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di
Marina Pinto
In occasione del Natale dedichiamo pochi minuti alla lettura di uno dei brani più famosi e commoventi che la tradizione musicale natalizia ci dona, un canto antico ma pur sempre attuale, conosciuto e cantato in tutto il mondo.
Sant’Alfonso de Liguori (1696-1787), personaggio noto alla Chiesa come teologo morale, e tra i tanti il più grande, più umano ed equilibrato. La grandezza “scientifica” della sua opera è conservata nei quattro volumi della “Teologia moralis”, a cui dedicò 40 anni di studi, e in cui spicca un carattere estremamente incline alla benignità, alla comprensione e alla tolleranza. Un tratto umano che fa onore al suo nome. e che dà tranquillità alla coscienza nell’affrontare la vita, nonostante tutto, con un po’ di ottimismo. E’ stata questa la caratteristica e la grande lezione etica di de Liguori: la fiducia in Dio e negli uomini, un tipo di fiducia e di ottimismo che si ispira a Dio quando alla durezza della legalità e del rigore si preferiscono la libertà e la responsabilità.
Sant’Alfonso de Liguori è conosciuto al grande pubblico come autore di libri di pietà o, se si preferisce, di spiritualità, piccoli libri scritti con l’intento di suscitare nella gente la confidenza, l’amore e la gratitudine verso Dio. Con questi brevi e semplici scritti egli raggiunge un gran numero di persone di ogni ceto e cultura, a cui insegnava a vivere con dignità al cospetto di Dio.
Il momento più importante e più vero per parlare dell’amore di Dio è, per de Liguori, il Natale di Gesù Cristo. Davanti al bambino Gesù Sant’Alfonso è in estasi, pieno di gioia, e manifesta tutta la sua delicatezza senza misura, lo si vede dall’atteggiamento affettuoso che assume, e che scrive nelle sue poesie natalizie.
Sono cinque poesie, la più conosciuta è “Tu scendi dalle stelle, o re del cielo”, talmente nota nella sua versione musicale che pochi sanno la sua origine e il suo autore, versi e musica sono dello stesso de Liguori.
Il primo sentimento espresso nel canto natalizio è lo stupore, innanzitutto per ciò che il santo vede: un bambino povero e tremante di freddo, sul cui volto splende quello di Dio.
Un altro sentimento di de Liguori è la tenerezza, la sua affettuosa delicatezza per il bambino, un sentimento umano, facilmente riconoscibile, comune, universale, un sentimento che ben conoscono tutti, nulla di straordinario, ma solo di straordinariamente semplice: tutti gli uomini, verso tutti i bambini, hanno sentimenti di tenerezza e di premura, e a questo proposito Sant’Alfonso scrive: “i bambini per sé stessi si fanno amare e si tiran l’amore di ciascuno che li guarda” (Discorso II dagli “Undici discorsi per la novena del S:Natale).
Ma la tenerezza si fa più profonda in un terzo sentimento, questa volta doloroso: la compassione, il sentimento legato alla croce, la cui ombra si stende già sulla culla del bambino, nella grotta di Betlemme si svolge il primo atto di una storia d’amore che si concluderà drammaticamente, e quella culla è sovrastata dall’idea della missione, del compito di cui si è fatto carico il bambino per ricondurre il mondo e gli uomini nell’ordine dell’amore.
“Tu scendi dalle stelle, o re del cielo
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui tremar,
o Dio beato
e quanto ti costò l’avermi amato!
A Te, che sei del mondo il creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m’innamora,
giacchè ti fece amor povero ancora.
Tu che godi il gioir nel divin seno,
come vieni a penar su questo fieno?
Dolce amore del mio core,
dove amor ti trasportò?
O Gesù mio,
per chi tanto patir? Per amor mio.
Ma se fu tuo volere il tuo patire
Perché vuoi pianger poi, perché vagire?
Sposo mio, amato Dio,
mio Gesù, t’intendo si:
ah mio Signore,
tu piangi non per duol ma per amore.
Tu piangi per vederti da me ingrato
Dopo sì grande amor sì poco amato.
O diletto del mio petto,
se già un tempo fu così,
or te sol bramo.
Caro, non pianger più, ch’io t’amo, io t’amo.
Tu dormi, o Ninno mio, ma intanto il core,
non dorme no ma veglia a tutte l’ore.
Deh mio bello e puro Agnello,
a che pensi, dimmi tu?
O amore immenso,
a morire per te, rispondi, io penso.
Dunque a morir per me tu pensi, o Dio,
e ch’altro amar fuori di te, poss’io?
O Maria, speranza mia,
s’io poc’amo il tuo Gesù, non ti sdegnare,
amalo tu per me, s’io nol so amare”.
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