Anno 2 Numero 53 Mercoledì 09.04.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati
 

 

LE PARETI DELLA SOLITUDINE


Teatro Fabbricone di Prato
8-16 aprile 2003
dall'opera di Tahar Ben Jelloun
regia, progetto drammaturgico Massimo Luconi
scene Jaume Plensa
musiche live Maly Dialy, Cissoko, Mirio Cosottini
costumi Paola Marchesin
luci Roberto Innocenti
con Fernando Maraghini

Dall'8 aprile al Fabbricone di Prato  "Le pareti della solitudine": un romanzo/saggio scritto con un linguaggio simbolico e poetico tra il 1975 e il 1976, e frutto dell'esperienza di Ben Jelloun come psicologo in un
centro di accoglienza per immigrati a Parigi. Quel che desta l'interesse di Ben Jelloun non è il lavoratore nella fabbrica o nel cantiere, ma quello stesso uomo fuori dalle ore di lavoro: la sera, le domeniche, i giorni festivi.
La struttura narrativa dello spettacolo - regia e progetto drammaturgico di Massimo Luconi -  riprende e sviluppa in forma poetica, non realistica, il tema della solitudine e dell'estremo malessere nello scontro tra differenti culture. Il protagonista è uno dei tanti emigranti che trascina la propria vita ed il proprio corpo in una città a lui estranea. Una persona invasa dai sogni che sopravvive grazie alla capacità di inventarsi una vita anche se fatta di chimere e nostalgia.
Quell'uomo, quell'emigrante potrebbe essere nato in qualsiasi paese, sotto qualsiasi orizzonte, poco importa la sua nazionalità.
Il percorso sonoro, musica e canto di Maly Dialy Cissoko (uno straordinario musicista senegalese che vive da alcuni anni in Italia) e Mirio Cosottini con la tromba, si intreccia con il linguaggio simbolico e poetico della narrazione; si inserisce sulla valenza sonora della parola e ne amplifica
la forza comunicativa diventando parte integrante del progetto drammaturgico. Jaume Plensa, uno dei più significativi artisti contemporanei, cura la scenografia con un allestimento che sfrutta gli ampi spazi del contenitore Fabbricone.

Per informazione 0574-608501
Biglietto: Euro 15,00 (ridotto euro 12,00) posto unico
Ore: 21,00 (domenica ore 16,00)

 

INSTALLAZIONE DI JAUME PLENSA
Nato nel 1955 a Barcellona, dove vive e lavora.
Nell'installazione di Plensa, Freud's children l'artista ha saputo coniugare tecniche tradizionali con materiali altamente  innovativi ritrovando quella sensibilità originaria e quelle sue radici legate alla civiltà africana.
Il risultato è di un'intensità tragica.
Il silenzio e il buio avvolgono l'opera, si entra in pochi e con una piccola torcia in mano.
Subito colpisce il delicato gocciolio d'acqua, in un secondo momento il fascio di luce viene attratto verso la fonte del suono. Mani diafane atteggiate a contenitori protettivi non trattengono l'acqua che scivola su di esse e le deterge. Catarsi come ricongiungimento alla propria memoria, all'invisibile. E maschere di volti strazianti e straziati. Occhi vitrei, carichi di rancore fissano punti diversi. Non trovano soluzioni alla disperazione e piangono, lacrime che bagnano i volti trasfigurati e si raccolgono in contenitori di dolore e purificazione.

 



Plensa è considerato una delle personalità più significative nel panorama artistico europeo.
Cresciuto in Spagna, dove la scultura era dominata dall'influenza di Chillida e caratterizzata da un uso del ferro con tagli, pieghe e assemblaggi, inizia ad aspirare a un linguaggio più emotivo e personale, a ricercare qualcosa di più denso, più primitivo (Plensa).
I lavori del suo esordio (1983-84) si coniugano anche da un punto di vista formale con gli eccezionali esiti della terracotta nigeriana del IX secolo.
L'artista stesso ha dichiarato il suo legame con il sud e l'appartenenza a una sensibilità che ha nell'Africa una radice originaria. In seguito ritrova questo carattere ancestrale, originario, nella tecnica della fusione: ciò che avviene è che se fai un foro nella terra e ci getti del ferro dentro, quando si raffredda già si è formato un oggetto, e questo è il principio di qualsiasi metallurgia e rappresenta ciò che di più ancestrale riesco ad immaginare. Credo di aver trovato su questo punto la via per realizzare le mie intenzioni (Plensa, 1989). La solidificazione di un magma diventa quindi metafora dell'idea di trasformazione e tutto il suo lavoro seguente, pur nella sua difformità, ripensa la scultura come luogo di trapasso, processo in cui è possibile cogliere un momento di transizione a cui l'artista sembra particolarmente interessato.
All'inizio degli anni '90 Plensa assume anche l'elemento luminoso come costitutivo della sua pratica stabilendo una sorta di continuità tra il calore imprigionato nella memoria del ferro e quello aereo della luce fisica. Nella sua prima mostra in Italia (Galleria Gentili, Firenze 1992) si assiste chiaramente al passaggio da una fase in cui la scultura rimaneva legata e vincolata alla materia a un esito di distacco e ascensione da essa: la scultura diventa luce, calore, apparizione.
I lavori successivi privilegiano un ulteriore materiale, la vetroresina, che permette un'esperienza ambigua, tra occlusione e trasparenza, tra spazio architettonico chiuso e apparizione evanescente.
Negli ultimi anni Plensa ha saputo coniugare raffinate tecniche tradizionali con esiti altamente tecnologici, elementi naturali primari con materiali avanzati. Partendo dalla considerazione personale che la scultura è il migliore veicolo verso l'invisibile e la memoria, perché permette di
riflettere le vibrazioni dei materiali, l'artista ha recuperato alle proprie opere il ruolo di contenitori protettivi del vuoto, in un silenzio alternativo al fracasso del presente, rifinendole spesso con testi o parole e raggiungendo alti valori poetici.

La fortuna critica di Plensa è testimoniata dai numerosi premi conferitigli nel corso degli anni '90: nel 1992 ha vinto il premio per le arti plastiche della rivista spagnola Ojo Critico, nel 1996 il premio della Fondation Alexander Calder, nel 1997 il Premi Nacional d'Arts Plàstiques nell'ambito
dei "Premis Nacionals de Cultura de la Generalitat de Catalunya 1997", nel 1998 Ë stato premiato dall'Associacion española de Criticos de Arte all'annuale fiera internazionale ARCO di Madrid e dal Museo d'arte
contemporanea di Palazzo Forti a Verona nell'ambito del Premio Koiné SEAT.

 

 

 

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