani o sudamericani di ogni sorta, a cui si aggiunge una grande e prepotente massa corale. Nonostante la povertà del pensiero musicale si resta comunque conquistati da questa musica, affascinati dallo splendore dei timbri e dalla regolarità ossessiva delle pulsazioni ritmiche. Le sonorità rare ed inconsuete danno al pubblico la rassicurante impressione di capire la musica moderna, si direbbe che per Orff l’incantesimo sia il solo modo di comunicare con il pubblico, il suo disprezzo per l’intelligenza degli ascoltatori è tale che finisce per non dare alcuna importanza alla comprensione del testo
Questi forti caratteri sono presenti nei “Carmina Burana”, una cantata profana per soli, coro e orchestra del 1937, basata su una raccolta di testi in latino maccheronico e tedesco medievale, risalente al XIII secolo, ritrovata nell’Abbazia di Benediktbeuren. In essi si racconta di uno spaccato di vita quotidiana medievale molto suggestivo, l’argomento tratta di vino, amore e divertimenti di tipo goliardico, e presenta una concezione di vita decisamente pagana. Articolata in un prologo e tre parti, l’azione si avvale di una timbrica molto chiara e di grande effetto, grazie ad una orchestrazione rinnovata e potenziata molto nella sezione delle percussioni, il coro è trattato in blocchi squadrati e privo di intrecci contrappuntistici, richiamando il carattere degli antichi “organa” medievali. Si potrebbe accostare quest’opera musicale dalle forme massicce a certe pitture e sculture del realismo del regime.
I “Carmina Burana” sono di per sé assai originali nel linguaggio e nella concezione, il loro fascino è rimasto intatto nel corso del tempo: in realtà Orff propone una ricostruzione delle atmosfere medievali molto poco attendibile dal punto di vista storico, ma di grande suggestione, e ne sottolinea l’aspetto ritmico soprattutto usando la sezione degli strumenti a percussione (timpani, xilofoni, castagnette, cimbali e piatti, gong, tamburi). Anche la dinamica offre evidenti contrasti: si alternano bruscamente pianissimi e fortissimi, creando sonorità marcate e suggestive.
Il brano più celebre dell’opera è il coro “O Fortuna”, una cantata di invocazione alla fortuna, intesa come forza misteriosa che governa il mondo e la sorte dell’intera umanità: in continua evoluzione come la luna, la fortuna è in grado di condizionare l’esistenza degli uomini, che la possono solo temere ed invocare. Il brano inizia con una fortissima invocazione del coro sostenuta dai timpani e dall’intera orchestra. Segue un pianissimo in cui le strofe seguono una melodia che si ripete sempre uguale per cambiare solo nel finale. I violenti interventi dei timpani e il crescere dell’intensità simboleggiano la potenza della forza misteriosa descritta. Il brano ha raggiunto una certa notorietà, anche perché più volte utilizzato come colonna sonora in TV e cinema.
Il brano “In taverna quando sumos”, è invece completamente diverso; il canto descrive il chiasso della folla in una osteria, l’orchestra sostiene il coro, a volte interviene, e nell’ultima strofa la musica cambia intensità preannunciando il finire del brano in un clima di euforia generale.

 


 

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