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di
Marina Pinto
“Il teatro alla moda” non è, come si può supporre, un’opera musicale, bensì è una “prosa satirica”, una pubblicazione che risale al 1720 e a cui l’autore deve in parte la sua fama. Benedetto Marcello (1686-1739), compositore italiano, proveniente da una illustre famiglia patrizia, affiancò l’attività di compositore a quella di magistrato, partecipò attivamente alla vita letteraria e musicale di Venezia; come compositore fu popolare già al tempo suo, lo chiamarono il “Principe e Michelangelo della musica”, famosa è la sua raccolta imponente di 50 salmi da una a quattro voci, basso continuo e con strumenti, intitolata “Estro poetico armonico”, del 1726.
Nel “Teatro alla moda” Marcello ci dà del teatro dell’epoca una visione addirittura devastante: tutti vizi e nessuna virtù. Egli, da fine letterato e musicista, legato ai valori della poesia e della musica, capisce che il desiderio di successo degli imprenditori teatrali dell’epoca, così come dei cantanti, dei compositori e dei poeti, non tiene conto dei valori base dell’arte, ma solo della spettacolarità e del riscontro soprattutto di tipo economico; nel teatro d’opera autori, interpreti, critici, pubblico, si mescolano così in un grande compromesso. Benedetto Marcello era invece sicuramente un uomo di pochi compromessi, il “Principe e Michelangelo della musica”, come già si è detto, preferiva la musica sacra e cameristica al melodramma, frequentò il teatro come compositore e librettista, ma non con molta intensità, l’opera non era il genere musicale a lui più congeniale, e la pubblicazione del “Teatro alla moda” ne è la testimonianza diretta.
Il melodramma è arrivato al terzo millennio dopo aver attraversato fiumi e foreste di fantasia, dopo aver goduto di momenti di auge e superato periodi difficili, innumerevoli traversie e modifiche si sono avvicendate nel corso di quattrocento anni, la sua nascita sappiamo risale al 1600, da “genitori” italiani imbevuti di cultura classica e sicuramente ricchi di estro creativo.
Ci fu un momento nella storia in cui l’opera invase i teatri a pagamento freschi di nascita, e si scatenò letteralmente, diventando lo spettacolo più imponente ed importante della storia della musica: vennero allora fuori i pregi e i difetti che costituiscono chiare testimonianze di personalità. In un paese come l’Italia (irrequieto, intelligente, creativo, fantasioso) soprattutto furono i difetti che fecero “moda”. E fu “moda” a tal punto che, a poco più di un secolo dalla sua nascita, ci fu chi, con arguzia, con un’ironia velata di pianto ed anche una certa amarezza da musicista puro, scrisse il geniale e significativo “Teatro alla moda”, che ancora oggi si legge con diletto, è questa una scatenata satira di un mondo artistico carico di follie, e, proprio per questo, vitalissimo, prepotente.
Nel libro osserviamo i personaggi emblematici ricorrenti in ogni momento della storia del melodramma: i librettisti, i compositori, i cantanti, le “virtuose” (le cantanti donne), l’impresario, gli strumentisti, gli scenografi, i ballerini, i sarti, i paggi, la comparse, i copisti, nessuno è risparmiato dalla penna pungente del compositore Marcello.
Scrive Marcello: “Non dovrà, il poeta moderno, aver letti né legger mai gli autori antichi, imperciocchè nemmeno gli antichi hanno letto i moderni (!). Sarà bensì provveduto di varie e moderne poesie, delle quali prenderà sentimenti, pensieri e interi versi, chiamando il furto lodevole imitazione”.
Per quanto riguarda i compositori Marcello ci racconta: “Non dovrà, il moderno compositore di musica, possedere notizia veruna delle regole di ben comportare… non si intenderà punto di poesia... non rileverà parimenti la proprietà di strumenti ad arco o a fiato, quando egli sarà suonatore di cembalo, persuadendosi di poter comporre bene all’uso moderno, senza veruna pratica del medesimo”.
Passando agli interpreti, cioè i cantanti, che Marcello definisce “i musici”: “Non è necessario che il virtuoso sappia leggere e scrivere, che pronunzi bene le parole, che bene intenda il sentimento… se potesse avvezzarsi a dire che non è in voce, ch’è tormentato da flussione, dolor di capo, di denti, di stomaco ecc. ecc., ciò sarebbe da buon virtuoso moderno… starà sempre con il cappello in testa a motivo di non raffreddarsi…”.
Le “virtuose moderne” sono fortemente additate da Marcello per il loro modo di comportarsi nell’ambiente del teatro: “In primo luogo la virtuosa moderna dovrà incominciare a recitare sul teatro prima di toccar gli anni tredici, nel qual tempo essa non dovrà saper molto leggere, non essendo ciò necessario alle virtuose correnti… La prima donna poi baderà pochissimo alla seconda, la seconda alla terza, eccetera: non l’ascolterà in scena, ritirandosi nel tempo che canta l’aria, soffiandosi il naso e guardandosi allo specchio… non leggerà mai il libretto dell’opera, imperciocchè la virtuosa non deve intenderlo punto… piangerà dirottamente all’applauso di qualunque personaggio… saprà a memoria la parte di tutti più che la sua, e la canterà fra le scene avvertendo ancora fin ch’altri canta disturbarli al possibile, facendo grande strepito”.
Una fermata e una riflessione sono di obbligo a questo punto: a seconda delle epoche il divo femmina e quello maschio si sono disputati il ruolo predominante, durante il ‘600 e il ‘700 ci fu però l’autorevole intromettersi del cosiddetto “castrato”, individuo cui una dolorosa e crudele operazione, l’evirazione, cambiava il registro vocale, in questa pubblicazione Marcello non si occupa di questi personaggi, ma ne tratterà in una altra occasione letteraria.
Ora passiamo all’impresario, un personaggio indispensabile anche ai tempo di Marcello: “Non dovrà, l’impresario moderno, possedere notizia veruna delle cose appartenenti al teatro, non intendendosi punto di musica, di poesia, di pittura… avuto dal poeta il libretto, anderà, prima di leggerlo, a visitare la prima donna pregandola di volerlo sentire…”
I “suonatori”, secondo Marcello, sono gli strumentisti: “Dovranno i violini accordar tutti insieme, non avendo punto l’orecchio a cembali o contrabbassi… oboi, flauti, fagotti, trombe saranno sempre scordati: caleranno o cresceranno”.
Scenografi: “Non dovrà, l’ingegnere o il pittore di scena, intendere prospettiva, architettura, disegno, chiaroscuro…”
Ballerini: “Ballerini diranno poco bene degli intermezzi, avvertendo di non entrar né finire mai a tempo”.
Sarti: “Termineranno gli abiti alla sinfonia dell’opera solamente, e ciò, perché consegnandoli ai virtuosi per tempo, converrebbero rifarli più di una volta”.
Paggi: “Mangeranno in scena, eccetera, e perderanno la prima sera guanti, fazzoletti, cappelli, parrucche”.
Comparse: “Partiranno ogni sera con scarpe, calze e stivaletti dell’opera, non usciranno mai tutti assieme”.
Copisti: “Le parti dei suonatori saranno sbagliate, parole, accidenti, chiavi, lasceranno vuote facciate intere…”.
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