Pablo Neruda Sono andato segnando con croci di fuoco l’atlante bianco del tuo
corpo. La mia bocca era un ragno che passava nascondendosi. In te, dietro te,
timoroso, assetato. Storie da raccontarti sulla riva del crepuscolo bambola triste
e dolce, perché non fossi triste. Un cigno, un albero, qualcosa di lontano e di
felice. Il tempo dell’uva, il tempo maturo e fruttifero. Io che vissi nel porto da
dove ti amavo. La solitudine attraversata dal sogno e dal silenzio. Rinchiuso tra
il mare e la tristezza. Silenzioso, delirante, tra due gondolieri immobili. Tra le
labbra e la voce, qualcosa va morendo. Qualcosa con ali di passero, qualcosa
d’angoscia e d’oblio. Così come le reti non trattengono l’acqua. Bambola mia,
restano appena gocce che tremano. Tuttavia qualcosa canta tra queste parole fugaci.
Qualcosa canta, qualcosa sale fino alla mia avida bocca. Oh poterti celebrare con
tutte le parole della gioia. Cantare, ardere, fuggire, come un campanile nella mani
di un pazzo. Triste tenerezza mia, cosa diventi d’improvviso? Quando sono giunto al
vertice più ardito e freddo il mio cuore si chiude come un fiore notturno.
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