Anno 2 Numero 60 Mercoledì 28.05.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Macinatrice di grano, Museo Egizio di Firenze, calcare dipinto, antico Regno, V dinastia


 

Dea Iside, Museo Egizio di Firenze, basalto grigio, epoca tarda, XXVI dinastia, regno di Amasi

 


Maschera di mummia, Museo Barracco di scultura antica, Roma, calcare dorato, epoca tolemaica

                  

Le Donne dei Faraoni Il mondo femminile nell’antico Egitto

Bergamo, Palazzo Della Ragione fino al 29 giugno 2003 

LA SEDUZIONE, IL FASCINO ED IL RUOLO DELLA DONNA EGIZIA AL TEMPO DEI FARAONI. UN PERCORSO FRA IMMAGINI ED OGGETTI PER COMPRENDERE E LASCIARSI INCANTARE DA UNA DELLE FIGURE PIU’ IMPORTANTI DELLA STORIA. MOSTRA 

Milano, aprile 2003 – Eleganza, fascino, senso della casa e della famiglia, potere, saggezza. Sono innumerevoli i modi in cui possiamo definire le donne egizie al tempo dei Faraoni. Sicuramente uno su tutti le rappresenta in pieno: importanti. Un ritratto completo delle donne dei Faraoni, dal loro ruolo agli oggetti che hanno portato intatta la loro bellezza nei secoli, sono esposte a Bergamo, al Palazzo della Ragione, nella mostra “Le Donne dei Faraoni” che è stata inaugurata il 14 aprile e che resterà aperta al pubblico sino al prossimo 29 giugno. Oltre 600 metri quadrati di esposizione. Una raccolta che vuol essere un vero e proprio viaggio nella vita quotidiana della società faraonica, nella famiglia, nel lavoro, nelle rappresentazioni delle divinità femminili e delle regine che hanno segnato il loro tempo. Un insieme di più di 150 pezzi fra statue, monili e bassorilievi provenienti dalle collezioni più importanti dei musei archeologici d’Italia, ma anche dal Kunsthistorisches Museum di Vienna e dal Louvre di Parigi. La mostra, ideata da Enrichetta Leospo e ripresa con la cura scientifica di Maria Cristina Guidotti del Museo Archeologico di Firenze, invita alla conoscenza delle donne egizie ricostruendone l’identità attraverso gli aspetti pubblici e privati. La “Donna Dea”, quindi, che amplifica il simbolo della potenza riproduttiva dell’essere femminile, ma anche “La Grande Madre”, Iside; “La Regina”, fra cui spiccano per personalità e stile Nefertiti e Nerfertari; “Le Sacerdotesse” con il loro potere non solo spirituale ma anche politico. Il percorso ruota poi sul ruolo della donna nella vita quotidiana, in famiglia, nell’educazione, nella cura della propria bellezza. Una bellezza ricercata e sofisticata, ancora oggi presa ad esempio ed imitata dai grandi stilisti perché definita “bellezza senza tempo”. E proprio il tempo, per le Donne dei Faraoni, sembra non passare mai, come testimoniano numerose steli ed opere funerarie di bellezza pari a quella dei più famosi monumenti funebri dei consorti. E’ un viaggio nell’universo della donna egiziana, quindi, che rivive nelle sale della mostra del Palazzo della Ragione. Un invito a conoscerne le qualità, la sensibilità, la magia attrattiva, la forza seduttiva. LE DONNE DEI FARAONI Il mondo femminile nell’antico Egitto SEDE Bergamo, Palazzo della Ragione (Piazza Vecchia – Bergamo Alta) DATE 15 aprile – 29 giugno 2003 ORARI 10.00 – 20.00 (orario continuato) – giovedì e sabato 10.00 – 23.00 COSTI 8 Euro intero - 6 Euro ridotto/gruppi – 4 Euro scuole ORGANIZZAZIONE: Fondazione Ars Omnium – Milano CON IL PATROCINIO ED IL SOSTEGNO DI: Comune di Bergamo PATROCINATO DA: Regione Lombardia Provincia di Bergamo PROGETTO DELLA MOSTRA: Enrichetta Leospo RIPRESO CON LA CURA SCIENTIFICA DI: Maria Cristina Guidotti Museo Archeologico di Firenze PRESTATORI: Museo Egizio, Firenze Museo Egizio, Torino Musée du Louvre, Parigi Kunsthistorisches Museum der Staat, Vienna Museo Archeologico, Milano Museo Barracco di Scultura Antica, Roma Museo Civico Archeologico, Bologna Musei Civici di Arte e Storia, Brescia Museo Civico Archeologico “Giovio”, Como Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia Università degli Studi di Pisa Informazioni generali: 035.399503 Prenotazioni e visite guidate 035.242839  www.ledonnedeifaraoni.it

 

Iside, dea madre* † Enrichetta Leospo Nelle entità divine femminili sono proiettate, fin dalle origini del pensiero religioso e mitologico, le concezioni che stanno alla base della vita ed anche dell’organizzazione sociale. Caposaldo è l’idea dell’ordine cosmico, maat, e del suo mantenimento in un costante stato di armonia e di equilibrio. Maat, “figlia di Ra”, è rappresentata come figura femminile recante sul capo la piuma di struzzo simbolo del suo nome e si identifica con le idee di verità e di giustizia, che però servono solo in parte a definirla. In senso più ampio, essa indica lo stato di equilibrio dell’universo creato dal Demiurgo e definitivamente stabilito quella “prima volta” nelle forme e nei rapporti dei suoi elementi, dai fenomeni naturali essenziali alla vita umana, alle strutture sociali, al sentire e all’agire individuali. Alla conservazione di Maat sono volti i testi e le raffigurazioni che costituiscono parte integrante dell’architettura religiosa e funeraria, nel cui contesto si esprime la rappresentazione del mondo come proiezione dell’universo concreto e vivente. La nozione del femminile e la complementarità dei due sessi sono dunque essenziali per affermare e mantenere l’equilibrio cosmico, come dimostra d’altronde il concetto tipicamente egizio della triade divina, composta dal dio padre, dalla dea madre, sua paredra, e dal dio loro figlio. Sull’origine del mondo, degli dei e degli uomini si elaborarono fin dall’inizio del III millennio alcuni sistemi cosmogonici, che facevano capo ai grandi santuari di Eliopoli, Ermopoli e Menfi. La creazione avveniva, secondo la rappresentazione più frequente nella mitologia egizia, coll’emergere di un lembo di terra dalle acque primordiali del Nun, un aspetto del caos originario che potenzialmente conteneva in sé tutti gli elementi vitali. Sulla prima collina emersa dalle acque si stabilisce la divinità creatrice originatasi di per se stessa, la quale opera le creazioni successive. Il dio creatore varia secondo le cosmogonie: può essere Tatenen, “la terra che emerge”, oppure la dea Neith, adorata nel Delta a Sais, una delle divinità primordiali, in seguito associata a Iside, che fin dall’origine dei tempi avrebbe operato come Demiurgo, alla pari degli dei maschili Atum e Ptah. Di lei si legge nei testi che è “madre del Sole”, incarnazione dell’eterno principio femminile della vita, che ingloba in sé “tutto ciò che è stato, che è e che sarà” . La cosmogonia di Ermopoli si fonda sull’Ogdoade, formata da quattro coppie di geni a testa di rana e di serpente, che evocano gli elementi ancora indistinti, ma pure individuabili, del caos: le tenebre, le acque, l’infinito, l’indeterminato. Fecondando l’“uovo cosmico” deposto dal dio creatore sulla collina primordiale, essi causano l’apparire del dio sole. A Eliopoli il dio creatore è Atum, elemento solare di cui Ra è un’altra personificazione: egli dà origine a una prima coppia divina, costituita da Shu, l’aria, e Tefnet, l’umidità, i quali a loro volta generano una seconda coppia, Geb, la terra, e Nut, il cielo, da cui nascono Osiride, Iside, Seth e Nefti. Il gruppo dei nove dei, che insieme formano un’unica entità divina, costituisce la Grande Enneade. La figura di Iside presenta tutte le sfaccettature che caratterizzano l’idea del femminile nella sua polivalenza simbolica, una concezione che trova la sua sintesi nel Grande Inno a Iside del Papiro di Ossirinco (II secolo a.C.). Si tratta di una delle più importanti aretalogie a lei dedicate , dove sono elencati i nomi e i titoli della dea che illustrano perfettamente l’Iside Myrionymos, invocata sotto svariati appellativi che ne sottolineano l’autorevolezza e la diffusione del culto nel mondo greco-romano. Su un piano più popolare, la fortuna di Iside è legata alla sua fama di maga, che le deriva dal racconto mitologico secondo cui, per mezzo di espedienti magici, riesce a carpire al dio Ra il suo nome nascosto e con esso il segreto della sua forza. Nei testi magici è evidenziato il carattere apotropaico di certe credenze, tale il Papiro Magico conservato presso il Museo Egizio di Torino . Questa molteplicità di aspetti convergenti in un’unica figura divina sembra derivare dal sincretismo che già nell’antico Egitto aveva assimilato tra di loro varie divinità: in particolare, tra le grandi dee, Mut, Hathor e la stessa Iside, tutte accomunate per la loro predominante natura di dee madri. La figura della dea madre nella religione egizia può essere delineata in due ambiti: in una visione cosmica, come madre universale da cui dipende tutta la vita e in quello mitico-divino, come madre in seno a una triade divina. In questo senso si possono considerare quasi tutte le dee, anche se per poche tale aspetto è predominante; rientrano in questa sfera alcune dee associate con le precedenti alla nascita e alla crescita del fanciullo, per esempio Heqet come rana, Renenutet-Thermutis come serpente, Tueret, figura ibrida a testa di ippopotamo, coda di coccodrillo, zampe leonine e corpo di donna incinta, Meskhenet come donna, Mertseger come serpente e Serqet-scorpione. In entrambi i sensi Iside è la madre per eccellenza: madre di Horo (si vedano le numerose statuette che rappresentano la dea nell’atto di allattare Arpocrate, ossia Horo bambino), il dio che si incarna nel sovrano regnante, dunque madre del re e, per estensione delle caratteristiche della sua natura, madre universale. Questo ruolo è svolto da un certo numero di dee, venerate come incarnazioni delle acque primordiali e del cielo e raffigurate sotto forma di vacca. Hathor principalmente è rappresentata con questo aspetto, di cui sono reminiscenza, nella rappresentazione antropomorfa, le orecchie bovine e le corna che fanno parte della sua acconciatura. “Signora di vita”, questo potere le deriva appunto dalla sua qualità di madre universale, legata al ciclo del sole, di cui è madre e al tempo stesso figlia. Attraverso il mito dell’“Occhio di Ra”, di cui la dea è emanazione, si esprime la doppia natura delle funzioni di questa figura divina che presenta una duplice personalità, creatrice e distruttrice: selvaggia leonessa - Sekhmet - dagli occhi fiammeggianti, terrificante, che vive nei deserti orientali della Nubia divorando carne e sangue dei suoi nemici e che, ammansita da Shu e da Thot, inviati da Ra per convincerla a ritornare in Egitto, si trasforma in Hathor, più tardi assimilata a Bastet, la gatta, dea dell’amore, della gioia, della musica, della danza e dell’ebbrezza come mezzo che annulla la barriera tra l’umano e il divino. Molti erano gli oggetti simbolici e gli strumenti liturgici sacri alla dea, che le venivano offerti durante le cerimonie più importanti, secondo quanto risulta dalle testimonianze nel tempio di Dendera. Tali oggetti, collegati con le sue funzioni, alcuni dei quali si ritrovano attribuiti per sincretismo ad Iside, contribuivano ad evidenziare i poteri della dea. Alcuni di questi oggetti, come ad esempio il sistro (sesheshet e sekhem) che placa con il suo tintinnio, o la collana menat, secondo le iscrizioni, personificavano Hathor stessa, essendo il supporto materiale della dea. La clessidra, a lei associata, era necessaria per conoscere il tempo cosmico. Il mammisi, altro suo simbolo, era l’edificio dove era messo al mondo il dio figlio, guardiano e garante dell’equilibrio e dell’ordine cosmico. il vaso del latte, conteneva il liquido celeste che donava la vita ed usciva direttamente dalle mammelle di Ihet, la vacca primordiale. La brocca o vaso menu aveva un ruolo importante nel culto di Hathor, in particolare nella festa dell’ebbrezza durante la quale erano offerti alla dea vasi menu colmi di vino. L’ebbrezza, in grado di avvicinare gli uomini agli dei, era intesa in senso puramente spirituale. Oggetto hathorico per il suo significato simbolico che lo mette in rapporto con la vita e la rigenerazione, è anche lo specchio. La “danza degli specchi” è rappresentata fin dall’Antico Regno: nella tomba di Mereruka, visir di Teti, a Saqqara, in uno degli ambienti dedicati alla sua sposa Neferhetpes, detta Sesheshet, sacerdotessa di Hathor, sono raffigurate quattro fanciulle che eseguono una danza ritmata tenendo in una mano specchi con manico papiriforme e nell’altra strumenti musicali simili a nacchere, a forma di mano, anch’essi sacri alla dea, della quale accompagnavano i riti e le feste. Le danzatrici con gli specchi cercano di cogliere l’immagine della mano e dunque della dea stessa. Un ruolo analogo avrà lo specchio in una processione isiaca (la dea Iside si identifica per sincretismo con Hathor) descritta da Apuleio: alcune partecipanti al corteo reggono specchi dietro la schiena per permettere all’immagine della statua di Iside, che si trovava alle loro spalle, di riflettersi e di rendersi visibile alle sue fedeli che la precedevano. L’offerta dello specchio alle stesse divinità cui è legato per il suo significato simbolico, ha uno spazio assai ampio nella tematica religiosa egizia. Essa è rappresentata, per esempio, in una serie di specchi votivi e di stele di età saitica (VII-IV secolo a.C.), dedicati alla dea Mut, “Occhio di Ra” e “Signora del cielo”, assimilata per analogia con Hathor e Iside, dalle sue devote, addette alla cura a all’ornamento della statua divina. Nella liturgia templare, il cui obiettivo finale è la conservazione dell’armonia cosmica, allo specchio è riservata una parte di vasta risonanza simbolica nel rituale legato al ciclo degli astri luminosi: l’offerta dello specchio, spesso in coppia a indicare i due occhi di Horo, il sole e la luna, appare con significativa frequenza nei templi tolemaici e romani, in particolare in quelli consacrati al culto di Hathor e di Iside, a Dendera e a File. Al sovrano che compie il gesto dell’offerta, la divinità concede in cambio “ciò che il disco vede durante il giorno, ciò che il dio luna guarda nella notte”. Numerosi inni e preghiere a Hathor sono attestati nei luoghi di culto a lei dedicati o su stele. Dal significato di madre e di nutrice celeste che dà la vita e la alimenta si passa facilmente al concetto di rigenerazione del defunto nell’aldilà: in contesti funerari, Hathor appare come vacca che esce dalla montagna occidentale, sede delle necropoli. Anzi, si può affermare che proprio l’ambito delle credenze funerarie è quello in cui la rappresentazione di una dea madre celeste che tutto genera e che tutto accoglie ha la più ampia risonanza. Sul piano della teologia ufficiale, Osiride, il dio dei morti, ed il re morto a lui assimilato e con lui tutti i defunti, diventano figli della dea celeste. Questo rapporto sembra consolidato simbolicamente da una interpretazione sacrale della tomba e del sarcofago come grembo materno della stessa dea: Nut si protende come madre sopra il defunto riconosciuto come suo figlio e nelle formule in cui gli si rivolge gli assicura la sua protezione materna. Il modello cosmico di questa rappresentazione funeraria è il corso del sole. La dea madre procura al dio solare la vita cosmica e dunque la capacità di rinnovare costantemente il suo corso: così accade al defunto, quando entra nel sarcofago tra le braccia della dea. Nut, nelle rappresentazioni di carattere astronomico, ingoia e partorisce il sole quotidianamente. E la stessa dea appare particolarmente legata alla sfera delle origini della vita in un mito della creazione del mondo, espressa dalle figure di Nut (il cielo) e di Geb (la terra) che vengono separati dalla loro unione da parte di Shu (l’aria). Alla stessa idea di rinascita si collega l’immagine della divinità arborea, “Signora del sicomoro”, che, sporgendo il busto dal fogliame, offre il seno al defunto che ne sugge col latte l’immortalità. Il simbolismo dell’allattamento divino e il suo carattere sacro, concetti comuni al mondo agrario africano (popolazioni nilotiche e hamitiche) ed anche a quello vicino-orientale antico, sono assai sentiti ed elaborati nei riti egizi con valenze teologiche profonde: attraverso il latte divino scorre la vita, la continuità, la salute, l’immortalità. È significativo a questo proposito il fatto che nelle raffigurazioni ufficiali, fin dalle origini, il sovrano, incarnazione di Horo, prende il latte da una dea ed il gesto si ripete, oltre che nella prima infanzia, in altre due occasioni: al momento dell’incoronazione e della rinascita nell’aldilà per ricominciare un nuovo ciclo di vita.

 

LE SEZIONI DELLA MOSTRA

La Donna Dea

Fin dalle origini del mito egizio le entità femminili divinizzate rappresentano le concezioni che stanno alla base della vita e della potenza riproduttiva della donna. La nozione del femminile nella religione egizia è essenziale all’equilibrio cosmico, ai principi di ordine e armonia.
Nella Cosmogonia Nut, la volta celeste dal corpo cosparso di stelle e madre del sole, è l’incarnazione dell’eterno principio femminile della vita.

Iside la Grande Madre

E’ la figura di Iside a rappresentare tutte le sfaccettature che caratterizzano l’idea del femminile. Iside è la madre per eccellenza: madre di Horo, dunque madre del faraone, ma anche madre universale da cui dipende la vita. Sorella e sposa di Osiride, sovrano dell’Egitto, nel mito svolge il ruolo di vedova e madre. Il fratello Seth, che rappresenta il caos, uccide il sovrano e ne disperde la salma fatta a brandelli. Iside intraprende la sua lunga e pietosa ricerca per ricomporre il corpo dello sposo e, quando ci riesce, lo rianima. Allora, concepisce un figlio, Horo, destinato a salire sul trono del padre e a vendicarlo, mentre Osiride andrà a governare il regno dei defunti. Da allora, il re dell’Egitto che muore sarà Osiride e il nuovo re Horo, in un ciclo senza fine di rinnovamento della regalità. Iside dà alla luce il figlio nascosta tra la lussureggiante natura del delta del Nilo e lo custodisce dai pericoli, in attesa che cresca per rivendicare il trono del padre.

La Regina

Il legame diretto tra il quotidiano e l’idea religiosa è la figura della Regina Madre.
Le regine del Nuovo Regno ebbero nella guida del paese un ruolo primario politico e culturale, da sole o a fianco del marito. Tra gli esempi più celebri si ricorda la Regina Hatshepsut che governò da sola per diciassette anni; la Regina Teie; Nefertiti, Regina della riforma monoteistica a fianco del Faraone Akenathon; Nefertari, grande sposa regale di Ramesse II e, infine, Tausert che regnò da sola al termine della XIX dinastia

Le Sacerdotesse

Le istituzioni religiose accettavano le donne indipendentemente dal loro stato sociale e fin dall’Antico Regno si incontrano titoli sacerdotali femminili. Anche il clero ausiliario e subalterno contava una numerosa presenza femminile: le preparatrici, le custodi, le suonatrici di sistro. Le Divine Adoratrici erano le spose del dio di Tebe Amon e si dedicavano totalmente al culto del dio. Disponevano di molti beni e terre, avevano un notevole potere temporale ed esercitavano funzioni di controllo politico su Tebe e sui suoi territori

La Donna nella Società

La posizione della donna all’interno della famiglia si era trasformata dal periodo predinastico all’antico Regno e dal punto di vista giuridico era diventata uguale al marito. Alcune donne possedevano e gestivano personalmente ingenti ricchezze territoriali.
L’educazione femminile era pari a quella maschile: le donne scriba, dopo un periodo di apprendistato, potevano intraprendere la carriera amministrativa o religiosa.

Cosmesi e Bellezza

Il canone della bellezza egizia è considerato inseparabile dal carisma della persona.
Alle origini la cosmesi viveva di doppia natura: religiosa-magica e terapeutico-ornamentale. Un particolare settore del clero era, infatti, specializzato nelle scienze mediche e farmaceutiche. I cosmetici erano considerati beni di prima necessità compresi anche nelle razioni distribuite ai lavoratori.
Il valore ornamentale della cosmesi assumerà col tempo una parte fondamentale nella vita quotidiana arrivando a rappresentare in certi casi un vero valore di immagine sociale.

L’Aldilà

Anche nelle cerimonie connesse alle pratiche funerarie la donna gode degli stessi privilegi dell’uomo. Qui la rappresentazione della vita affettiva e quotidiana femminile sopravvive in bellissime opere funerarie: bassorilievi, pitture e oggetti di uso comune.
Tra le più belle rappresentazioni figurative femminili resta fra sicuramente incontrastata quella della tomba della Regina Nefertari.

 

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