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LE PARETI DELLA
SOLITUDINE
Teatro Fabbricone di Prato
8-16 aprile 2003
dall'opera di Tahar Ben Jelloun
regia, progetto drammaturgico Massimo Luconi
scene Jaume Plensa
musiche live Maly Dialy, Cissoko, Mirio Cosottini
costumi Paola Marchesin
luci Roberto Innocenti
con Fernando Maraghini
Dall'8 aprile al Fabbricone
di Prato "Le pareti della solitudine": un romanzo/saggio
scritto con un linguaggio simbolico e poetico tra il 1975 e il 1976, e
frutto dell'esperienza di Ben Jelloun come psicologo in un
centro di accoglienza per immigrati a Parigi. Quel che desta l'interesse
di Ben Jelloun non è il lavoratore nella fabbrica o nel cantiere, ma
quello stesso uomo fuori dalle ore di lavoro: la sera, le domeniche, i
giorni festivi.
La struttura narrativa dello spettacolo - regia e progetto drammaturgico
di Massimo Luconi - riprende e sviluppa in forma poetica, non
realistica, il tema della solitudine e dell'estremo malessere nello
scontro tra differenti culture. Il protagonista è uno dei tanti emigranti
che trascina la propria vita ed il proprio corpo in una città a lui
estranea. Una persona invasa dai sogni che sopravvive grazie alla capacità
di inventarsi una vita anche se fatta di chimere e nostalgia.
Quell'uomo, quell'emigrante potrebbe essere nato in qualsiasi paese, sotto
qualsiasi orizzonte, poco importa la sua nazionalità.
Il percorso sonoro, musica e canto di Maly Dialy Cissoko (uno
straordinario musicista senegalese che vive da alcuni anni in Italia) e
Mirio Cosottini con la tromba, si intreccia con il linguaggio simbolico e
poetico della narrazione; si inserisce sulla valenza sonora della parola e
ne amplifica
la forza comunicativa diventando parte integrante del progetto
drammaturgico. Jaume Plensa, uno dei più significativi artisti
contemporanei, cura la scenografia con un allestimento che sfrutta gli
ampi spazi del contenitore Fabbricone.
Per informazione 0574-608501
Biglietto: Euro 15,00 (ridotto euro 12,00) posto unico
Ore: 21,00 (domenica ore 16,00)
INSTALLAZIONE DI JAUME PLENSA
Nato nel 1955 a Barcellona, dove vive e lavora.
Nell'installazione di Plensa, Freud's children l'artista ha saputo
coniugare tecniche tradizionali con materiali altamente innovativi
ritrovando quella sensibilità originaria e quelle sue radici legate alla
civiltà africana.
Il risultato è di un'intensità tragica.
Il silenzio e il buio avvolgono l'opera, si entra in pochi e con una
piccola torcia in mano.
Subito colpisce il delicato gocciolio d'acqua, in un secondo momento il
fascio di luce viene attratto verso la fonte del suono. Mani diafane
atteggiate a contenitori protettivi non trattengono l'acqua che scivola su
di esse e le deterge. Catarsi come ricongiungimento alla propria memoria,
all'invisibile. E maschere di volti strazianti e straziati. Occhi vitrei,
carichi di rancore fissano punti diversi. Non trovano soluzioni alla
disperazione e piangono, lacrime che bagnano i volti trasfigurati e si
raccolgono in contenitori di dolore e purificazione.
Plensa è considerato una delle personalità più significative nel
panorama artistico europeo.
Cresciuto in Spagna, dove la scultura era dominata dall'influenza di
Chillida e caratterizzata da un uso del ferro con tagli, pieghe e
assemblaggi, inizia ad aspirare a un linguaggio più emotivo e personale,
a ricercare qualcosa di più denso, più primitivo (Plensa).
I lavori del suo esordio (1983-84) si coniugano anche da un punto di vista
formale con gli eccezionali esiti della terracotta nigeriana del IX
secolo.
L'artista stesso ha dichiarato il suo legame con il sud e l'appartenenza a
una sensibilità che ha nell'Africa una radice originaria. In seguito
ritrova questo carattere ancestrale, originario, nella tecnica della
fusione: ciò che avviene è che se fai un foro nella terra e ci getti del
ferro dentro, quando si raffredda già si è formato un oggetto, e questo
è il principio di qualsiasi metallurgia e rappresenta ciò che di più
ancestrale riesco ad immaginare. Credo di aver trovato su questo punto la
via per realizzare le mie intenzioni (Plensa, 1989). La solidificazione di
un magma diventa quindi metafora dell'idea di trasformazione e tutto il
suo lavoro seguente, pur nella sua difformità, ripensa la scultura come
luogo di trapasso, processo in cui è possibile cogliere un momento di
transizione a cui l'artista sembra particolarmente interessato.
All'inizio degli anni '90 Plensa assume anche l'elemento luminoso come
costitutivo della sua pratica stabilendo una sorta di continuità tra il
calore imprigionato nella memoria del ferro e quello aereo della luce
fisica. Nella sua prima mostra in Italia (Galleria Gentili, Firenze 1992)
si assiste chiaramente al passaggio da una fase in cui la scultura
rimaneva legata e vincolata alla materia a un esito di distacco e
ascensione da essa: la scultura diventa luce, calore, apparizione.
I lavori successivi privilegiano un ulteriore materiale, la vetroresina,
che permette un'esperienza ambigua, tra occlusione e trasparenza, tra
spazio architettonico chiuso e apparizione evanescente.
Negli ultimi anni Plensa ha saputo coniugare raffinate tecniche
tradizionali con esiti altamente tecnologici, elementi naturali primari
con materiali avanzati. Partendo dalla considerazione personale che la
scultura è il migliore veicolo verso l'invisibile e la memoria, perché
permette di
riflettere le vibrazioni dei materiali, l'artista ha recuperato alle
proprie opere il ruolo di contenitori protettivi del vuoto, in un silenzio
alternativo al fracasso del presente, rifinendole spesso con testi o
parole e raggiungendo alti valori poetici.
La fortuna critica di Plensa è testimoniata dai numerosi premi
conferitigli nel corso degli anni '90: nel 1992 ha vinto il premio per le
arti plastiche della rivista spagnola Ojo Critico, nel 1996 il premio
della Fondation Alexander Calder, nel 1997 il Premi Nacional d'Arts Plàstiques
nell'ambito
dei "Premis Nacionals de Cultura de la Generalitat de Catalunya
1997", nel 1998 Ë stato premiato dall'Associacion española de
Criticos de Arte all'annuale fiera internazionale ARCO di Madrid e dal
Museo d'arte
contemporanea di Palazzo Forti a Verona nell'ambito del Premio Koiné
SEAT.
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