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TRISTAN da CUNHA,
piccolo Mondo Antico
Il Com.te Cortassa è partito per il suo ultimo viaggio nel Gennaio del 2003. Questo vuole essere un affettuoso ricordo alla sua memoria di uomo di mare
Sul
ponte di Comando, in Timoneria; sono le sei del mattino del 5
Febbraio, tutta la ”guardia” al proprio posto; la nave procede più
lentamente ora, perché le motrici stanno riducendo i giri a “regime di
manovra”. Incomincia
ad albeggiare, lontano sull’orizzonte, di poppavia; una
luce livida invade lentamente ogni cosa. ed illumina un cielo caotico,
congestionato da nubi basse cariche di pioggia; una nuvolaglia sporca e
grigiastra si estende di prora; la visibilità é limitata dalla bruma
mattutina. Vento gagliardo e mare agitato da
tramontana/maestro, onde lunghe, oceaniche, di un colore plumbeo in armonia
con il colore del cielo, col quale si confondono e si mischiano, solcate da
striature biancastre di spuma
sollevata e trasportata dal vento. L’Isola
ancora non si vede !
Niente
voli di “albatros”, o di “gabbiani”, o di. “procellarie” o di
qualsiasi altro uccello. pelagico in quel pallido cielo aurorale, denunciano.
la vicinanza della terra; niente “cintura
di alghe”, come diceva il “Portolano” e come é indicato sulla carta
nautica con strani geroglifici, in quel mare scuro e ribollente Il
silenzio che circonda le persone sul Ponte rotto soltanto dallo stessa atmosfera surreale di quel mattino invitano la fantasia
a delle divagazioni.
Qualche
giorno prima un certo Colonel Kirk, nostro passeggero nonché “globe—traveller”
e conferenziere dei vari “travel—talks”
tenuti a bordo nel corso
di questa “African Safari Cruise”, mi aveva fornito vecchi opuscoli, ritagli
di giornale, stralci ed informazioni su quella remota e desolata isola di
Tristan da Cunha e sui suoi ancora più
solitari abitanti. Come in una rapida successione di “flashes”, le
cose lette su quei ritagli e
su quegli opuscoli macchiati dal tempo mi attraversano fugacemente la mente, suffragate
da un certo sentimento di muta ammirazione e dal desiderio di appagare
la curiosità. Ci
sarà davvero quest’isola? Quasi
a metà strada tra Cabo de Hornos ed il Capo di Buona Speranza, tra Cape Town
e Montevideo e La Plata, questa conica isola vulcanica, con solo un centinaio
di chilometri quadrati di superficie e circa sette miglia di diametro, che
s’innalza dall’abisso oceanico
fino a
sovrastare la superficie del mare di oltre duemila metri, fu scoperta, nel
lontano 1506, da un “vagabondo” ammiraglio portoghese di nome Tristao
da Cuña ; da allora tutta la
sua storia è storia di navi, di
velieri, di “clippers”
e dei loro intrepidi ed ardimentosi marinai. Al
limite settentrionale dei “quaranta ruggenti”, i “roaring forties” che
incutevano un timoroso rispetto ai naviganti di allora, sulle rotte marittime
battute dai bastimenti “sottovela”, quest’isola, per la presenza di
numerose fonti di acqua sorgiva lungo le sue falde e di acqua piovana proprio
nel cratere del vulcano, per buona parte dell’anno coperto da un manto di
neve, costituiva un buon punto di approvvigionamento, di appoggio, di rifugio
o ridosso che serviva anche ad interrompere la monotonia dei lunghi viaggi
attraverso la fascia delle ”Horse-Latitudes” e dei “Doldrums”
equatoriali. Fu esplorata nei 1643 dagli Olandesi e nel l767 rivisitata dai Francesi, unitamente agli scogli satelliti di. “Nightingale”, "Inacessible”, “Middle” e "Sto1tenhoff", tutti nel raggio di venticinque miglia nautiche dall’isola-madre di Tristan. Un certo Capt.Patten, della nave americana “Industry” e parte del suo equipaggio vi risiedettero temporaneamente, nel 1790-9l, allo scopo di raccogliere pelli di foca. Nel 1811 il Capt.ing1ese Heywood, di passaggio da que11e parti, vi trovò un certo Jonathan Lambert, di Salem, Massachusetts, filibustiere di professione che, il 4 Febbraio di quell’anno, con un editto assai curioso, si era autonominato ”proprietario dell'isola"; fu lui comunque a dissodare, per la prima volta, un pò di terra ed a gettare le prime sementi fornitegli, pare, da un alto funzionario consolare americano di Rio de Janeiro. Magli affari gli andarono male e ben presto scomparve dall'isola.
Soltanto
il 14 Agosto del 1816 le “truppe da sbarco” del Vascello di Sua Maestà
Britannica “FALMOUTH” presero possesso formale dell’isola in nome della
Corona Britannica, ed ivi
lasciarono una piccola guarnigione: un distaccamento di artiglieri con compiti
di vigilanza anche sull’Aquila Imperiale Napoleonica che, dall’isola di S
.Elena ben 1500 miglia più a nord, forse incuteva ancora qualche apprensione ! Tra
di loro v’era anche il caporale, cannoniere di marina, William
GLASS, al quale, quando la guarnigione fu ritirata dall’isola nel 1821 -
l’Aquila aveva ormai reclinato il capo — fu “data licenza per rimanere”,
unitamente ad altri due
" cannonieri - muratori ”, allo scopo di presidiare Tristan e di
iniziarne una colonizzazione permanente; sopravvissero,
grazie al loro stoicismo ed abnegazione, barattando
pelli e grasso di foca, vendendo pesce fresco e rifornendo d’ acqua
dolce le navi di passaggio. All’esiguo
nucleo si aggiunsero altri, prima fra tutti la moglie di W.Glass, una mulatta
sudafricana, e poi arrivarono pescatori di
balene, cacciatori di foche e pinguini, marinai ammutinati ed esiliati, chi per
stabilirvisi definitivamente, chi solo di transito. Nel
1826 vi giunse. un temerario inglese di nome Thomas
SWAIN, ex marinaio di Nelson, disertore e rinnegato che combatté contro il
proprio paese al fianco dei Francesi, fu catturato, punito ed esiliato a Tristan;
Pieter Willem Groen, olandese, ribatezzato Peter
GREEN, giunto nel 1836 con la goletta “Emily of Stonington” battente
bandiera americana; sempre nel
1836, arrivò Joshua ROGERS, di professione cacciatore di balene; nel 1849
il capitano di una baleniera americana , del New England, Andrew
HAGAN, che aveva impegnato tutto il suo patrimonio nell’organizzazione di
una “stagione di caccia", manifestatasi assai poco redditizia, cedette il
comando della nave al suo “ 1mo scrivano.” e prese terra su Tristan abbandonando l'impresa
ed il suo denaro. Infine
due italiani, da Camogli, la “città dei mille bianchi ve1ieri” del XIX°
Seco1o, Gaetano LAVARELLO ed Andrea
REPETTO, vi giunsero, nel 1892, con il brick
"ITALIA”: pare avessero un carico di carbone in lenta
autocombustione nelle stive : salvarono l ‘equipaggio,
affondarono la nave e
scesero a terra.
Glass,
Swain, Green, Rogers, Hagan, Lavarello e Repetto,
solo sette cognomi, sette capostipiti delle discendenze presenti sull’isola,
ove ancor oggi quasi tutti portano uno di quei nomi.
Da parte femminile, le prime “colonizzatrici” furono importate
dall’isola di Sant’Elena: cinque
donne di mezza casta, profumatamente pagate venti stai di patate a testa. Ma vi furono anche, più tardi (nel
1908), delle volontarie: un paio di indiavolate ragazze anglo-irlandesi di
nome Aggie ed Elisabeth Smith, che furono spose e madri felici. La colonia, abbarbicata sull’unico lembo di terra pianeggiante sulla costa nord-occidentale dell’isola, un pianoro alla quota di trenta metri sul livello del mare prospiciente “Falmouth Bay”, prosperò; costruì le proprie abitazioni con blocchi di pietra vulcanica squadrati a mano e cementati tra loro con ceneri impastate con acqua di mare: le ricoprì con tetti fatti con un’erba che prospera sulle poche arena marine dell’isola, la “Pharmiurn tenax”, o “Lino della Nuova Zelanda”, del genere delle “gigliacee”, legate in fascine cucite tra loro con lo stile dei “mastri-velai”, e le arredò sfruttando il legname di ricupero proveniente da relitti di navi. La
targa “MABEL CLARK”, che un tempo ornava lo specchio di poppa di una vecchia
goletta, finita sulle secche della “Molly’s Gulch” nel 1878, ed il cui
Equipaggio fu salvato, ospitato e nutrito per oltre sei mesi dalla comunità,
decora tutt'oggi la Casa di un Repetto ! Sorse
il villaggio, di piccole case linde ed ordinate, che fu semplicemente chiamato
“ the Settlement”; soltanto nel l867 fu battezzato "Edinburgh “, a
seguito della visita di un Duca di quella lontana Contea britannica. Niente
alberi sull’isola, soltanto arbusti, cespugli e ciuffi d'erba; quella “buona
per i tetti” ed un’altra, di un genere che cresce soltanto nel gruppo di
Tristan e nelle isole Falkland : la “Tussac”.
Gli isolani allora
costruirono le loro “lunghe-barche” (Longboats) una specie di iole
a più
Vogatori con costole di legno sottile e fasciame di tela; come
enormi “Kajak”, estremamente leggere, maneggevoli e marine, ed impararono ad
usarle con estrema perizia, sia sui cavalloni del mare aperto, sia sui frangenti
della battigia per
prendere terra nelle uniche due o tre spiagge praticabili dell’isola. Grazie
a queste barche, che ebbero un ruolo
molto importante nella storia di Tristan, si procurarono il cibo quotidiano non solo
pescando, in un mare che offriva loro abbondanza di
muggini, branzini , spigole, sgombri., aragoste, gamberi e granchi,
infestato dagli “squali azzurri”, visitato stagionalmente da balene e
capodogli, ma anche avventurandosi sulle vicine isole di Nightingale ed
Inacessible, a caccia di foche, trichechi, leoni ed elefanti di Mare,
nonché di pinguini che, nel periodo della cova, con i loro nidi ed i
loro piccoli, ricoprono letteralmente ogni palmo di terreno lasciato scoperto
dai cespugli di “Tussac”. Coltivarono
la terra aspra e dura, pochi ettari a patate, solennemente chiamati i “Patches”,
cioé i “Campi” per antonomasia, pochi ortaggi, qualche alberello di mele
sulla costa meridionale, ed un arbusto dalle bacche rosse, simili ai
“corbezzoli”, dalle quali ai ricava un infuso che sostituirono al tè,
bevanda riservata alle sole occasioni importanti
! Proprio
su questa isola gli ornitologi
identificarono alcune specie sconosciute di uccelli: una gallinella selvatica,
ormai disadattata al volo e con le ali atrofizzate, a cui fu dato il nome di
“Atlantisia rogersii” -
un nome isolano quindi! - e di cui un esemplare, nel 1939, fu pagato ben
cinquanta sterline ! ed anche una
nuova specie della famiglia dei tordi: la “Nesocichla exemita”. Nessun
rettile, pochissimi insetti, molti topi, capre. e cani selvatici ed. uccelli
pelagici di tutte le specie, soprattutto fra quelle che hanno, come luoghi
ancestrali d’origine, le terre australi. Gli
abitanti dell’isola allora, forse stanchi di una dieta a base di pesci e
patate, o di “uova di pinguino strapazzate al grasso di gabbiano”,
importarono ed allevarono animali domestici e da cortile: polli,
galline, oche, ovini, bovini e suini; questi ultimi in particolare, che un tempo
pascolavano liberamente per l’isola nutrendosi anche di pesci e
di uova d’uccelli marini,
avevano le carni col sapore aspro e forte del mare ! Mentre
gli uomini pescavano, cacciavano e zappavano la terra, le donne accudivano alle
faccende domestiche, e le “spinsters”, cioè le “ragazze nubili",
proprio come nella stessa etimologia del nome sassone, “filavano la lana”,
in una monotona ripetizione di gesti antichissimi. Come in tutte le parti del
mondo, i giovanotti corteggiavano le ragazze: le cose prendevano una piega seria
quando tra i due avveniva una scambio di
doni, lui cuciva per lei un paio di mocassini di pelle morbida, lei per lui
sferrugliava un paio di calzini di lana grezza. con bande multicolori ! Ma la
data del matrimonio era subordinata alla velocità con la quale gli amici dello
sposo riuscivano ad. erigere una nuova casa, strappando alla montagna i macigni per i muri e l'erba per
il tetto !
L’epopea
della marina velica stava già tramontando, come in declino era anche la caccia
alle balene; l’apertura dell’istmo di Suez modificò sostanzialmente le
tradizionali rotte marittime per le Indie Orientali, e l’isola, coi suoi
abitanti, si trovò tagliata fuori dal resto del mondo, ancora più isolata in
mezzo ad un Oceano abbandonato. Una
o due navi all’anno; unici contatti col mondo civile erano i
pastori/missionari di una Società Anglicana per la Propaganda della Fede ! Ripetutamente
il Governo Britannico si offrì per trasferire l’intera colonia in qualche
altro posto più salutare dell’Impero, ma essi rimasero ostinatamente
aggrappati alla loro realtà Lillipuziana, un piccolo regno di formato
tascabile, senza leggi scritte,
senza negozi, senza moneta corrente, senza fabbriche, senza macchine e motori,
senza luce elettrica, con usi e costumi legati a vecchie tradizioni, un
“piccolo mondo antico” con tutti gli accenti di un’epoca
pre- Vittoriana, anche nel
dialetto arcaico! Qualche
spedizione scientifica si interessò di Tristan, chi come semplice punto
d’appoggio, chi per soggiornarvi a scopo di studio: nel 1922 la Spedizione
Polare Antartica di “Shackleton-Rowett”; nel 1937/8 la spedizione Norvegese
del Dr. Erling Christophersen dell’Università di Oslo vi soggiornò per circa
quattro mesi: il topografo della spedizione, Allan B.Crawford, fu il primo ad
effettuare rilievi topografici
accurati ed a curarne la toponomastica; i nomi come “Olaf mount”, “Crawford
Point”, “Hottentot point”
e molti altri hanno un particolare significato per gli isolani.
Più recentemente il botanico dott. Nigel Wace, dell’Università di
Adelaide, compì studi sulla flora locale. Durante
la IIa guerra mondiale l’Ammiragliato Inglese prese in considerazione
l’eventualità dell’installazione, su Tristan da Cunha, data la sua
posizione strategica, di una stazione di rilevamento meteorologico ed
oceanografico, e con stile prettamente Churchilliano, il nominativo
convenzionale, il ”nome di battaglia"
per detta stazione fu “H.M.S. Atlantic Isle” ; l’appellativo di
”Nave di Sua Maestà Britannica” era molto appropriato! Il
periodo postbellico fu caratterizzato da tre innovazioni : l’arrivo di un
inviato dell’Ufficio Coloniale Britannico, un “Administrator”, cioè un
funzionario con le prerogative di "sindaco" e di magistrato civile e penale,
tenuto a presiedere anche il “consiglio della comunità”, costituito da
dodici membri, otto uomini e quattro donne; l’introduzione dell’uso di
moneta corrente e quindi l’istituzione di un “tesoriere”; la costruzione
della prima fabbrica dell’isola, per conto di una ditta commerciale di Cape
Town, Sud. Africa: la “Tristan da Cunha Investment Association Ltd.”. Si
trattò di uno stabilimento per l’inscatolamento del pesce, ed in
particolare dello “JASUS TRISTANI”
- tipica cicala di mare locale - e per la conservazione, sotto freddo,
specialmente di crostacei. Le spedizioni sul “continente” venivano
effettuate a mezzo di quattro moto-pescherecci con stive refrigerate, tra questi
il “Tristania” ed il "Francis Repetto”.
E con lo stabilimento arrivò anche la luce elettrica, ma soltanto nelle
ore lavorative diurne. Con questi motopescherecci iniziò anche un servizio
postale più regolare: arrivi e partenze con intervallo di sei settimane, e
soltanto nei mesi più favorevoli per le traversate ! Poi
il cataclisma; il loro “piccolo
mondo” idilliaco sussultò, tremò, si sconvolse, spaccandosi in fenditure
profonde, aprendosi in nere voragini, sollevandosi in enormi bubboni; il
vulcano, che tutti, fin da quando erano seduti sui banchi della piccola scuola,
avevano imparato a considerare estinto, si risvegliò ed eruttò lava e lapilli.
Era
il 6 Agosto del 1961 quando si avvertirono le prime scosse telluriche che si
protrassero fino ad Ottobre in un crescendo terrificante; il giorno 10 di quel
mese un sordo boato e l'esplosione che modificò di colpo, dopo 145 anni di
storia, la vita di tutti gli isolani. Quattro
navi erano nelle vicinanze, chiamate dal trasmettitore portatile dello
Administrator Wheeler, pronte ad
intervenire: il motopeschereccio
“Tristania” ed il gemello “Frances Repetto”, il cacciatorpediniere della
Royal Navy H.M.S. “Leopard”, appositamente colà
dislocato, e la nave. di linea olandese “Tjistadane”, che aveva
dirottato per giungere in soccorso. Ma
ancora una volta furono le "Lunghe-barche”
dal fasciame di tela a giocare il ruolo più importante nella operazioni di
evacuazione, esse erano là, nell’unica spiaggia vicina e praticabile,
sotto il torrente di lava che, serpeggiando, lentamente ma inesorabilmente
scendeva a valle e verso il mare: gli isolani marciarono contro quella lingua di
materia fluida incandescente, raggiunsero le loro barche, si salvarono. Dopo
un viaggio di oltre 6000 miglia a bordo della nave da passeggeri “Stirling
Castle” che li portò in Inghilterra, si ritrovarono proiettati, dalla loro
epoca pre-Vittoriana, nell’epoca della Regina Elisabetta II, nell’era
atomica e della civilizzazione industriale, della vita frenetica ed assillante.
Si
meravigliarono di tutto: degli ampi prati verdi, degli alberi d'alto fusto,
dei supermercati, delle vetrine dei negozi, delle scarpe
coi tacchi alti, del traffico congestionato, ma soprattutto della
differenziazione dei tenori di vita e degli stipendi e delle paghe.
I
loro bimbi si spaventarono quando videro per la prima volta, nel Natale di
quell’anno, il “Babbo Natale” dall’abito rosso e dalla lunga barba
bianca, ed i giocattoli che da lui
ricevettero non li interessarono affatto.
Dei
duecentosessantaquattro isolani, con nessuna resistenza alle malattie del
“mondo civile”, il 90% si ammalò fin dai primi giorni. Ma
anche gli ospiti si meravigliarono di loro, anzi si stupirono delle loro idee
semplici, delle loro concezioni limpide e genuine, così come si sorpresero
della loro “parlata”, che avrebbe potuto essere quella di un soldato di
Wellington durante la battaglia di Waterloo !
Sollecitati
ad esprimere qualche opinione chiesero candidamente :
“Perché bisogna
pagare le patate se nascono da sole nella terra ? "“Perché
la nostra Regina, che ha un marito, ha bisogno di un altro uomo
(il
Primo Ministro!) per governare ? “ Dopo
diciotto mesi di permanenza nel luccicore e nella meccanizzazione della civiltà
moderna, all’unanimità essi decisero di far ritorno alla loro isola, al loro
“piccolo mondo antico” tanto remoto nello spazio quanto fuori del tempo:
optarono per il loro tipo, meno
convenzionale di “ LIBERTA"
! Un
altro lungo viaggio, di ritorno a casa questa volta, a bordo del liner
“Amazon” fino a Rio de Janeiro, e con la nave olandese “ Boissevain “ da
Rio a Tristan, dove il mattino del 9 Aprile 1963 altre nuove “lunghe-barche”
li riportarono sulla loro terra. Una
enorme colata di lava solidificata, raggrinzita ed indurita in una
fantasmagoria di ondulazioni irreali là dove esisteva la spiaggia e
l’approdo, la “fattoria del pesce” scomparsa, inghiottita nelle viscere
della terra; le case scoperchiate ed invase dalle ceneri; ancora un pennacchio
di fumo si levava dal cratere, lassù sulla cima del vulcano, ma niente più
animali sulle aie deserte, niente pecore, sbranate dai cani selvatici affamati
che a loro
volta
soccombettero alla furia degli elementi; solo qualche mucca impaurita,
inselvatichita e che non voleva più essere munta !
Ricominciarono tutto
d’accapo l Il ticchettio ritmico e strisciante dello scandaglio ultrasonoro
che scandisce le battute ed il
sibilo acuto e sottile dell’alta tensione che giunge al tubo catodico del
radar mi riportano alla realtà viva del momento, in modo razionale,
strumentalizzato, scientifico. L’isola
c’è ! Eccola là: una macchia giallognola sullo schermo fluorescente del
radar! E poi, circa un’ora fa, per radiotelefono, ho parlato con l’Administrator,
Mister Fleming, non con un fantasma! Qualcuno
avverte che il fondale é in rapida diminuzione: le profondità misurate non
coincidono con quelle riportate sulla carta nautica; si modifica la rotta per
“allargarsi” da terra.
Sta
piovigginando: sotto lo nubi basse, tra la foschia che sale dal mare, appare una
striscia di terra brulla, bruno-scura di un colore ferrugginoso; siamo quasi al
traverso della colata lavica, ora bisogna trovare il punto d’ancoraggio
prestabilito sullo stretto zoccolo preinsulare, il più vicino possibile al “Settlement”.
Si da fondo all’ancora in 22 braccia di fondale, a 6 decimi di miglio da
Edinburgh;
il mare continua ad essere gonfio
ed il vento a soffiare, la pioggia cade obliquamente e martella le lamiere dei
ponti e dei cofani, il barometro é
sempre in discesa. Un’imbarcazione
a motore si avvicina, sballonzolando tra una cresta di un’onda e l’altra;
giungono sottobordo, sono una trentina di uomini e nei loro visi c’è
qualcosa di familiare, sono facce bruciate
dal sole, dalla salsedine e dalle
intemperie, qualcuna solcata da rughe profonde, da marinai, da pescatori.
Indossano tutti, strettamente allacciate, delle cinture di salvataggio di un
arancione sbiadito, consunte, di foggia antiquata; il “capobarca”
è un Lavarello, il "motorista" un Rogers, il "prodiere” un Repetto ! Nel
gruppo (unica nota un pò stonata!) c’é un signore col “ kilt ",
calzettoni col fiocco, il pizzetto e
gli occhiali, distinto nella sua cintura di. salvataggio di tipo
pneumatico/enfiabile: è il Signor
Fleming.
Salgono
a bordo dalla biscaglina sistemata nel Portellone di murata: ci sono anche
il
Medico, l’Ufficiale postale, il Cappellano anglicano, il Maestro di scuola,
il Tesoriere.
Vengono
rifocillati, interrogati, fotografati; sono dignitosi nel comportamento,
inizialmente un po’ chiusi, quasi austeri; si scusano per non aver portato a
bordo una qualche rappresentante femminile dall’isola, ma le condizioni
meteorologiche non lo permettevano, anzi manifestano il desiderio di
sollecitare al massimo la operazioni per poter riguadagnare terra prima che il
tempo peggiori ulteriormente.....
Non
hanno molto da offrire al di fuori di qualche "cartolina illustrata", qualche
“busta filatelica” e dei "francobolli
commemorativi" che raccontano
un pò la loro storia, e nulla da chiedere ! Poi
diventano. più malleabili, cordiali,
qualcuno sorride rispondendo
alle
tante domande. I
Crocieristi, e tanti dell’equipaggio, affollano il Vestibolo “Leonardo”,
assaltano il banco col tappeto verde. predisposto per l’ Ufficio Postale provvisorio, acquistando tanti francobolli perché
sono belli, perché nel riquadro del cartiglio, sulla vignetta, sono raffigurate
delle belle navi antiche con tante vele, delle “strane imbarcazioni”, dei
vapori moderni, che alla maggior parte di loro, però, non dicono assolutamente
nulla ! Sono i bastimenti. con i quali arrivarono i “ PADRI
FONDATORI ", le barche e le navi che salvarono gli isolani durante
il tremendo cataclisma, e quelle .che li riportarono indietro dopo la “grande
scelta” e che comunque visitarono Tristan; ognuna di loro è un caro ricordo! Dopo
non poche insistenze riusciamo a sapere quello di cui hanno maggior bisogno:
delle lame da bisturi per il Dottore, delle candele per il Sacerdote,
dei giornali e riviste per il Maestro., un pò di pittura, degli ami da pesca. e
dei limoni per gli altri: aggiungiamo delle torte e dolciumi per i
quarantanove bambini della scuola. Il
loro Cappellano rivolge, per altoparlante sulla rete generale, un ringraziamento
a nome di tutti ed un cordiale saluto ai passeggeri ed all’equipaggio; molte
strette di mano e poi essi scendono,
o meglio saltano, non senza difficoltà, nella loro imbarcazione attraccata
sotto il portellone che,
beccheggiando, si solleva e si abbassa sulle creste e nei cavi dell’onde che passano sciacquando lungo la murata. Dal
ponte di Comando li osserviamo con apprensione attraverso i binocoli:
serpeggiando come in uno “slalom gigante”, sotto la pioggia
scrosciante e gli spruzzi di mare, arrivano all’imboccatura del minuscolo
porticciolo, tagliato di recente nella roccia vulcanica, attendono un istante,
poi, sospinti dal declivio di un’onda spumeggiante, come un “acquaplano”
di dimensioni titaniche, scompaiono entro i due bracci frangiflutti del molo,
fatti con blocchi
di
lava. L’isola
non si è vista completamente, in tutta la maestosità del suo picco a duemila
metri di quota, quasi avesse voluto conservare la propria intimità sotto una
coltre, che l’avvolgeva fin quasi alle falde lambite. dal mane, di vapori e di acqua. Mentre
stiamo salpando salutiamo con tre lunghi fischi dei nostri potenti “Typhon e
Super-Typhon” (*) - loro, laggiù sull’isola, non possono
risponderci semplicemente
perché non hanno alcun mezzo acustico per farlo; per loro, invece,
ci risponde la montagna, con una ECO rimbalzata su di una parete di lava., ovattata da mille goccioline di pioggia, soffocata dal sibilo del vento.
G.L.Cortassa -Com.te in 2a T/n
“LEONARDO da VINCI”
Febbraio 1972.
(*)
Impianto Acustico FISCHIO a VAPORE
ed a ARIA COMPRESSA ·
Uno staio = 1 Bushel = litri 36,36
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