DALLA CANZONETTA ALLA PROSA LETTERARIA
LA SCUOLA BOLOGNESE E GUCCINI
di Fabio Fazio
Pur se anagraficamente appartenente alla generazione di De André e Paoli, Guccini arriva alla musica più tardi. Soprattutto perché, fin dalla giovinezza, ebbe come obiettivo primario il conseguimento della laurea presso la faco1tà di Magistero. Maestro elementare, forse per realizzare lui il sogno che suo padre non aveva realizzato, si iscrisse all'università nell'anno accademico 1958-59. Come ci racconta lui stesso: "Mi iscrissi nell'anno accademico 1958-59 alla faco1tà di Magistero di Bologna, avendo un impatto durissimo con l'università. Ricordo le prime lezioni di letteratura italiana col professor Raimondi come un muro invalicabile innanzitutto sul piano del linguaggio, ma soprattutto perché non sapevo bene né cosa né come studiare".(1)
Cito questa affermazione perché mi sembra di intravedere nell'itinerario intellettuale di Guccini la tensione di chi, partito dalla montagna, figlio di impiegato, segue un itinerario di crescita culturale che lo porterà a realizzare, infine, l'obiettivo prefissosi in gioventù: il libro. E' del 1989, infatti, la pubblicazione del suo primo romanzo: Cronache Epifaniche per i tipi di Feltrinelli. "L'idea precisa che ebbi in testa fu quella della professione di insegnante (quella segreta era di fare lo scrittore)". E la musica sembra significare per lui il mezzo. "Alla fine presi la decisione di partire militare come ufficiale, in modo da avere uno stipendio, nell'attesa di riprendere poi con serietà gli studi universitari interrotti".
La massima aspirazione del Guccini anni '60 sembra essere proprio questa acquisizione degli strumenti culturali: "Suonavo, certo, e gli amici bolognesi invidiavano questa mia libertà creativa, ma loro nel frattempo andavano avanti negli studi mentre io mi limitavo a leggere nel tempo libero. Insomma perdevo colpi, invidiavo la loro sistematicità nel farsi una formazione culturale mentre io già mi vedevo cinquantenne, consumato dalle notti nei locali, del tutto demotivato anche nella musica..."
E ancora, alla domanda: "Invidia non ne avevi vedendo il loro (dell'Equipe) successo, né rimpianti?"
"Invidia, per la verità un po' sì, ma più che altro per il contorno di denaro e di successo che li caratterizzava - in fondo io ero il solito studentello col problema degli esami da dare e pochi soldi in tasca - ma rimpianti certamente no. La scelta, come dicevo, era già stata fatta prima, e non mi sembra che ci fosse molta differenza fra una formazione da balera e un complesso beat; non riuscivo ugualmente a vedervi un futuro che mi interessasse" (2).
Asistematico negli studi, asistematico nelle letture, lettore avido: Steinbeck, Caldwell, Hemingway, l'Antologia di Spoon River, ii Kerouac di On the Road, "ma anche Paperino, il grande Donald Duck di Barks e, accanto a loro, i poeti maledetti francesi, Rimbaud, Verlaine, Baudelaire, l'antico Villon e Garcia Lorca".
Dell'Antologia di Spoon River ho già parlato a proposito di De André, ma Guccini ha anche in comune con De André la lettura dei maudits, lettura anch'essa generazionale, perché d'avanguardia o comunque modernista. La scelta di questi cantautori, insomma, cade sempre su tutti quei poeti da cui il rapporto fra scrittore e società è ritenuto profondamente problematico.
"Anche gli stilnovisti, col gioco snobistico di provarci a vicenda il loro elenco..." e le letture si ampliano: Aleph di Borges, Diario minimo di Eco, Waste land di Eliot, "ma coi corsi del professor Rizzardi a Bologna cominciai quel lavoro sistematico che fin lì mi era mancato". Allora divennero acquisizione stabile autori letti prima autonomamente: Shakespeare, Defoe, Melville, Dickens, Mark Twain, Ezra Pound, i poeti metafisici inglesi... ma anche Jerome e Woodehouse. Quanti di questi autori entrano nel testo delle canzoni del Guccini degli anni '60?
All'apparenza pochi poiché Guccini, le canzoni, le scriveva di getto, perché la canzone, come dice lui stesso, "è il fatto di un momento che serve per altri momenti. Non ci sono né trasvedenze, né messaggi; le canzoni sono cose semplici anche se si possono fare con molta serietià, come ancora spero e mi illudo di fare".
E poi perchè lo specifico della canzone è altro dallo specifico letterario. E Guccini stesso che ci dice a chi si ispirasse per le sue canzoni degli anni '60-'70: "La prima matrice è certamente quella francese: Brel, Brassens esistenziale, il folk impegnato alla Margot, Cantacronache e Fausto Amodei". Tutto questo almeno sino ad Auschwitz. "Ma Auschwitz testimonia la scoperta di Dylan e la rivoluzione globale che significò a metà degli anni '60... Mi sembra che fra la fine del 1963 e il 1964, grazie all'Equipe e a Pier Farri, che mi portarono da Londra The Freewheelin' Bob Dylan, un disco che fu un autentico sconvolgimento sia culturale che formale...
Dylan era davvero un'altra cosa. Era insieme un altro modo di vedere la vita e
un'altra musica: l'America di Berkeley e delle battaglie per i diritti civili e il finger picking... Con l'influenza di Dylan arrivarono Noi non ci saremo, L'atomica cinese, Per fare un uomo, Dio è morto, Noi e più tardi Canzone per un'amica, e Un figlio dei fiori non pensa al domani, tutte canzoni fra l'apocalittico e l'esistenziale di perfetta matrice dylaniana".
Si conferma, anche con Guccini, un concetto ben chiaro: la letteratura, quella dei poeti laureati entra casualmente e non fa parte della poetica dei cantautori, perché la canzone è un fatto di cultura popolare, e inconsciamente chi legge si accorge che l'intellettuale non è in sintonia con la massa. Ecco che lo specifico, la poetica dei cantautori ha le sue precise radici, che non affondano nel terreno che noi, per convenzione definiamo colto: Gozzano, Pascoli ecc. Quando si fa canzone si definisce, si costruisce una cultura "altra", che ha i suoi mentori in Brel, Brassens, Dylan. Oltre a queste fonti, costanti in tutti i cantautori, prettamente anglo-americane, le matrici del Cantacronache, che tanta parte hanno in Guccini. Cultura è per lui folk: le canzoni anarchiche
spagnole, "tutta quella cultura < diversa > emergente nell'élite giovanile studentesca... i cantastorie e la riscoperta delle culture locali dell'Appennino...". Difficile trovare, quindi, nella sua canzone la vena colta in senso ufficiale. Se la canzone è il fatto di un momento, se la canzone si deve mettere in sintonia con le élite giovanili, proprio le élite giovanili rifiutano le cattedre e l'ex cathedra. Guccini può, quindi, scindere la "Cultura" dalla "cultura". Solo in pieno riflusso, negli anni '80, passate le tempeste politiche, le due culture si sommeranno: nascerà allora il suo libro, la sua rivisitazione di Pavana, che avviene dopo un itinerario di purificazione attraverso la città e le tappe obbligate dei concerti di canzonette. E' un itinerario necessario per poter ritornare al paese con gli strumenti e l'animo puro e disposto. Un itinerario pavesiano, senza il "vizio assurdo" senza neppure l'ossessione dell'impegno politico perché come lui dice: "Trasgressore lo sono stato... probabilmente anarchico e rivoluzionario... con questa mia prudenza montanara... o col mio condividere totalmente le non conformiste e provocatorie osservazioni di Pier Paolo Pasolini di quegli anni... Mi sono sempre schierato a fatica, anzi, l'ho sempre fatto il meno possibile: da montanaro, da laico, pratico l'esercizio del dubbio".
Il Pasolini di quegli anni era il Pasolini "corsaro" che, sulle colonne del "Corriere della Sera", del "Mondo", dell' "Espresso" conduceva roventi requisitorie contro l'Italia che il boom degli anni '60 aveva portato a un degrado morale gravissimo, quale mai si era visto. I contadini avevano perso la loro identità, restavano le borgate con i loro valori, forse i giovani. Ma anche i valori dei sotto proletari che, nel Vangelo secondo Matteo, Pasolini aveva accostato ai cristiani delle origini, "invece di restar fermi e così, di costituire il presupposto indispensabile della rivoluzione populista apportatrice di totale palingenesi... sostituivano la scala dei valori contadini con quella consumistica".(3)
Ma anche i giovani, "i figli"(4) come li definisce Pasolini, vengono da Pasolini condannati: "Ho osservato a lungo in questi ultimi anni, questi figli. Alla fine il mio giudizio, per quanto sembri anche a me stesso ingiusto e impietoso, è di condanna". E più in là: "Io ho qualcosa di generale, di immenso, di oscuro da rimproverare ai figli... Se io condanno i figli (a causa di una cessazione di amore verso di essi) e quindi presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada per colpa mia. In quanto padre. In quanto uno dei padri. Uno dei padri che si son resi responsabili, prima del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine".(5) A ben vedere è la tematica di Dio è morto.
Le notti che dal vino son bagnate
dentro le stanze da pastiglie trasformate...
nel mondo fatto di città
[...]
nelle auto prese a rate Dio è morto
nei miti dell'estate Dio è morto.
Detto con la durezza di un linguaggio dylaniano, con immagini un po' ingenue se si vuole, ma la tematica è la stessa. E ancora:
Una politica che è solo far carriera
il perbenismo interessato, la dignità fatta vuoto
l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto...(6)
In Guccini c'è una speranza generazionale che in Pasolini non c'è più, ma i temi sono quelli: il Palazzo, la mancanza di valori, il consumismo. Non si deve, inoltre, passare sotto silenzio che uno dei valori negativi citati nella canzone è la città: "nel mondo fatto di città..." Per Guccini, sin dalle sue origini musicali, il "mito" è il paese, resta Pavana nella mente.
In questo Pasolini fu veggente: nell'essere contro il consumismo "c'è... un'idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l'idea, cioè, che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante". E ancora: "Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari... Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che ci succede nella storia dell'uomo. Tale unificazione è avvenuta sotto il segno e per la volontà della civiltà dei consumi". (7)
D'altra parte Dio è morto è una canzone civile, etica, di speranza. Sono canzoni civili, etiche, di speranza le ballate di Dylan, sono canzoni civili, di speranza i canti anarchici, i canti di protesta, i canti del Cantacronache. Sono canzoni civili le poesie di Pasolini: Le ceneri di Gramsci. Era l'atmosfera che si respirava allora. La canzone nasceva in quel substrato, lo dice Guccini stesso: "Volevo una canzone più diretta (di Noi non ci saremo), più nostra in senso generazionale, di ventenni che si affacciano a guardare con occhi critici un mondo che gli anni '60 avrebbero molto cambiato. Avevo in quel periodo scritto una lunga poesia col titolo: Le tecniche da difendere. Diceva fra l'altro: Non abbiamo tecniche da difendere. Né miti da venerare, dei ed eroi ... forse retorico, ma era quello che sentivamo". E qui bisogna fermarsi un attimo, per sottolineare come la "canzonetta", almeno in questo primo Guccini nasca da un moto spontaneo dell'animo che reagisce "sentimentalmente" su sollecitazione del quotidiano. Se continuiamo nella lettura ci accorgeremo che dal settimanale, dal quotidiano, dal problema dell'attualità, nasce l'ispirazione: "Uscì allora la rivista americana Time con una copertina che proclamava: God is dead, uno degli slogan di quel periodo. Unii le due cose, aggiungendo una speranza finale, non perché la canzone finisse < bene >, a tutti i costi, ma perché la speranza ci covava veramente".
E' una canzone che, anche nella forma, invita alla meditazione collettiva. Parte, sì, con la prima persona singolare: "Ho visto... / Mi han detto... / che questa mia generazione è preparata..." Ma si conclude con il plurale noi: "Perché noi tutti sappiamo..."
La sequenza è, inoltre, percezione (vedere, sentire, mi han detto), analisi (io penso), speranza nel futuro suffragata dalla storia ("Perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni / e poi risorge / ... Dio è risorto / ... risorto altre due volte"). Per evitare un esito miracolistico, Guccini ci dà ovviamente anche i "parametri laici" per questa seconda risurrezione: "credere, volere, fare", che detto così ricorda atmosfere cupe e passate che, benché riecheggino il" credere, obbedire, combattere", non hanno nulla a che vedere con le ideologie fasciste.
Siamo tra il 1963 e il 1964. Canzone per un'amica è sulla stessa linea di Dio è morto, malgrado il tema sia completamente diverso. La canzone è dedicata a un'amica morta in un incidente stradale, e ha un linguaggio e una sintassi semplicissimi: soggetto, predicativi, predicati verbali: "lunga e diritta correva la strada"; "l'auto veloce correva". Pochissimi i cedimenti al discorso metaforico: "il motore cantava"; "la strada è impazzita"; "il cielo di sopra è crollato". E' il linguaggio parlato tipico della ballata. Del resto il moderno
cantastorie racconta un fatto tragico, la cui tragicità non ha bisogno di alcun ornamento poetico.
Questi due testi appaiono nel primo LP, pubblicato nel 1967 Co1 titolo Folk-Beat n. 1.
Eppure, ancora in quegli anni "continuavo a sognare il mio futuro di insegnante, possibilmente di ricercatore universitario, con a lato, una discreta attività di narratore e poeta". Ma il cantastorie Guccini, nel '70, subisce una crisi di cui è prova Giorno d'estate, canzone che appare nel secondo LP nel 1970 dal titolo Due anni dopo. Due anni dopo il '67, l'anno di crisi: "C'è un anno preciso il '69..." e qui, chiunque si attenderebbe da Guccini il discorso sulla crisi di valori ideologici, politici; invece: "M'innamoro di una ragazza americana, e con lei di un senso di vita particolare, interessante, indipendente, lontano dalla norma1ità in cui sono cresciuto..." E il racconto continua, viaggio negli Stati Uniti, incontro con la famiglia di lei, coi valori dell'ideologia radicale americana: "un misto di trasgressività e di moralismo puritano..."; ritorno in Italia con conseguente sbandamento: "sento la mancanza di quel periodo di vita appena sperimentato, da comune hippie, fra trasgressione e fantasia. Mi sento mezzo americano e mezzo italiano... vivo fra nostalgia e disillusione la mia solita situazione bolognese"(9)
La solita situazione, la scontentezza di sé, il senso dell'irrealizzazione, compaiono nelle sue nuove canzoni di tipo certamente crepuscolare per ammissione di Guccini stesso: "Lo spunto: un giorno d'estate e la mia poesia crepuscolare di qualche anno prima".(10)
Analizziamolo. Verso 2: "vuote di gente son le strade in città"; è questo un tema tipico del crepuscolarismo, la proiezione della desolazione dell'anima sul paesaggio circostante, basterà ricordare 1 versi di F.M. Martini: "Mattino desolato e pien di sole"(11); o quelli di Corazzini: "Le vie piene di un grande sole malinconico".(12) E cosi pure
i manifesti son vesti di carta
che non dicono nulla
e, ancora: "giorno fatto di vuoto". Sempre a suffragare il concetto di prima, che cioè le cose sono la proiezione della nostra disperazione e solitudine, ecco ai vv. 8-9 nella canzone di Guccini:
sembrano un urlo quelle carte sui muri
sembrano un urlo quelle carte sui muri.(13)
Un'eco morettiana sembra riecheggiare in:
sembra di andare in un paese remoto
chissà se in fondo c'è la fe1icità.
Moretti nel Giardino della stazione(14) e:
E noi si va chi sa dove, poveri illusi, si va
in cerca di felicità, verso città sempre nuove;
verso l'ignoto e la sera...
E arriviamo agli ultimi due versi della canzone di Guccini:
la religiosa sonnolenza di un orto
la religiosa sonnolenza di orto.
Credo che l'orto(15) sia un'immagine tipicamente crepuscolare: un piccolo spazio verde, da contrapporre alle distese di grano, ai paesaggi dannunziani; piccolo spazio verde frutto del lavoro paziente e artigianale dell'uomo. E infatti l'orto è un'immagine che appare in Corazzini, Sonata in bianco minore: "C'è il sole nell'orto", "scendiamo nell'orto"(16) oppure "il triste orto... nudo orto" del Sonetto della Neve(17). Per non dimenticare il "rovente muro d'orto!"(18) di Montale.
Insomma, l'orto rientra in quel repertorio di immagini semplici, di cui Gozzano fu il maestro: "bellezza riposata dei solai", insomma "il ciarpame reietto" gozzaniano.(19)
"E' una delle canzoni in cui cercai di raccontare qualcosa di diverso dalle ideologie d'allora o dal fatto di cronaca... Il tentativo: un linguaggio più complesso, un'atmosfera differente da quella delle ballate che fino al momento avevo scritto".(20)
In una terza raccolta, L'isola non trovata, contemporanea al secondo LP che ho citato, continua, anzi si accentua, il crepuscolarismo, ma accanto a questi toni troviamo il viaggio, la fantasia salgariana, fors'anche Melville.
Leggiamo i primi cinque versi di Asia: la costruzione metrica è complessa, ricca di assonanze, di rime interne, come se Guccini volesse impratichirsi, per mezzo della canzone, delle lingue, dello stile "colto" in funzione dell'ipotetico libro, meta finale da raggiungere.
Fra i fiori tropicali, fra grida di dolcezza
la lenta lieve brezza scivolava.
E piano poi portava fischiando fra la rete
L'odore della sete, e della spezia.
Oltre alle rime interne, accenni di allitterazione nei versi 2: "la lenta lieve", 3: "piano poi portava" e, sempre nello stesso verso: "fischiando fra la rete".
Perché Asia? Probabilmente perché la Cina era vicina; il modello maoista imperava, era quindi facile la generazione Cina = Asia!
E comunque un'Asia abbastanza stereotipata, come ci viene tramandata soprattutto da Salgari: mare, tropici, reti, spezie; o dai racconti dei mercanti medievali: Marco Polo viene espressamente citato in fondo.
L'Asia del leone di San Marco, un leone con la spada e non il libro in pugno: un'Asia da conquistare, e non quella degli anni '90 che sta conquistando l'Occidente... L'Asia fatta di fragranze naturali, garofano, pepe, mirra, incenso e oro; l'Asia della gomma, del lavoro di chi raccoglie le materie prime: c'è anche una bella falsa sinestesia a indicare ciò: "il grido del sudore e della gomma". Un'Asia anche un po' hippie, forse. Insomma le nove canzoni dell'album sono unite "dal fil rosso dell'irrazionalità, da un salto verso altri mondi e orizzonti. C'è per la prima volta il senso di un esotismo misterioso e pervaso di letteratura..." E per Asia Guccini cita Salinger.(21)
Per capire meglio l'approccio di Guccini a questi paesaggi, a queste atmosfere, sarà bene ricordare cosa intendesse per esotismo, il romanticismo in cui questa concessione poetica ha le sue radici e a cui si rifece Gozzano stesso. Troviamo una bella definizione in Gautier: "L'on comprendra cet enivrement, cette infatuation que nous cause l'idée seule de l'Inde. Depuis notre enfance, nous avons regardé avec une curiosité avide et superstitieuse toutes les gravures, tous les dessins, tous les recueils qui se rapportent a cette mystérieuse contré où ont pris naissance, à des époques qui se perdent dans la nuit des temps et qui déconcertent toute chronologie, les théogonies, les civilisations, les sciences, les arts, les langues dont les nôtres ne sont que les effluves et les dégénérescences ".(22)
E' l'approccio che ha Salgari con l'Asia, lo stesso che ha Gozzano nel suo Verso la cuna del mondo.(23) Con lo stesso approccio Guccini rivisita l'Asia. Del resto era per lui un periodo di crisi: da qui la necessità di fuggire
dal mondo reale. Ma anche questo è nel pensiero esotico-romantico. Salgari fuggiva dall'indigenza, grazie a questo sogno, Gozzano sfuggiva alla crisi di valori e, anche, alla malattia coi suoi viaggi verso la cuna del mondo.
" Tous les écrivains de l'école (romantique) sont caractérisés par cette haine de l'age actuel; tous protestent et, ne pouvant rien changer aux choses, s'échappent dans l'histoire des siècles morts on dans des voyages aux pays étrangers.(24)
E Gozzano è l'ispiratore di L'isola non-trovata. Più che di ispirazione si deve parlare di imitazione. In che consiste la differenza tra le due composizioni? Più precisa di riferimenti geografici, storici, l'opera di Gozzano è però meno esplicita nella spiegazione del valore simbolico dell'isola. Meno esplicito nei riferimenti geografici, nei riferimenti storici, Guccini accentua due aspetti fondamentali, meglio li semplifica: il simbolismo e il mistero.
Sintomatici i titoli La più bella(25), Gozzano; L'isola non-trovata, Guccini; la sincresia dei titoli dà la chiave di lettura: la cosa più bella è quella non-trovata, l'utopia, "le rose che non colsi". I primi quattro versi, sono uguali:
Ma bella più di tutte l'Isola non-trovata
quella che il re di Spagna s'ebbe da suo cugino
il re di Portogallo con firma suggellata
e bulla del Pontefice in gotico latino.
Al verso 5-6 i primi cambiamenti:
L'Infante fece vela per regno favoloso
vide le Fortunate, Iunonia, Gorgo, Hera
diventa in Guccini:
Il re di Spagna fece vela
Cercando l'isola incantata
e continua Gozzano:
e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso
quell'isola cercando... Ma l'isola non c'era
e in Guccini, più semplicisticamente:
Però quell'isola non c'era e mai nessuno l'ha trovata.
Specifica Guccini, deviando da Gozzano, che si sofferma al termine della prima stanza su meditazioni di tipo storico:
con pace del Pontefice l'isola si nasconde
e Portogallo e Spagna la cercano tutt'ora.
Salì di prua della galea
Come una splendida Utopia
E andata via, non tornerà.
A parte il termine erudito "galea" che echeggia "le galee panciute a vele tonde" del verso 9 di La più bella, c'è da notare che qui Guccini chiarifica subito il simbolo: un' "Utopia"; mentre Gozzano, nella seconda strofa, continua il gioco dell'ambiguità, affermando:
L'isola non esiste. Appare talora di lontano
tra Tenerife e Palma, soffusa di mistero.
Il mistero appare anche in Guccini quando riprendendo il verso 17 di Gozzano "La segnano le carte antiche dei corsari", dice "E antiche carte di corsari portano un segno misterioso" e il "mistero" diventa "superstizioso" un po' più in là:
e parlan piano marinai
con un timor superstizioso
di eco salgariana e/o stevensoniana.
E ancora Guccini:
Nessuno sa se c'è davvero
od è un pensiero
se a volte il vento ne ha il profumo
è come il fumo che non prendi mai.
Più crudo e realistico è Guccini, più attenuato dalle citazioni, dalle descrizioni di paesaggi si mostra invece Gozzano:
Radono con le prore quella beata riva:
tra fiori mai veduti svettano palme somme,
odora la divina foresta spessa e viva,
lacrima il cardamono, trasudano le gomme...
S'annuncia col profumo, come una cortigiana,
l'Isola non-trovata... ma se il piloto avanza,
rapida si dilegua, come una parvenza vana,
si tinge dell'azzurro color di lontananza...
La chiave può essere, una per tutte, nel verso:
se a volte il vento ne ha il profumo
è come il fumo che non prendi mai
mutuato da quello più ironico di Gozzano: "S'annuncia col profumo come una cortigiana, l'Isola non-trovata... parvenza vana".
Neanche Guccini però sa cedere, in chiusura come Gozzano, al bellissimo verso pascoliano(26) "Si tinge dell'azzurro color di lontananza" che in Guccini diventa "Tingendosi d'azzurro color di lontananza".
L'analisi rivela che cambia il pubblico a cui i due si rivolgono e di cui sono portavoce.
Gozzano rappresenta la borghesia liberale medio-alta, di cultura medio-alta; cantava la perdita di valori di un mondo sabaudo-aristocratico, cercando di mantenere quel distacco che solo la sua cultura gli poteva permettere. Fallita la letteratura, falliti gli ideali dannunziani, se progresso voleva dire regresso di valori, tanto valeva cantarli questi valori o servirsi della letteratura per rifugiarsi in altri mondi o tempi. Poesia d'élite che era attenta alle nuove esperienze pascoliane e dannunziane, difficile perché nella sua prosaicità adombra riferimenti colti che vanno da Dante a Leopardi, da Pascoli a D'Annunzio, che accettava con dignità la sorte e la morte prossima ventura.
Il sanguigno Guccini, sanguigno come la sua terra, figlio della montagna e dei canti popolari, delle ballate anarco-dylaniane, portavoce di una piccola borghesia di cui è figlio, a disagio in un mondo che cambia, ma soprattutto non ancora cosciente delle scelte da fare, con una cultura certamente meno profonda di quella di Gozzano, che mai ebbe a dover lavorare per mantenersi alla vita, subìto il fascino dei primi versi gozzaniani, va più sul pratico.
E cosi perché la gente per cui canta deve capire, non può dedicarsi al gioco intellettuale dell'ironia e al gusto della scoperta delle citazioni. E allora è più crudo, più disperato, più montanaro e meno avvocato.
In Elementi letterari nei testi dei cantautori italiani, tesi di laurea, Università di Ge-nova, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. Luigi Surdich, anno accademico 1989-90.
1 In Guccini, a cura di Massimo Bernardini, Muzzio, Padova 1987, p. 13.
2 Queste citazioni e le seguenti in Guccini...
3 A. MORAVIA, Prefazione, p. XXII, in P. P. PASOLINI, Una vita violenta, Garzanti, Milano 1976.
4 In P. P. PASOLINI, Lettere luterane, Einaudi, Torino 1980, p. 5.
5 Ibi, pp.6-7.
6 Ibi, p.83.
7 P. P. PASOLINI, Lettere luterane...; i due nomi sono rispettivamente alle pp. 12, 11 del testo.
8 In Guccini..., p. 83.
9 Ibi, p. 23.
10 Ibi, p. 28.
11 F. M. MARTINI, Anniversario.
12 S. CORAZZINI, Toblak.
13 In Guccini..., p. 88.
14 M. MORETTI, Il giardino delle stazioni.
15 Per l'immagine dell'orto cfr. E. SANGUINETI, Guido Gozzano, Einaudi, Torino 1975, in particolare i capitoli "Nel parco", pp. 61-71, e "Poetica e poesie di Gozzano", pp. 175-184.
16 S. CORAZZINI, Sonate in bianco minore.
17 ID., Sonetto della neve.
18 E. MONTALE, Meriggiare pallido e assorto
19 G. GOZZANO, La Signorina Felicità, ovvero la felicità.
20 In Guccini..., p. 87.
21 Ibi, p.23.
22 In Gozzano, a cura di Giusi Baldissone, UTET, Torino 1983, p. 463, n. 2.
23 G. GOZZANO, Verso la cuna del mondo, in Gozzano..., pp. 659 e seguenti.
24 Ibi, p. 663, n. 2.
25 Ibi, pp. 322-323.
26 Ibidem, nota al v. 28.