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di
Marina Pinto
Personalità possente, G.F. Handel (1685-1759) occupa una posizione importante nella storia della musica, la sua produzione musicale vanta moltissime opere, pagine strumentali, vocali, opere teatrali ed oratori. Contemporaneo e conterraneo del grande Bach, dalla Germania si trasferì in Inghilterra alla fine del 1710; fino ad allora egli aveva impiegato tutte le sue energie nel teatro, producendo opere di stile italiano, ma le polemiche teatrali che più volte lo coinvolsero, minacciando di compromettere la sua carriera, lo indirizzarono verso l’oratorio, un genere affine all’opera ma meno spettacolare e senz’altro meno mondano, che inoltre presentava il vantaggio di essere la sola forma di spettacolo autorizzata durante la quaresima.
I soggetti sacri furono congeniali ad Handel, tali da suscitare in lui il massimo della ispirazione e dell’ampiezza di respiro musicale, tutti i suoi oratori sono concepiti con una grandiosità architettonica ed un empito espressivo al culmine delle sue capacità, in una concezione religiosa e allo stesso tempo vicina agli impulsi della vita terrena.
La musica di Handel si rivolge al grande pubblico, nella composizione egli è tradizionale, la sua polifonia è semplice e la scrittura di mirabile chiarezza, gli oratori composti da lui sono drammi biblici animati da un irresistibile soffio drammatico-religioso, egli crea un tipo di oratorio inglese assolutamente nuovo, dove il coro è protagonista assoluto; fra i tanti composti spiccano diversi capolavori, come “Israel in Egypt” (1739), “Messiah” (1741), “Samson” (1743), “Belshazzar” (1745), “Judah Maccabeus” (1747), “Jephthe” (1752).
Nel 1741 esplode il “Messiah”, ben presto sfuggito dalle mani del suo autore ed entrato nella leggenda e nel mito. L’autore del testo, Charles Jennens, utilizzò passi biblici dell’usuale Prayer Book (Libro di preghiera), e suddivise l’opera in tre parti dedicate rispettivamente alla nascita di Cristo, alla sua passione, morte e resurrezione, e ad un breve ma pregnante sguardo al divenire del Cristianesimo e all’evoluzione del pensiero messianico. La composizione è divisa in tre parti, e conta 52 numeri così suddivisi: 16 arie, 1 duetto, 8 recitativi accompagnati e 5 recitativi secchi, 21 cori ed 1 sinfonia pastorale, tutto preceduto da una overture in stile francese (prima in tempo grave e poi in tempo allegro con motivi di fuga). L’orchestrazione è sobria, contenuta ed elegante, all’infuori di pochi pezzi introdotti da trombe e timpani, l’oratorio è scritto per archi e basso continuo.
Lo schema generale del “Messiah” può essere così riassunto:
Overture
Parte prima: L’avvento di Cristo (nn. 1-19)
a) profezie sulla venuta del Messia
b) nascita di Cristo
c) la notte santa di Betlemme e la Sinfonia pastorale
d) l’importanza per l’evento per l’umanità
Parte seconda: La redenzione (nn. 20-42)
a) passione
b) morte
c) resurrezione e ascensione
d) diffusione del messaggio cristiano
Parte terza: La funzione del cristianesimo nel mondo (nn. 43-52).
L’assunto del “Messiah” è la rappresentazione luminosa e quasi mai dolorante -sempre carica di umanità - del dramma del cristianesimo: la partitura è tutta pervasa da un senso di gioia di vivere, vi si ascoltano i suoni di una luminosa serenità che non viene meno neanche nei momenti di maggiore emozione del testo, l’oratorio procede speditamente senza l’apporto del narratore, l’Historicus. Handel ha rinunciato a questa figura caratteristica presente in altri oratori dandola per scontata - anche perché si suppone che gli avvenimenti narrati siano conosciuti dall’ascoltatore - ed ha preferito sottolineare gli episodi più salienti della storia attraverso un discorso biblico che procede per segmenti gli uni accostati agli altri come anelli di una catena, in sequenze preordinate di cori ed arie e scarsi apporti di recitativo: ne risulta una composizione fresca, un discorso reale come fosse una allegoria fuori del tempo e della storia. La commozione in molte pagine è vivissima, ed obbedisce sicuramente ad una sollecitazione mistica, essa è lì, ferma, ed attende che il fedele la raggiunga e la faccia propria. Alla fine del secondo atto ascoltiamo il celeberrimo “Alleluia”, splendido pezzo corale; è risaputo che re Giorgio II si alzasse in piedi all’esecuzione di questa pagina, inaugurando una consuetudine attuata ancora oggi dagli inglesi.
Nel 1759 Handel, cieco e malato, siede all’organo, per l’ultima volta, in una esecuzione di questo oratorio al Covent Garden di Londra: ottiene un successo da gran virtuoso, oltre che da grande maestro, l’orchestra ed il coro sono uniti a lui per una ultima meravigliosa esecuzione musicale.
Il “Messiah” è una magnifica saga cristiana, la cui grandiosità non esclude né grazia né tenerezza, esso non ha mai cessato di essere eseguito con successo dalla sua nascita fino ai giorni nostri. Sincera ammirazione per Handel ed il suo “Messiah” manifestarono Haydn, Mozart, Beethoven e Schumann. Anche in Italia esso ha goduto di notevole fortuna, sicuramente per il linguaggio chiaro e radioso con cui si esprime tutto il lavoro che lo accomuna a quello di altri musicisti mediterranei, quali Carissimi, Corelli, Vivaldi e Scarlatti, e cioè i rappresentanti più illustri della grande musica italiana settecentesca. Il messaggio del “Messiah” continua ad esercitare un profondo richiamo umano ed artistico, al di là della adesione religiosa, in esso – come affermò Beethoven – “c’è la verità”.
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