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Anno 2 Numero 41 Mercoledì 15.01.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Giuseppe Verdi: Aida

 

di Marina Pinto

L’opera “Aida” è un dramma ampio, a sfondo pseudo-storico, nato nel 1871, in un’epoca dove il puro e semplice teatro musicale era celebrato dal genere dell’opèra-lyrique francese, grande e festosa, con il suo fasto esotico e la sua spettacolarità, che creava una dimensione di viaggio immaginario senza la necessità di uscire dal proprio ambiente domestico.
In questo ambiente socio-musicale si inserisce l’opera “Aida”, dove è forte e prepotente il contrasto fra i due elementi estremi del dramma, la parte spettacolare e la parte intimista, che si trovano insieme ma in un totale dislivello, tanto da sconcertare lo spettatore, che si trova a farsi incantare dall’ambientazione storico-esotica tanto da disperdere la concentrazione sul dramma, oppure troppo coinvolto dal dramma umano per apprezzare il resto.
Senza dimenticare lo scheletro drammatico dell’opera, che incentra il dramma nella disperazione di Amneris per l’amore fra Radames e Aida, sono evidenti i tanti contrasti che riguardano l’amore e la gelosia, la religione e il laicismo, la fedeltà e il tradimento, e perfino i due ambienti esotici, l’Egitto e l’Etiopia. La passione segreta di Radames per Aida suscita la gelosia di Amneris, e imposta anche il contrasto fra la classe dominante egizia e quella subordinata etiope, rappresentata dalla schiava Aida e da suo padre Amonastro, il re prigioniero. Poi il tradimento di Radames in favore degli etiopi e del loro re rappresenta un giusto contrappasso fra l’oppressione egizia sul popolo etiope sconfitto, e infine l’ambiente fastoso della corte egizia, con i suoi intrighi e il suo cerimoniale marziale, che si presenta brillante e fragoroso, crea un forte contrasto con l’evocazione delle religioni lontane e misteriose dell’Etiopia, che è il vero luogo esotico dell’opera, con le sue “foreste imbalsamate” e i suoi “cieli azzurri; i due ambienti si succedono l’un l’altro, tra il secondo e il terzo atto, tra la Marcia Trionfale e la notte sulle rive del Nilo.
Nel presentare i personaggi Verdi accentua fortemente questi contrasti, i caratteri sono chiari e forti, fin dall’inizio la musica è duttile ed espressiva in tal senso: il tema ufficiale di Amneris la porge all’ascoltatore nel suo fasto di principessa, facendone un ritratto regale ma allo stesso tempo affettuoso, il tema dell’amore di Amneris suona quasi pudico, per quel tanto che di timidezza sia possibile ad una donna altera e abituata al comando, ma il tema della gelosia la mostra nella sua più vera e temibile natura: la musica è raggomitolata su sé stessa, irrequieta e tormentosa, come una belva in gabbia. Il tema della gelosia di Amneris appare in orchestra già da quando Radames, innamorato di Aida, suppone che ella lo sia: è l’inizio di tutta quella commedia degli equivoci che finirà per rivelare l’amore fra Radames e Aida; Amneris quindi non è ancora gelosa, ma scorgendo il turbamento di Radames subito lo diventa (“Oh guai se un altro amore ardesse a lui nel core!”), e il sentimento diventa vero, la musica ne anticipa gli accenti e ne prepara l’atmosfera, così, quando sopraggiunge Aida, esso si insinua nel canto e guida il duetto fra le due donne. Aida è umile nel suo ruolo di schiava avvezza a servire, conscia del proprio dovere di entrare ed uscire in silenzio, senza farsi notare, e Amneris è già sul chi va là, la sorveglia e le pone domande pericolose per studiare il suo contegno ed interpretare le sue risposte, e comincia quel gioco di una persona che parla fingendo un sentimento che è tutt’altro rispetto a quello che ha nel cuore. La musica eccelle in questa sorta di polivalenza espressiva, accompagnando le parole di frasi che altro significano per chi le ascolta e altro per chi le dice (ci sono esempi simili in opere di tutte le epoche, come in alcune opere mozartiane, dove travestimenti ed equivoci ne sono il nucleo centrale).
Ecco Amneris trapassata dal lampo del sospetto: il tema della gelosia esce allo scoperto e accompagna le sue parole, dette per sé sola (“Aida! A me rival forse saria costei?), ma subito la principessa magnanima e solenne si degna di rivolgersi con affetto ad Aida (“vieni, o diletta, appressati, schiava non sei né ancella, qui in dolce fascino io ti chiamai sorella”).
Questa scena è di mirabile impostazione psicologica, la semplicità di Aida contrasta con la doppiezza di Amneris, tanto è schietta Aida e tanto Amneris si fa cauta, trincerata dietro l’etichetta, le trappole tese dalla principessa gelosa sono in realtà grossolane, ma Aida ci casca, e la scena va avanti fino allo scoprire la verità dei sentimenti di Aida, che non si umilia davanti alla sua padrona, parla del suo amore anche se è cosciente della pericolosità delle sue parole, ma le dice, sincera e vera, per la prima volta Aida canta il proprio tema, e si rivela consegnandosi scoperta e senza riparo al sospetto di Amneris (“E’ vero…io l’amo di immenso amor…tu sei felice…tu sei possente, io vivo solo per questo amor”). La furia di Amneris prorompe violenta, il suo linguaggio melodico cambia, anch’esso diviene diretto ed immediato, con accenti e forti e gridi isolati, non più i discorsi elaborati e cerimoniosi che prima aveva architettato, la verità sanguigna colpisce la principessa come qualunque altra donna.
Poi i sentimenti privati dei personaggi diventano piccoli, timidi davanti allo sfarzoso sfondo corale, è la forza della collettività che trascina tutti, anche Aida, che pronuncia con gli altri l’empia parola: “Ritorna vincitor!”, rivolgendosi a Radames, e dalla quale frase sfociano la sua perplessità e il suo tormento, Aida è incerta ed insicura, ha paura, ed esprime con elementi intimi e passionali i suoi sentimenti, lacerata fra l’amore e la patria, una serie immensa di contrasti ed inquietudini albergano il suo cuore, il tutto sfocia in una preghiera, una melodia larga, conclusiva ed accogliente (“Numi pietà”).
Nel terzo atto si sviluppa il nodo intimista della vicenda, l’incontro fra Amonastro, Aida e Radames, e la scoperta dell’inganno e del tradimento da parte di Amneris, e c’è il nucleo esotico dell’opera, si avverte forte l’attaccamento alla patria sentita come un istinto primario, un vero bisogno dei personaggi, nel canto si rievocano gli effluvi tropicali e le suggestioni delle notti africane, mai la musica aveva espresso la patria con un senso di così terrestre animalità (“Là tra foreste vergini”). Questo luogo sognato ed immaginario si muta in un altro, altrettanto immaginario, l’oltretomba, verso il quale vanno uniti Radames ed Aida.
Con l’ultima scena Verdi tenta un colpo grosso: la redenzione del dramma nella catarsi, la sublimazione degli affetti umani ed il superamento delle traversie e degli affanni di questa terra in seno alla morte liberatrice, che unisce i due amanti in un mondo migliore. E’ il motivo che ricorre come pietosa illusione in menti ormai sconvolte (lo troviamo in altre opere verdiane e non, tanto nella “Traviata” che nel “Trovatore”), e qui è davvero affermato con positiva concretezza, la salvezza è rifiutata, la morte è voluta e cercata.
La cornice esotica dell’opera consentì a Verdi di inventare melodie singolari, tortuose ed enigmatiche, molto diverse dal suo consueto stile lineare e diretto, e di connettere queste melodie a procedimenti armonici e timbrici di infallibile suggestione.

 


 

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