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di
Marina Pinto
Dieci minuti di applausi hanno salutato a Milano la prima rappresentazione dell’opera di Gluck “Ifigenia in Aulide”, un’opera del 1774, ispirata alla mitica figura della figlia di Agamennone e Clitennestra, Ifigenia appunto, protagonista della omonima tragedia di Euripide.
Christoph Willibald Gluck (1714-1787), compositore tedesco, nella storia della musica si pone in una posizione importante, il suo nome è legato alla riforma del melodramma, un passo importante che portò al massimo splendore il teatro serio del XVIII secolo. L’obiettivo principale di questo grande innovatore fu quella di dar nuova dignità al melodramma, nel tentativo cosciente e sistematico di dar vita ad un dramma musicale che potesse sostenere il paragone con la tragedia greca; questo pensiero era stato già formulato dalla Camerata fiorentina gia nel 1580, ma nel tempo l’influenza del barocco aveva disperso questo pensiero, la semplicità drammatica determinata dall’unione di testo e azione era stata sopraffatta da tutti quegli abusi che all’epoca erano simbolo di ricchezza e fasto, come intrighi amorosi posti al centro di trame sempre più complesse, il virtuosismo sfrenato di cantanti, o anche una troppo docile remissività dei compositori, e dalle scenografie spettacolari presenti nel teatro del ‘600, per cui il teatro musicale aveva preso una strada ben diversa.
Fondamentale fu per la riforma l’incontro fra Gluck e il letterato livornese Raniero de’ Calzabigi, gli spunti letterari fornitigli da quest’ultimo furono i primi passi per la realizzazione di un nuovo stile teatrale che sviluppava una assoluta coerenza fra il testo poetico offerto dal librettista e la parte musicale.
Infatti nella riforma del melodramma Gluck mira ad una massima semplificazione fra poesia e musica, solo pochi temi centrali improntati ad una massima nobiltà morale e levatura di sentimenti. Per la realizzazione di un nuovo teatro era essenziale la funzione del coro, onnipresente, che partecipava all’azione o si limitava a commentarla, e che comunque sempre si articolava come parte essenziale del dramma, e di cantanti in grado di cogliere l’essenza della musica mai distante della poesia, e naturalmente arie, recitativi accompagnati da una orchestrazione raffinata e complessa, concertati, balletti, tutti organicamente legati fra loro dal discorso musicale. Gluck rinuncia del tutto ad altri elementi e ad altri mezzi che si presterebbero ad effetti drammatici di rilievo, abbandona del tutto l’ornamento vocale e qualsiasi forma di contrappunto.
Le nuove conquiste di Gluck si realizzano nelle sue opere, si maturano e si compiono in lavori come “Orfeo ed Euridice”, “Alceste”, “Paride ed Elena”, Ifigenia in Aulide”, che andò in scena all’Accadémie Royale de Musique nel 1774, alla presenza di Maria Antonietta, e che provocò il determinarsi di un partito favorevole e di uno contrario al compositore. Nacquero i “gluckisti” e i “piccinnisti”, seguaci di Niccolò Piccinni, un compositore italiano che si contrapponeva al suo stile.
Fra le opere riformate “Ifigenia in Aulide” fu presentata da Gluck come un tentativo di opera supernazionale, un lavoro che per la ricerca della melodia nobile e delicata, e per una accurata declamazione conveniente al nuovo linguaggio teatrale, offriva una musica adatta “a tutti i popoli in tutti i tempi”. In effetti quest’opera appare realmente nuova per il suo tempo, pur mantenendo certe consuetudini, come il gran balletto finale, ma fornisce un mirabile saggio di potenza drammatica, grandiosità, delicatezza e penetrazione psicologica.
La vicenda: la flotta greca comandata dal re Agamennone è pronta a salpare dall’isola di Aulide contro Troia, per vendicare il ratto di Elena, ma i venti sfavorevoli non ne consentono la navigazione: secondo il volere degli dei soltanto con il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone, la flotta potrà partire. Il re d’Argo è sconvolto dalla rivelazione: la fanciulla infatti per giungere all’accampamento insieme alla madre Clitennestra per incontrare Achille, re di Tessaglia, che le è stato destinato in sposo. Per sottrarre la figlia al suo destino Agamennone cerca di convincerla di ritornare a Micene, diffondendo la notizia dell’infedeltà di Achille; ma questi si ribella all’accusa, ed anzi conferma con forza la sincerità del suo amore, affrettando la data delle nozze. Agamennone però è deciso ad immolare la figlia, pur di placare l’ira degli dei. Ifigenia sembra rassegnata, ma l’impetuoso intervento di Achille impedisce l’estremo sacrificio. Poco a poco anche la fermezza di Agamennone si affievolisce, e l’amore paterno prevale sul sentimento del dovere; allora tenta di agevolare la fuga della figlia verso Micene, ma il popolo e i soldati non glielo consentono, e reclamano la vittima propiziatrice: invano Achille e Clitennestra si ribellano, quando all’improvviso appare Diana, a cui il nobile contegno di Ifigenia, le lacrime di Achille e le suppliche di Clitennestra hanno placato lo sdegno. Ifigenia scompare dagli occhi di tutti, e viene trasportata in una terra lontana, dove diventerà la sacerdotessa di Diana, mentre i Greci potranno partire ed affrontare la loro impresa contro Troia.
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