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di
Marina Pinto
La messa da Requiem è una composizione musicale sacra di origine molto antica, che veniva composta per accompagnare la messa in memoria di un defunto. Di solito è formata da nove brani, corrispondenti ai vari momenti della celebrazione, veniva composta dai musicisti del passato in onore di illustri personaggi.
La storia del Requiem di Mozart ha sapore di leggenda e di mistero, si racconta che gli accorati accenti che si ascoltano in queste pagine siano il presentimento che aveva Mozart stesso di scriverla per la propria morte. Fatalmente fu davvero l’ultimo lavoro del grande musicista: la morte lo colse prima di completarla, e per i pezzi mancanti intervenne la solerte perizia del suo allievo Sussmayr, che riprese gli appunti del maestro e li ricompose in modo da completarne il lavoro.
La vita di Mozart non fu facile, la sua vivace personalità poco si atteneva alle corti e agli ambienti principeschi che pure frequentava, e per cui lavorava, ma una certa vena ottimistica lo ha sempre accompagnato, il Requiem fu l’unico vero schianto della sua vita, l’unica modulazione tragica della sua esistenza. La composizione del Requiem ci dà la misura dell’evoluzione dell’artista, che non fu molto dedito al genere musicale sacro (tranne che per la Messa in Do minore, scritta dieci anni prima, e del mottetto “Ave verum”), a causa dell’impenetrabilità del dogma, che il culto rendeva sempre poco accessibile alla religiosità del compositore, e che egli trovava troppo superficiale e decorativo nella forma, quasi privo di sincerità, insomma non reale e soprattutto lontano dalla razionalità e dalla compostezza che era invece realtà nelle cerimonie massoniche.
Ma il Requiem va oltre la religiosità del suo contenuto, pur rispettando tutte le esigenze liturgiche esso trascende ogni limitazione dogmatica, per esprimersi come un personalissimo atto di fede dell’artista, in questa musica Mozart ritrova la perizia corale e contrappuntistica, l’efficacia drammatica non strettamente religiosa, ma piuttosto colma di umanità, la vita lo abbandonava a soli 36 anni, il compositore canta il suo dolore attraverso una melanconia dolcissima di parti sinfoniche e liriche, parti considerate tra le gemme più belle di tutta la sua musica.
In talune parti si coglie una tensione drammatica non dissimile da quella che ascoltiamo in alcune pagine teatrali, Mozart ci parla con fervida fiducia della redenzione, attraverso l’amore inestinguibile per un mondo migliore.
Dall’iniziale contrita preghiera dell’ “Introitus”, che invoca la pace eterna per i defunti, si eleva il soave corale “Te decet ymnus”, cantato dal soprano solista, come una blanda luce di promessa sulle tenebre della morte; nel “Dies irae” i terrori del giorno del giudizio esplodono con trepida commozione, rivelando una forza che davvero è sovrumana; tale energia si sprigiona anche in altri momenti, quali il “Confutatis”, che però tra gli orrori della dannazione apre uno spiraglio celestiale, il dolce canto “Voca me”, eseguito dalle voci femminili, cui seguono le sublimi successioni armoniche dell’ “Oro supplex”.
La terrificante maestà di Dio è comunque amore e perdono, e sorride piena di grazia nel brano sommesso di preghiera del “Salva me”, e sante e consolatrici speranze addolciscono la cupa conclusione del “Lacrimosa”, la paura del “Tuba mirum” e la fervente preghiera del “Ricordare”. Sempre e comunque la lotta disperata delle creature si placa nella certezza della pace eterna.
Così Mozart, pur stretto nell’angoscia estrema della fine, continua a vedere nella morte la “vera e migliore amica degli uomini”, grazie alla sua semplice ma fermissima fede nell’immortalità.
In orchestra prevale il timbro cupo dei corni di bassetto, gli archi si muovono di preferenza nei registri gravi, con interventi di fagotti, trombe, tromboni e timpani. In questa gamma di tonalità funeree non c’è posto per oboi né per clarinetti e corni.
L’enorme ricchezza di contenuti culturali presente in quest’opera ne spiega la grande efficacia, rimasta assolutamente inalterata fino ai nostri giorni. In Europa esso si diffuse velocemente, subito dopo la morte di Mozart, trionfò vittoriosamente al nord e nei paesi latini, più ancora delle sue opere teatrali, fu eseguito in occasioni solenni, per le onoranze funebri di Napoleone nel 1840 esso fu preferito a tutte le composizioni di autori francesi, neppure la magniloquente e grandiosa “Messa funebre” di Berlioz, del 1837, riuscì a metterlo in ombra.
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