LA TONNARA DI CAMOGLI

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LA TONNARA DI CAMOGLI

   

di Annamaria “Lilla” Mariotti 

P    Camogli, città di naviganti o città di pescatori ?.  Tutte e due le cose e tutte e due derivano da tradizioni antiche, che vengono da molto, molto lontano nel tempo.  Quando mi trovo al di là dell’oceano mi piace descrivere la mia città come “an old fishermen village” (un vecchio borgo di pescatori), oppure “a town with ancient maritime traditions” (una città con antiche tradizioni marinare). Il nostro indimenticabile concittadino, Gio Bono Ferrari, (indimenticabile fondatore, nel 1938, del Museo Marinaro di Camogli, e autore del volume “La Città dei Mille Bianchi Velieri” e di molti altri libri) non era d’accordo su queste  descrizioni che già venivano usate in passato, le trovava limitative,  ma io mi permetto oggi di non concordare con lui, che disse questo nel lontano 1934, perché secondo me invece spiegano perfettamente la vera essenza di Camogli, borgo di pescatori e città di naviganti. 

 

C’era chi sceglieva la via del mare, sui mille bianchi velieri, come armatore, capitano, marinaio o mozzo, e facendo a ritroso tutta questa strada , partendo da mozzo per arrivare ad essere almeno capitano, se non addirittura armatore, perché così una volta andavano le cose.   E c’era invece chi  sceglieva di restare e di fare la vita del pescatore, altrettanto dura e pericolosa di quella dei naviganti;  il mare poteva essere molto pericoloso anche qui, sulle porte di casa, quando il libeccio soffiava e portava i grandi cavalloni che si infrangevano alla base delle case che una volta delimitavano l’odierna Via Garibaldi dal lato mare.  Questo mare non era meno difficile da affrontare per le piccole barche dei pescatori Camogliesi dei “40 ruggenti” che dovevano affrontare i loro concittadini che doppiavano Capo Horn sui grandi velieri.

 

I pescatori di Camogli non si limitavano a buttare le reti nel loro golfo, alcuni partivano a Giugno con i  leudi,  diretti  alla Gorgona per la pesca delle acciughe, che loro chiamavano “la crociera dei cento giorni”.  I padri, appena finita la scuola, imbarcavano anche i loro figli sui  leudi e su quelle barche restavano per tre mesi, pescando e salando acciughe che poi venivano portate a Livorno dove i barili erano venduti a mercanti inglesi che, dopo un'accurato controllo del contenuto, li inviavano in Inghilterra.

 

Poi c’era la pesca della tonnara, antichissima. Le prime notizie della tonnara di Camogli si hanno nel 1603, ma probabilmente è anche più antica.  Nel 1300 era già in funzione una tonnara tra Santa Margherita e Portofino. come risulta da alcuni  documenti dell’Archivio di Stato dai quali veniamo a sapere che tra il 1383 e il 1385  alcuni pescatori di Portofino furono multati per avere venduto o nascosto del tonno contro le leggi dell’epoca.  Nel 1388 nell’inventario del Portofinese Oberto Graziano, barbiere, figura un barile di tonnina sott’olio.   La tonnara di Santa Margherita era ancora in funzione nel 1875, dopodichè cessò di operare.

 

Ma torniamo al 1603, anno in cui un solenne Decreto del Magistrato dei Censori stabiliva che “delli tonni che si fossero presi alla tonnara di Camogli se ne dovesse dare agli abitanti di Camogli e di Recco per loro uso dieci di un rubo,  venticinque di due, sei sino a cento rubi”.     Il rubo è una misura antica che corrisponde a circa 8 Kg e che,  tra i pescatori di Camogli,   viene usata ancora ai giorni nostri.       Questo uso fu rinnovato con altri Decreti nel 1634, 1671, 1707 e 1709.  Si sa anche di una diatriba del 1712 tra Camogli e Recco.  Il 20 Settembre di quell’anno il Capitano di Recco svela degli inconvenienti causati dall’allora Amministratore della Tonnara Gio Bono Olivari a causa della sua imperizia.  Pare che non avesse rispettato la ripartizione dei tonni come indicato nel decretato del 1603  che era ancora in vigore.  Questo dimostra  come Camogli e Recco a quell’epoca fossero  molto vicine se dovevano dividersi il pescato.

 

In altre notizie d’archivio del 1612 si legge “.... anno 1612. Si introdusse l’appalto della tonnara di Camogli, con che dovesse l’appaltatore provvedere di pesci il Comune e non potesse salariare in marinai ed inservienti che persone della parrocchia...”  

 

Ancora, nel 1618 quattordici marinai di Camogli fecero società con un certo Benedetto Costa, proprietario di tonnara a Santa Margherita, per gestirla insieme dividendosi i “caratti”, ossia porzioni di essa.  I Camogliesi si obbligavano a fornire quattordici uomini per far la guardia alla pesca, mentre il Costa impiegava quattro uomini, con la clausola che il primo tonno che fosse entrato nella tonnara sarebbe stato offerto al Santuario della Madonna di Nozarego, a Santa Margherita,  per sciogliere un voto fatto dallo stesso Benedetto Costa.  Un altro Santuario trasse beneficio dalla pesca della tonnara ; intorno al 1630 i proventi della pesca servirono in parte per la costruzione del Santuario della Madonna del Boschetto a Camogli che fu eretto sopra una preesistente cappella che ricordava l’apparizione della Madonna ad Angela Schiaffino, una pastorella,  avvenuta in quella località  il 2 Luglio 1518.   Per devozione, negli anni seguenti, i marinai, ma non solo, usavano portare al Santuario i loro ex-voto, quadri che venivano appositamente commissionati per rappresentare uno scampato pericolo in mare e in terra e che sono ora riuniti nel chiostro del Santuario e formano una delle più belle collezioni di ex-voto della Liguria.

 

 Esiste in circolazione la riproduzione di una antica stampa di Camogli risalente al 1624  che mostra un progetto per il prolungamento del molo.  Anche questi lavori furono finanziati con i proventi della tonnara.    Da tutte queste notizie storiche risulta quindi che la tonnara di Camogli è stata in passato una fonte di benessere per tutta la cittadinanza e che ora è l’unica e la più antica ancora esistente in Liguria.

 

Da questi anni fino al 1801 non si trovano più documenti che parlino della tonnara.  In quell’anno, esattamente il 28 Agosto, il Commissario del Governo scrive alla Municipalità del Cantone di Camogli quanto segue : ....”Cittadini, dal vostro messaggio sono venuto a cognizione che padroni di tartanoni e bilancelle osano perturbare il libero esercizio della Tonnara.  Il vostro usciere ha ordine di citarli al mio Burrò (francesismo comune all’epoca) e voglio sperare che più non succederà un simile inconveniente.  Salute e Fratellanza.... firmato Grondona”. Questo perché la zona di mare in cui veniva calata la rete della tonnara doveva intendersi di esclusiva proprietà dei gestori della stessa.   Da un verbale di seduta tenuto nello stesso mese ed anno risulta la nomina di una Commissione formata da  due persone per chiedere al Governo a nome della Municipalità di Camogli : “.... li seguenti mezzi per sopperire alle spese cantonali e comunali ....Assegnazione di una porzione di utili di questa tonnara .....” Si trova anche una lettera del 1808 con la quale :  “Le Prefect du Department de Genes, Membre de la Legion d’Honneur, comunica a Monsieur le Maire de Camogli......"  circa il diritto  del Comune di Camogli di percepire una data quantità   di tonno dalla pesca della tonnara ed autorizza il Maire a far citare l’agente della medesima "…….nanti il giudice competente per quel tanto che ha omesso di consegnare ......”   Un’altro documento del 1817 comunica  :  “......l’obbligo dell’appaltatore di consegnare dei tonni gratis al Municipio ......”    Questo probabilmente era dovuto all’impegno da parte della Municipalità di sopperire ai bisogni della popolazione meno abbiente.  Documenti un po’ più recenti, ma non databili, parlano del passaggio della tonnara da proprietà privata a Cooperativa tra i pescatori

 

Anticamente, inoltre, il tonno veniva lavorato a Camogli, probabilmente su basi artigianali.   In un vecchio quartiere di Camogli “u Risseu” (nome che deriva dal tipo di pavimentazione della strada), che si trova sul lungomare dove la Via Garibaldi si restringe nel vicoletto che va verso il il Rio Gentile ed il levante, c’è un portone, il N° 72.  Questa  casa  in passato  era chiamata “a frixaia”, nome che può evocare un locale in cui si friggeva qualcosa, e questo può essere,  ma era anche il posto in cui il tonno veniva cotto e poi  messo sotto sale in barili che non erano solo venduti localmente, ma  che prendevano anche la via  verso il Piemonte e la Lombardia e, qualcuno dice, anche l'Inghilterra.

 

Lasciamo da parte per ora tutte queste notizie storiche, interessanti e necessarie, ma anche un po’ noiose.  Secondo me servono per rendersi conto che quella estensione di reti e natelli (sono i galleggianti, una volta di  sughero e ora di plastica, che reggono a galla le reti stesse) che vediamo stese sotto la chiesa di San Nicolò dalla barca diretta a Punta Chiappa, hanno alle spalle un glorioso passato.  Mentre i pescatori di Camogli le calavano in mare e le toglievano ogni anno,  la storia passava su di loro.  Sono passati grandi uomini, pittori, scrittori, sono passate rivoluzioni, guerre, grandi condottieri. E tutti gli uomini e la donne di Camogli che hanno lavorato intorno a quelle reti, che passavano l’inverno a ripararle e ad intrecciarne di nuove.  E sì, perché una volta le reti erano fatte con la “lisca”, un’erba lunga e flessibile che nasce sul Monte di Portofino e che qualcuno andava a raccogliere, faceva seccare e lavorava.  Ora non più, le reti, meno l’ultima parte della “camera della morte” che è di nylon,  sono in filetto  di cocco (ajengo superiore) che arriva  in balle ruvide e giallastre ogni anno dall ‘India.  Durante la permanenza in mare alle reti di cocco attecchiscono molluschi ed alghe che da un lato sono un invito per i pesci che vengono attirati da un’esca appetitosa, ma dall’altro  ne  impediscono il recupero per cui, alla fine della stagione, le reti di cocco vengono tagliate ed abbandonate in mare dove, essendo una fibra naturale, diventano  pastura per i pesci.  

 

L’impianto di Camogli ha nel tempo cambiato nome varie volte : “tonnara” e “tonnarella”.  E’ difficile addentrarsi in  spiegazioni sulla differenza delle due denominazioni, è più semplice dire che la “tonnara” è intesa esclusivamente per la pesca del tonno (pesca che comincia a Maggio e dura circa quarantacinque giorni), e che cattura il cosidetto “tonno di corsa”, quello cioè che entra nei nostri mari dallo Stretto di Gibilterra per riprodursi nel Mediterraneo. Questa pesca termina solitamente con la crudele e sanguinaria “mattanza”.   La “tonnarella” invece può catturare qualunque tipo di pesce di passaggio, oltre ai tonni, rimane in mare da Aprile a Settembre, e “leva” le reti tre volte al giorno.  Quindi quella di Camogli è in realtà una “tonnarella” e qui non è mai stata effettuata la mattanza,  ma queste disquisizioni sui nomi sono ormai dimenticate da tempo, e a noi piace chiamare sempre la grande estensione di reti che accompagna le nostre estati “LA TONNARA”.    

 

La tonnara è legata in modo indissolubile alla mia infanzia e alla mia gioventù.  Il primo accenno di primavera per me non erano solo gli alberi in fiore e le rondini, ma anche le grosse reti di filetto di cocco attaccate al muraglione del molo in tutta la sua lunghezza  in attesa di essere calate in mare.   E appena sapevo che la Tonnara era stata calata, per me era come se già fosse iniziata l’estate.    Poi c’erano quelle voci che attraversavano Camogli, all’improvviso,  come un  tam-tam silenzioso, e tutti correvano alla mancina del porto a vedere il “mostro” catturato dalla Tonnara.   Una volta era un grosso squalo, un’altra un balenottero, o un pesce martello, un pesce diavolo, spaventoso, e una volta persino un’enorme tartaruga.    Il 2 Giugno del 1974 venne  catturato un pesce enorme, coloratissimo e tanto raro che nessuno lo riconobbe, così una foto del pesce venne sottoposta all'attenzione di Jacques Cousteau che lo identificò come appartenente alla famiglia dei pesci luna (lampris luna), ma di una specie rara, che vive in alto mare ed a grandi profondità.  Questo in particolare era un pesce imperatore o lampris regius. Nel 1986 è stato catturato un rarissimo Marlin  nero (Makaira indica),  del peso di 180 Kg, una specie  che si trova abitualmente nelle calde acque degli Oceani Indiano e Pacifico e la cui testa e coda sono ora conservate nel  Museo di Storia Naturale di Genova.    

 

 Dopo che la folla si era radunata arrivavano i due fotografi di Camogli, Ciotti e Ferraris, per immortalare l’avvenimento e il giorno dopo la foto era sui giornali e tutti cercavano di riconoscersi in quei volti alzati e incuriositi.      Tutto questo si è verificato con una certa frequenza tra gli anni ’40 e ‘70.  Si sa che ci sono state delle catture particolari anche  prima degli anni ’40,  ma dopo gli anni ’70 certi grossi pesci devono avere cambiato rotta perché questa catture sono diventate sempre più rare.   C’era poi, e c’è tuttora, un fenomeno collegato in qualche modo alla Tonnara.  Si vedono improvvisamente sulla superficie del mare, durante le calme primaverili,  delle macchie scure, sembra di vedere ribollire il mare, e quando ho chiesto la prima volta di che cosa si trattasse mi hanno risposto che erano banchi di acciughe che salivano in superficie per fuggire ai tonni che si trovavano sotto perché questi pesciolini costituivano il loro pasto favorito.  Non so se questa sia realtà o leggenda, ma come tutte le cose collegate al mare ha un suo fascino e a me piace pensare che le cose vadano veramente così.

 

La dislocazione strategica delle tonnare deriva dall’osservazione delle abitudini del tonno, pesce atlantico che entra in primavera  nel Mediterraneo attraverso lo Stretto di Gibilterra sfruttando la corrente di superficie, per riprodursi in mari più caldi e meno profondi e che farà lo stesso cammino in senso inverso per ritornare in Atlantico in autunno, sfruttando in questo caso la corrente di profondità.   Il tonno che entra nel Mediterraneo viene chiamato, come ho detto più sopra, “tonno di corsa”.  E’ nel pieno delle sue forze perché non ha ancora fatto molta strada, le sue carni sono molto saporite e la femmina porta le prelibate uova che vengono ancora lavorate, sopratutto in Sardegna, per ricavarne la squisita “bottarga”.  Il tonno “di ritorno”, quello che nuota verso lo Stretto di Gibilterra e l’Atlantico in autunno, è ormai stanco per i lunghi trasferimenti, per la stagione degli amori, e la sua carne non è più molto saporita ed è per questo che viene raramente pescato in questa fase.   Il tonno non entra nel nostro golfo da Punta Chiappa, ma da Ponente, dalla parte di Genova,  tenendosi sempre in vista della costa dal lato sinistro, come se ci vedesse da un occhio solo, e nella sua corsa non vede gli ostacoli posti di fronte a lui per cui è facile sbarrargli il passo con una rete posta trasversalmente al suo cammino, perché il tonno, appena la incontra, viene ingannato e, credendola sempre parte della costa, la segue, entrando così nella camera grande della tonnara, la percorre tutta fino a ritornare al suo ingresso ma, non trovando un percorso alla sua sinistra, non può che entrare nelle varie camere fino ad arrivare alla camera della morte, da dove non ha via d’uscita e dove il suo destino è segnato.  Nelle tonnare che praticano la mattanza, ormai solo in Sardegna e Sicilia, la camera della morte, quando è piena, viene sollevata fino alla superficie  e i pesci vengono arpionati uno per uno e tirati a bordo delle barche, mentre nelle tonnare di “monta e leva”, come quella di Camogli, il sacco viene sollevato tre volte al giorno, di prima mattina, in pomeriggio e verso sera.   Ormai i tonni sono sempre più rari sulle nostre coste perché i  grossi pescherecci atlantici, tra i quali quelli Giapponesi  (grandi estimatori del tonno crudo) aspettano il pesce nell’Oceano e lo pescano prima che possa entrare nel Mediterraneo per riprodursi.  Tutto questo sta portando a drammatiche conseguenze per la sopravvivenza della specie.   Fino a non molti anni fa il nel nostro mare si trovavano a passare grandi pesci e mammiferi marini di tutti i tipi, che forse entravano seguendo le navi dirette a Genova. Il più grande nemico della tonnara era il capodoglio che, entrando da Punta Chiappa, si trovava davanti le reti e le distruggeva.     Ora i tempi sono cambiati e la tonnara “insacca” tutti i pesci che entrano dalla sua apertura : prima di tutto palamite (Sarda sarda) e boniti  poi calamaretti, bughe, sardine, sgombri, sarpe, bisi, occhiate ...... e qualche tonno, ma anche, soprattutto a partire da Giugno, leccie (Lichia amia), o ricciole (Seriola dumerili), anche di grosse dimensioni.     Come è già stato detto, la Tonnara anticamente era gestita da privati, purtroppo non si sa esattamente in che data è cessata questa gestione.   Si sa esattamente di una Cooperativa fondata nel 1910 e chiamata “Cooperativa S.S. Prospero e Caterina” che durò fino al 1923.  Di questa cooperativa era amministratore il Cap. Elia Cichero, aveva 20 Soci, tutti pescatori,  che avevano pagato Lit. 10  ciascuno per essere ammessi a farne parte e che in più tirarono fuori di tasca loro i soldi necessari per costituirne il capitale sociale.  Un’altra Cooperativa venne costituita in gran pompa nel 1937.   Esattamente il 7 Febbraio di quell’anno, nell’Aula Magna del Municipio alla presenza di tutte le Autorità e dei pescatori Camogliesi veniva costutuita la Soc . An. Cooperativa  “Tonnarella di Camogli”.  Promotore di questa iniziativa era stato l’allora Podestà di Camogli Giuseppe Bozzo.      Di questo si trova traccia in una scarna annotazione dell’allora Bibliotecario :   ” 1937 .....Fu ripresa in primavera l’antica pesca della Tonnara in Camogli, sospesa già da diversi anni”.   Dai dati statistici di fine anno risultò che la Tonnara, dal 10 Aprile al 29 Ottobre, aveva pescato ben 50.500 Kg di pesce tra cui, oltre a quello che viene definito un buon quantitativo di tonni, anche delfini, pescicani, pesci martello, squali elefante, un balenottero e ben 6.635 Kg. di pesci luna,  palamiti e altre varietà. Non esistono più le registrazioni contabili dell'epoca, ma un articolo sul quotidiano IL POPOLO D'ITALIA del 12 Aprile 1938, firmato da Dario Umberto Razeto, riporta che l’importo del salario corrisposto ai Soci lavoratori alla fine della stagione fu di  105.000 lire, cifra che oggi sembra poco veritiera. L’anno dopo, nel 1938, la Tonnara venne messa in mare in ritardo a causa dell’attesa dell’ arrivo del cordame di canapa che quell’anno non fu consegnato in tempo per preparare le reti necessarie alla tonnara.  Nell'autunno del 1943, in due giorni, incapparono nelle reti della tonnara 64 tonni, per un peso complessivo di 1.050 Kg.

 

L’inizio della stagione di pesca era anche un momento di religiosità e di aggregazione perchè si sa che, quando la tonnara veniva calata, il Parroco di San Rocco teneva una cerimonia religiosa per la benedizione delle reti e per invocare una buona stagione di pesca, alla presenza dei tonnarotti e delle loro famiglie.   

 

La tonnara e costituita, come si è detto, da reti messe in mare secondo una schema fisso che è uguale per tutte le tonnare, siano esse grandi o di dimensioni più piccole come quella di Camogli.  E’ come un iceberg, quello che si vede in superficie non è che la minima parte di quello che sta sotto il mare, che è come un grande palazzo sommerso, formato da porte e stanze, un grande labirinto che sembra inventato da Dedalo stesso. Da anni, tantissimi anni, questa rete viene tesa sempre  nello stesso posto a circa 400 metri da Punta Chiappa, in direzione di Camogli  Viene legata a terra ad uno scoglio che la fantasia popolare dice si chiami “ Pedale” o “Pesale”, in realtà viene ancorata ad un anonimo scoglio, senza particolari nomi romantici in una piccolissima insenatura del Monte di Portofino che si chiama “Sca’ di  Rocco” e da esso parte la rete d’arresto, detta appunto “pedale”, fatta di filetto di cocco, che  da terra chiude il passaggio ai pesci e li guida  verso una prima camera grande o “di raccolta” anch’essa di di cocco, continua con un sacco la “lea”, sempre  di cocco,  con maglie che si restringono sempre di più per finire nella “camera della morte”, che ha una prima parte in cocco e finisce in nylon con maglie sempre più strette.  Il “pedale” è lungo  340 metri,  la porta d’entrata nel recinto che è antistante alla “camera della morte” è larga 25 metri.   A destra si trova un recinto  rettangolare lunga 80 metri e a sinistra, davanti al “sacco” c’è un’anticamera di 30 metri che conduce alla “camera della morte” che misura 100 metri. La rete viene ormeggiata sul fondo ed è profonda dai 10 ai 45 metri.  Per ancorarla al fondale vengono usati 26 ancorotti, unitamente a delle grosse pietre del peso di circa 20 Kg . ciascuna.    Per mantenere  le reti perimetrali perfettamente verticali vengono impiegati dei galleggianti di plastica posti a distanze regolari.  Le maglie della rete, abbastanza larghe in alto, si fanno sempre più strette scendendo verso il basso fino alla “camera della morte” che è senza via d’uscita.

 

Sopra le reti una volta erano ancorate due barche, strane a vedersi, disalberate, senza sovrastrutture, sembravano quasi gli avanzi di un naufragio, invece giocavano un ruolo molto importante nell’impianto della Tonnara. La prima, fissa e più grande, era situata all’ingresso della “camera della morte” e anticamente veniva chiamata “rancio” perché  vi si trovava l’alloggio  dell’equipaggio di turno e la cucina, mentre in seguito ha preso il nome di  “poltrona”,  e veniva  usata dai pescatori per la “levata” del sacco   L’altra barca, che era mobile e un po’ più piccola, viene chiamata da sempre “asino”, era  ancorata al sacco e su di essa veniva  caricato il pescato dopo la “leva”.   Ai giorni nostri alcune cose sono cambiate ;  la “poltrona” si trova sempre là, grande e grigia, ancorata al sacco e immobile mentre l’”asino” viene portato avanti   e indietro  tre volte al giorno da Camogli verso la Tonnara dai sei pescatori di turno, portando a  rimorchio  una barca più piccola, la "vedetta",  e poi viene fissato  all’altra estremità del sacco.   Usando la barca più piccola i pescatori si muovono agevolmente tra le due barche  e passano così sulla “poltrona” da dove  cominciano a sollevare la  “camera della morte” per mezzo di sei cavi avvicinandosi lentamente, metro per metro,  all’”asino” finché tra le due barche rimane solo un grande sacco pieno di pesci guizzanti che vengono poi caricati sull’”asino” che, ancora una volta torna a Camogli con il pescato.  Come ho già detto questo avviene tre volte al giorno, con orari che cambiano secondo i mesi, ma la prima levata è all’”albetta”, come viene chiamata, cioè al sorgere del sole, la seconda a metà mattinata e infine la terza, nel pomeriggio. 

Ma chi sono questi pescatori (chiamati "tonnarotti" nelle tonnare Siciliane e Sarde), che ora lavorano in turni settimanali di sei, ma che in passato  sono stati anche molti di più ?   Sono ragazzi  che in parte vengono assunti stagionalmente e in parte lo fanno per mestiere, anche tramandandoselo di padre in figlio,  e che devono essere dotati di una buona dose di spirito di sacrificio, di entusiasmo e anche di una grande passione per il mare per sopportare i disagi di una professione  che li porta a sottoporsi a levatacce e fatiche non indifferenti.  Comunque qualcuno di loro mi ha detto che la fatica è attenuata dalla passione per questo tipo di vita.    Le  operazioni di levata sono dirette dal Rais, parola di chiara origine araba, che a Camogli, in passato, era diventata “Raixe”, ma che ora non viene più usata. I suoi marinai, sono attualmente sei, che lavorano su due turni di una settimana ciascuno, da sabato a sabato.  Oggi non c'è più la figura del "Raixe", rimasta appannaggio del vecchio Lorenzo Gelosi, detto Cen, ma ci sono due capibarca, perché è così che si chiamano a Camogli, i fratelli Giovanni e Antonio Revello  che insieme al figlio di quest’ultimo, Giuseppe,  si occupano anche della lavorazione della rete di cocco durante l’inverno.   Questa  operazione viene fatta interamente a mano, usando del filetto di cocco che arriva ogni anno dall’India in balle da 150 Kg l’una.   La rete finita pesa 1.200 Kg .  A San Fruttuoso, piccolo borgo raggiungibile solo in barca o a piedi attraverso un ripido sentiero che parte dal  Monte di Portofino, vengono lavorati ogni anno, a mano e secondo canoni antichi e con antichi strumenti, i lunghi cavi che serviranno sia per legare tra loro le varie parti della rete, che per sollevare il sacco durante la levata.    

 

Questi, la pesca con la tonnara, la lavorazione delle reti di cocco, sono mestieri antichi, che una volta coinvolgevano buona parte della popolazione anche durante l’inverno.    Ora viene da chiedersi : fino a quando dureranno ?   Uno trema la pensiero che tutto questo vada perduto, che finisca.   Sono tradizioni che hanno la loro origine nella notte dei tempi, che hanno già subito tante trasformazioni e  che non potranno rimanere immutate.   Ci si può solo augurare che, data anche la tipologia e la dislocazione della tonnara di Camogli, che non è subordinata solo al passaggio dei tonni,  questa pesca  possa essere portata avanti ancora per molti anni a venire da un gruppo di persone coraggiose, che non si lascino intimidire dall’avanzare della modernità e della tecnologia, ma che piuttosto si facciano sorreggere  dal pensiero di non lasciare morire un mestiere così antico e affascinante.              

 

 

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