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di
Anna Maria Daniele
Un caso non poco frequente, e che bisogna tenere in debito conto, quando si parte per una vacanza in aereo, è quello in cui si cancelli la partenza di un volo. Ci si chiede, allora, se il passeggero può tutelarsi contro il vettore dell’aereo per i danni patrimoniali, ma, soprattutto, per quelli psico – fisici per il mancato godimento di vacanza. Analizziamo il materiale a nostra disposizione per inquadrare la fattispecie. Il trasporto aereo viene collocato nei contratti previsti e disciplinati dagli articoli 940 e 942 del codice della navigazione, nonché dagli articoli 1218 e 1681 del codice civile. Prima di tutto, tale contratto deve essere provato per iscritto (articolo 940 del codice della navigazione). A questo fine, il biglietto di passaggio, rilasciato dal vettore, fa prova della conclusione del contratto per il viaggio indicato nel biglietto stesso. L’articolo 942 stabilisce, inoltre, che il vettore risponde del ritardo e dell’inadempimento nell’esecuzione del trasporto, a meno che non provi di avere adottato tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno. Senza dubbio la compagnia aerea, nel caso in cui non assolva l’obbligo contrattuale all’orario e al giorno prefissato, si considera inadempiente. La stessa, quindi, deve provare, per ciò stesso, che l’inadempimento è stato determinato da cause a lei non imputabili. Vale a dire che la prova deve vertere, non sono sull’assunzione da parte del vettore di un comportamento diligente, prudente o con perizia, ma, altresì, sul fatto che l’evento si è verificato esclusivamente per causa imputabile al danneggiato o a un terzo, ovvero per caso fortuito o forza maggiore. Mi spiego ancora: il vettore non solo deve dimostrare di aver adottato tutti i doveri di attenzione, cautela e di abilità propri dell’attività, ma, oltremodo, che il danno sia stato provocato da una forza esterna, determinata da un terzo o da cause naturali, che hanno condizionato il vettore contro la sua volontà, in modo necessario e inevitabile o, comunque, che si siano verificati quei fatti che eccezionalmente hanno provocato un evento il cui verificarsi appariva del tutto improbabile. La sentenza del Giudice di Pace di Palermo ( 4 ottobre del 2002) ha escluso che la sola allegazione di “problemi tecnici – operativi” potessero servire a non accogliere la domanda relativa alla responsabilità dello stesso. Il vettore, infatti, nel caso specifico, aveva ritenuto di aver adottato tutte le cautele, atte ad evitare il danno, effettuando vari tentativi telefonici, risultati vani, per avvertire i passeggeri della cancellazione del volo e della possibilità di utilizzare altri voli. Viceversa, la Cassazione (sentenza n. 12015 del 2001) ha escluso la responsabilità del vettore aereo, laddove, in ragione dell’organizzazione amministrativa del traffico nell’aeroporto, operazioni accessorie a quella oggetto del contratto di trasporto, risultavano essere organizzate in modo da essere sottratte alla sfera di ingerenza del vettore. Vale a dire che le stesse, pur presentandosi come servizio che il vettore deve procurare al passeggero, in realtà, erano svolte da soggetto diverso dal vettore, ma soprattutto non scelto da lui e pertanto considerabile non suo preposto. A prescindere dalla difficoltà di prova per il vettore, che deve essere valutata caso per caso, quello che rileva in questa sede è l’ulteriore tutela per il consumatore, che si vede facilitato in sede processuale, appunto perché esonerato dal provare la colpa del vettore. Ma le novità non sono tutte qui. Ritornando alla sentenza precedente, infatti, la Corte ha condannato il vettore al risarcimento del danno non solo patrimoniale, ( relativo a giorni di albergo pagati e non consumati etc..), ma, altresì, morale, appunto, qualificando quest’ultimo come danno da “vacanza rovinata”. Come si è arrivati a questa definizione così ampia del danno, richiede una trattazione più specifica. Il riconoscimento della voce del danno morale da “vacanza rovinata” è stato sottolineata da un’interpretazione della Corte di Giustizia del 12 marzo 2002 (causa C-168-00, riguardava l’articolo 5 della direttiva 314/90/CEE). Questa direttiva è stata recepita in Italia dal D.Lgs 111/95. In realtà, la disciplina qui riportata si riferisce a una situazione più complessa rispetto a quella presentata innanzi al Giudice di Pace. Si parla, difatti, della “vacanza e dei circuiti tutto compreso”. Questi ultimi consistono in vacanze organizzate con pacchetto turistico con almeno due prestazioni tra viaggio, soggiorni e altri servizi turistici non marginali ed accessori ai primi , con determinazione forfetaria del prezzo e durata minima non inferiore alle ventiquattro ore o tale da comprendere almeno un pernottamento. Da quanto detto, vengono esclusi dal “tutto compreso”, i casi di solo acquisto di biglietto o di solo pernottamento nell’albergo. Qui si ricorrerà alla responsabilità per inadempimento contrattuale e alla disciplina dettata in generale dal codice civile. Così, come nel caso riportato dalla sentenza del Giudice di Pace, che ha visto il solo vettore dell’aereo responsabile e l’applicazione, e del codice di navigazione, e del codice civile. Viceversa per la vacanza e i circuiti “tutto compreso”, la parte responsabile risulta l’agenzia, con cui si è stipulato il contratto in questione, e si applicherà la disciplina dettata dalla Direttiva comunitaria. Comunque, la Corte di Giustizia ha inteso parlare del “danno” non solo come danno fisico, (quali come nel caso su cui la stessa ha avuto occasione di pronunciarsi: intossicazione da salmonella causata dai pasti serviti nel club, presso il quale la famiglia danneggiata soggiornava ), ma anche come danno morale, valutandolo in stress, delusione, stanchezza, provocati dalla mancata o non goduta vacanza. La stessa Corte sottolinea, infatti, come le ferie annuali debbano considerarsi un diritto tutelabile in modo totalitario, visto il tenore di vita logorante e poco salutare, che conduce l’uomo ai giorni nostri. Secondo la Corte, per risolvere il dilemma basta interpretare la norma. L’articolo 5 ,n.2 /1°comma della stessa direttiva parla, infatti, di danno, senza ulteriore specificazione. Ma al 4° comma prevede la facoltà per gli stati membri di ammettere, per quanto riguarda i danni diversi da quelli “corporali”, che l’indennizzo sia limitato, in virtù del contratto, a condizione che non sia tale limitazione irragionevole. Si riconosce, dunque, implicitamente l’esistenza di un diritto al risarcimento dei danni “non corporali”, quindi, “morali”. È, quindi, la stessa Corte che, con un’interpretazione estensiva, ammette per gli Stati membri l’aggiunta a tutte le voci di danno, (patrimoniali, psico – fisici…), anche di quelle relative al risarcimento del danno morale. Il discorso non fa una piega, ma in realtà c’è un problema: in Italia, il risarcimento del danno morale è possibile solo se c’è una “espressa disposizione di legge” (articolo 2059 codice civile). A questo si aggiunge un’ulteriore elemento; si è, infatti, comunemente interpretato questo inciso nel senso che la risarcibilità si poteva avere solo in presenza di un reato. Vale a dire che il danno si doveva presentare come conseguenza di un omicidio, di una lesione, di una minaccia, insomma, di qualsiasi fattispecie prevista dal codice penale. Ma tale indirizzo si è già andato sgretolando negli ultimi anni. La giurisprudenza ha riconosciuto al danno non patrimoniale un’accezione più ampia, come danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica. Questo perché si è avvertita l’esigenza di garantire l’integrale ripartizione del danno ingiustamente subito non solo da un punto di vista patrimoniale, ma, altresì, da quello relativo alla sfera dei valori propri della persona, così come tutelati dall’articolo 2 della Costituzione. Ma questo cambiamento di orientamento deriva, soprattutto, dal nuovo percorso che il legislatore ha intrapreso. Si è, infatti, riconosciuta la risarcibilità del danno morale, in ambiti settoriali, a prescindere dall’esistenza di un reato ( Come per esempio in caso di danni relativi al trattamento dei dati personali (L. 675/96), nel caso di azione civile contro la discriminazione (D.Lgs. 286/98), nel caso di durata eccessiva del processo (L. 89/01), insomma in casi in cui il reato non è presente). Non da ultimo, bisogna ricordare (come già detto) l’intervento legislativo, L. 111/95, attuativo della direttiva 90/314 e la nuova e inequivocabile interpretazione dell’articolo 5 che ne dà la stessa Corte di Giustizia. E’ inevitabile, comunque, non sottovalutare il fatto che sia ancora presente l’indirizzo, secondo cui è attuale la necessità di continuare a rinchiudere in limiti oggettivi le ipotesi di risarcibilità dei danni non patrimoniali. Questo perché i paletti normativi servono ad evitare il proliferarsi di fantasiose, quanto inconsistenti, ipotesi di danno. Ma questo non scoraggia gli orientamenti a favore di un’applicazione meno rigorosa della risarcibilità del danno morale. Ecco come si spiega perché il Giudice di Pace in una sentenza, che concerneva un caso diverso da quello di “vacanza e circuito tutto compreso”, abbia, pur in assenza di un reato, condannato il vettore di un aereo, ai danni anche morali. Possiamo, dunque, stare tranquilli: la posizione di passeggeri e vacanzieri ormai è più che tutelata! Comunque, a prescindere da quanto detto, è sempre meglio una “buona e salutare” vacanza per tutti noi….e soprattutto per quelli che ci sono vicini. Buon viaggio!!!!!!!!!!!!
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