Con questa lettera, datata al primo
luglio del 1837, Antonio Ranieri annuncia a Fanny la morte
di Giacomo Leopardi.
Napoli, 1 luglio 1837.
"Mia cara Fanny,
La specie di dolore ch'io sento non fu mai sentita da
nessun uomo, perché mai non fu e mai più non sarà fra gli
uomini un'amicizia uguale a quella che mi stringeva al mio
adorato Leopardi. Il vòto immenso, infinito ch'io sento
nel mio cuore non sarà potuto mai più compiere, perché
degli ingegni simili a quello del Leopardi ne comparisce
uno ogni tanti secoli sulla terra. Com'è possibile, Dio
mio! com'è possibile di non credere al male in questo
infausto pianeta, se Iddio, o il caso, o il fato, o
qualunque sia questo potere cieco e tirannico che ci
governa, ha potuto consentire che si desse al mondo un
amore, una necessità simile a quella che era fra Leopardi
e me, e che uno di noi fosse condannato a sopravvivere
all'altro! Ahi, mia cara Fanny, ho fatta la tremenda
esperienza d'una grande eccezione a una grande regola!
Tutto al mondo, il male come il bene, è nello effetto al
di sotto di quel che fu nella immaginativa che lo
presuppose, salvo il dolore della perdita dei nostri cari,
che nell'effetto è al di sopra di quanto potette ne' suoi
più strani delirii immaginare la più fervida e
sperimentata fantasia!
Leopardi è mancato all'Italia, anzi a tutto il mondo
civile, d'una idropisia di cuore che da gran tempo lo
minacciava, e incontro alla quale sono stati invano tutti
i rimedi che era possibile ai mortali di adoperare. Egli
mi spirò fra le braccia mentre eravamo per muovere per la
campagna, mercoledì 14 di giugno a ventun'ora, non
credendo insino all'ultimo istante di dover passare,
finché un secondo prima non mi disse: Addio, Antonio, non
veggo più luce. Io gli accompagnai il polso che salì
lentamente, finché fu spento, gli collai le mie labbra
sulle sue, che già fredde non risposero più ai miei baci,
e così mi persuasi che non era più. Benché gettato di
ferro dalla natura, se la peste non mi ricongiunge tosto
all'amico, la mia salute non risorgerà mai più da questo
colpo.
Potete immaginare quale terribile sforzo mi sia dovuto
costare in quel primo assalto del dolore il dover
provvedere al modo di salvare la sua onorata spoglia dalla
confusione universale, ora che per legge austera ed
inviolabile tutti i cadaveri de' colerici e non colerici
debbono essere trasferiti al Camposanto, che ministri di
Stato e personaggi quanto si voglia altissimi, morti o non
di colera, sono precipitati in un fosso tra le migliaia...
Io non so in qual remota parte dell'anima mia io trovai la
forza di ravvolgermi tutta quella notte orribile, e
l'altra più orribile ancora, per la, città, e d'ottenere,
o più tosto di riuscire a viva forza nell'intento che la
spoglia adorata, chiusa in una splendida cassa con quella
pompa che le condizioni del tempo consentivano, fosse
trasferita nella chiesa di San Vitale l'uori la Grotta
detta di Pozzuoli, dove, custodito in una sepoltura a
parte, gli sarà fra poco rizzato un monumento, e le sue
ossa riposeranno appresso a quelle di Virgilio e di
Sannazzaro. Cara Fanny, vi basti sapere che la notte del
15 al tocco fu dovuta dare sotto la lugubre Grotta una
specie di battaglia ordinata, non al tutto innocente, che
finalmente l'oro divise.
A questo dolore era destinato io dopo sette lunghi anni
d'una specie di corrispondenza direi quasi più che umana
con questo ingegno divinissimo, accanto al quale passava
tutto il dì e grandissima parte della notte a discorrere
le più sublimi ragioni della filosofia, della storia, e di
qualunque cosa v'ha o vi fu tra gli uomini di bello o di
grande. Ma quando seppi e vidi e messi con queste mie mani
la sua spoglia in salvo, le forze mi abbandonarono. Mi
ritrassi in un sobborgo della città dove ho creduto a
questi ultimi dì che insieme con le forze volesse
abbandonarmi la ragione. Perché mi sorprendo spessissimo a
vederlo e udirlo accanto a me, e parlargli (né vi racconto
già favole) come a persona viva e vera.
Addio, mia cara Fanny, vi scrivo da una città confusa e
desolata, dove tutto ciò che ti circonda è morte e lutto.
Siamo a duemila casi il dì, e i morti in proporzione, dico
la sola città senza i contorni; e non crediate a giornali.
Il male cresce sempre, e la strage incredibile fra la
quale mi trovo, che farà in breve crescere l'ortica lungo
Toledo, è una spezie di fiero conforto al mio cuore
sdegnato degli uomini e della divinità o di qualunque cosa
o si vede o s'immagina. Addio. Ho scritto per ora una
breve notizia di quell'altissimo ingegno, che ho mandato
al Progresso. Addio. Scrivetemi.
Il vostro disperato
A. RANIERI .
PS. D'Aquino venne a vedermi pochi dì sono, e il dì stesso
morì in tre ore di colera .
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