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Anno 2 Numero 42 Mercoledì 22.01.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

La musica di Gorge Gershwin

 

di Marina Pinto

Tra gli anni ’20 e i ’30 il mondo della musica era bersagliato da tanti e diversi movimenti culturali, che portavano la cultura musicale a riflettersi come in mille specchi, le tante correnti che si erano succedute e che convivevano in Europa si incontrarono con la cultura americana, e crearono le premesse per la diffusione di una musica ancora nuova: tra il 1928 e il 1931 due giovani musicisti, Aaron Copland e Roger Session, sposarono la causa della nuova musica americana, ed istituirono una serie di concerti in cui venivano eseguiti brani di compositori americani, ed inoltre vennero fondate società di compositori allo scopo di creare un circuito alternativo. 
Il jazz era una di queste nuove correnti, e ovviamente venne introdotto dai compositori americani nella musica colta, divenendo fonte di ispirazione e mezzo espressivo al tempo stesso. Il jazz esercitò un fascino maggiore e più duraturo del folklore nero ed indiano, perché era un idioma popolare che si era diffuso rapidamente in tutto il vasto territorio americano. 
L’impiego dei moduli jazzistici da parte dei compositori americani non differiva sostanzialmente da quello dei colleghi europei, spogliato da ogni pretesa di originalità esso era un mezzo lecito come un altro per assumere un idioma popolare da parte di una tradizione colta, un operazione culturale che già era avvenuta da parte di diversi altri compositori, come per alcuni nomi russi e per l’ungherese Bartok.
Tra i nomi che valorizzarono il jazz c’è George Gershwin (1898-1937), americano di origine russa, che con celeberrime canzoni quali “The man I love”, “Liza”, “So are you”, elaborò un genere di tipo jazzistico-canzonettistico, e poi con tre lavori sinfonici che incontrarono entusiastici consensi, la “Rapsodia il blue”(1924), il “Concerto in fa”(1925) e “Un americano a Parigi”(1928), confermò un suo stile personalissimo nel campo musicale.
Queste pagine di musica si mostrano fedeli allo spirito originario jazzistico, il loro andamento rapsodico, la struttura melodico-ritmica dei temi ci riporta a ritmi sincopati che in quel frangente furono rivelatori per il pubblico, gli ascoltatori erano ormai consueti a novità musicali sempre più incalzanti, questa musica ebbe grande risonanza e si conquistò subito grande consenso ed approvazione. Le tre opere presentano il massimo sforzo da lui compiuto in campo sinfonico per affermarsi come compositore “serio”, e presentano tra loro una struttura pressoché simile: tre sezioni principali (o tre movimenti nel “Concerto”), con un tempo lento centrale (il nostalgico Andantino moderato della “Rapsodia in blue” e lo stupendo Blues grandioso in “Un americano a Parigi”) ed una coda finale in cui sono ripresi alcuni frammenti dei temi principali. Una struttura collaudata, in cui i temi, estremamente comunicativi, si avvicendano uno dopo l’altro come fotogrammi di un vivacissimo film, essi eludono un vero e proprio sviluppo, la natura filmica di queste composizioni ed il linguaggio impiegato – una astuta mescolanza degli idiomi colto, popolare e jazzistico – sono gli elementi che hanno contribuito in modo determinante all’enorme successo di pubblico riscosso da Gershwin anche nell’ambito della musica “colta”.
Gershwin è stato spesso frainteso dalla critica, che ai suoi tempi gli rinfacciò l’ambiguità della sua posizione nel mondo musicale, il porsi della sua musica con la medesima serietà nel mondo sinfonico e in quello canzonettistico; più recentemente la sua figura fu rivalutata ed interpretata sotto un profilo piuttosto sociologico, Gershwin venne ad incarnare il mito del “self-made man”, tanto come uomo di successo che come compositore, in un’epoca bramosa e al tempo stesso carente di eroi da celebrare, egli seppe forgiare di sé una figura di uno stile inconfondibile, come è la sua musica. Si tratta di una natura eccezionale, dotata di notevole spessore, egli seppe attingere dal jazz quella musicalità importante che riconosciamo nei suoi lavori, e da dove nasce la sua via musicale molto personale e autenticamente americana.
Con l’opera “Porgy and Bess” Gershwin portò per la prima volta su di un palcoscenico lirico il mondo e l’esistenza dei neri americani – è infatti appositamente scritta per cantanti neri – utilizzando soprattutto melodie popolari rielaborate, senza ricorrere a temi di derivazione europea, con un risultato formale ed espressivo di grande efficacia.
La vicenda: nel quartiere nero di Charleston, Bess, la donna del violento Crown, dopo che egli ha ucciso un uomo nel corso di una lite, rifiuta la corte di Sportin’ Life, uno spacciatore di droga, fugge e si rifugia nella capanna di Porgy, un mendicante invalido che trascorre le sue giornate su un carretto trainato da una capra. I due vivono insieme e sono felici, l’unico motivo di turbamento per entrambi è il temuto ritorno di Crown; quest’ultimo infatti ricompare, Bess non resiste al suo amore, ed abbandona Porgy. Ma la riconciliazione dura poco: una sera la donna si ripresenta da Porgy, che la perdona e le promette aiuto e protezione in ogni circostanza. Mentre si scatena un forte uragano Crown riappare all’improvviso, ed intima a Bess di tornare di nuovo con lui, ma Porgy interviene e lo uccide con un coltello: la polizia accorre ed arresta l’assassino. Una settimana più tardi Porgy ritorna in libertà, corre da Bess per rimanere accanto lei per sempre, la donna però, colta da un profondo sconforto, ha ceduto alla corte di Sportin’Life ed è andata con lui nella lontana metropoli; Porgy non vuole rinunciare a lei, monta sul suo carretto e si avvia verso Nord, con una immensa tristezza nell’anima, ma anche con tanta speranza nel cuore.

 


 

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